Che cosa spinge un professionista del mondo del vino a cambiare azienda o a rimanere nel suo luogo di lavoro? È questa la domanda alla base della survey condotta da Wine Job e Game2Value su un campione di 523 risposte. Tra gli elementi maggiormente attrattivi, che fanno propendere per un cambio lavorativo o la permanenza, ai primi posti ci sono il ruolo, quindi la possibilità di una maggiore autonomia o ricoprire cariche apicali, la retribuzione, l’impressione avuta durante i colloqui e il prodotto. La flessibilità oraria o la distanza del luogo di lavoro dall’abitazione occupano posizioni più defilate. Una classifica che però cambia con il cambiare delle fasce d’età. I nuovi talenti richiedono cose che hanno un valore minore per chi ha una maggiore età lavorativa, come il lavoro agile o la qualità durante i colloqui.
Altre tendenze da mettere in luce sono una certa dinamicità del settore, nonostante il rallentamento al livello globale, ma anche una sua chiusura. Il 75% del campione dichiara di aver ricevuto, negli ultimi due anni, un’offerta di lavoro, mentre il 61% di aver cambiato impresa. La chiusura si traduce nel fatto che, soprattutto in certe posizioni come manager o esperti di marketing, le aziende ricerchino persone che già operano nel settore. C’è dunque una corsa a rubarsi i talenti. Questo ha, indubbiamente, dei vantaggi perché consente di avere professionisti già formati e pronti o, sul fronte del marketing, che hanno già una rete di contatti consolidata. Non manca il rovescio della medaglia. Accaparrarsi i migliori professionisti costa per le aziende, perché sono costrette ad aumentare costantemente le retribuzioni per averli o trattenerli. Inoltre può venire meno una certa dose di creatività o di best practies se non si attinge mai da altri settori.
Tornando al campione, oltre il 78% già lavoro nel comparto enoico, mentre il 21% vorrebbe entrarvi. Tra i primi una fetta consistente è occupata da manager (44,64%) e impiegati (34,92%). Le fasce d’età più rappresentate sono quelle che vanno da 31 ai 40 anni (30%) e dai 41 ai 50 (31,56%). Sul genere c’è uno squilibrio, 58% sono uomini e 40% donne, che rispecchia il gender gap che caratterizza il nostro mercato del lavoro. Gender gap che assume contorni ancora più marcati se lo si legge in relazioni al ruolo. Infatti, tra i dirigenti, il 72% sono uomini e il 28% donne, divario che un po’ si assottiglia tra i consulenti, 57,41% uomini e 42,59% donne, mentre tra gli impiegati le donne sono al 56,82% e gli uomini al 40,91%. Anche l’età incide sulla posizione: in quelle apicali il 39% e il 35% ha tra i 41 e i 50 anni e oltre 51.
Dunque che cosa devono fare le aziende per attrarre talenti? La risposta varia in base all’età e al ruolo. Come già detto precedentemente la flessibilità oraria è molto seducente per i più giovani, così come la distanza della sede di lavoro. Chi ha superato i cinquant’anni dà maggior rilievo al brand e alla reputazione, mentre i salari, i prodotti e i servizi hanno valore per tutte le fasce prese in esame. Per il ruolo, i manager guardano all’autonomia e alle retribuzioni, i consulenti sempre la retribuzione, i prodotti e il ruolo offerto. L’indagine ha poi chiesto agli intervistati di indicare i motivi che spingono a rimanere nell’azienda presso la quale già si lavora. Tra questi spiccano l’onestà a l’etica dei responsabili, il benessere del posto di lavoro, il livello di relazioni con i propri superiori, la considerazione del ruolo, la stabilità e la visione strategica dell’impresa. Se dunque il produttore si impegna in questi aspetti può sicuramente aumentare la fidelizzazione dei propri collaboratori e dipendenti. Anche qui le cose cambiano se incrociamo le risposte con ruolo ed età. Per gli impiegati conterà molto la vicinanza con l’abitazione o la promozione del remote working, per i dirigenti l’autonomia, il coinvolgimento operativo e l’enfasi sul brand, mentre gli operai l’implementazione di azioni volte al benessere e solide retribuzioni. Con la variabile anagrafica, gli under 30 guardano al benessere lavorativo e alle prospettive di carriera, chi è tra i 31 e i 40 l’attuazione di politiche di conciliazione e lavoro agile e, infine, per gli over 50 il prestigio e la reputazione aziendale.
Per chi poi decide di cambiare casacche, le leve si possono trovare sia nella nuova azienda sia in quella che si decide di lasciare. Un miglioramento contrattuale o economico, chiare idee strategiche e una crescita sono ciò che attrae della nuova destinazione mentre, quasi specularmente, il mancato sviluppo professionale, una gestione non funzionale dell’azienda e un ambiente non sereno sono le cose che spingono a lasciare l’impresa.
Tommaso Nutarelli