La realizzazione di zone covid free è soluzione che anche l’Italia può adottare, come già stanno facendo i paesi concorrenti. Il passaporto vaccinale è uno strumento utile, a patto che si riesca a sfruttarlo appieno nelle sue potenzialità. Lo afferma Alberto Corti, responsabile turismo di Confcommercio. Il 2020 è stato l’annus horribilis del settore, con una perdita di 100 miliardi di valore della produzione. Per la stagione estiva, spiega, restano ancora molte incognite, ma il buon esito della campagna vaccinale potrebbe dare una spinta significativa al comparto, che può essere uno dei protagonisti della ripresa economica del paese.
Corti, siamo alla vigilia della seconda estate in epoca covid. Quali sono i numeri del turismo in questo anno e mezzo?
Se guardiamo agli ultimi dieci mesi del 2020, lasciando da parte il periodo pre covid, abbiamo 77,5 milioni di arrivi in meno, e la perdita di 232 milioni di presenze, soprattutto da parte degli stranieri. Sul versante economico questo si è tradotto in 90 miliardi di euro di valore della produzione complessivo, rispetto ai 190 miliardi del 2019. Sempre lo scorso anno, i viaggi degli italiani all’estero sono crollati del 75%, con pesanti ripercussioni per gli operatori delle agenzie turistiche.
E per quest’anno?
I dati che al momento abbiamo, e che coprono i primi tre mesi del 2021, ci parlano di un crollo dell’85% degli arrivi e dell’81% delle presenze.
Per l’estate lo scenario non dovrebbe migliorare? Si parla già di una corsa alla prenotazioni e di sold out per certe località.
È un dato che va letto con molta attenzione.
Perché?
Perché la prenotazione di molte case in affitto indica un timore da parte del turista, che cerca di crearsi la propria bolla, riducendo i contatti con l’esterno, e quindi anche l’impatto economico. Agli alberghi giungono molte richieste di informazioni, ma ancora poche conferme. E c’è il rischio che la stagione si concentri nel solo mese di agosto. Naturalmente non mancano anche segnali positivi. Il 75% del campione di persone che intervistiamo periodicamente afferma che, con la certezza di essere vaccinati, riprenderebbe volentieri a viaggiare. Il buon esito della campagna di immunizzazione sarà dunque una variante significativa.
Si parla molto della realizzazione di isole covid free per la prossima stagione estiva. È una soluzione praticabile?
Credo che sia più corretto parlare di zone covid free, piuttosto che di isole, perché anche destinazioni, come ad esempio l’Argentario, possono diventarlo. Si tratta di spazi nei quali vengono garantiti livelli di sicurezza sanitaria sopra la media. Un soluzione non nostra, ma che possiamo benissimo realizzare, come del resto stanno già facendo i nostri competitors. È il caso delle Baleari. Per capirci, se dalla Germania vado in Spagna devo fare la quarantena, al ritorno, non alle Baleari. La stessa Germania le ha riconosciute covid free, e nel periodo pasquale sono state scelte come meta da molti tedeschi. In Grecia si sta portando avanti un’operazione un po’ diversa. Il governo ha scelto piccole isole, che hanno una bassa ricettività turistica, e le ha dichiarate sicure, tutto questo all’interno di una strategia più ampia di marketing e di promozione, che dovrebbe poi attrarre i flussi più corposi su Corfù o Creta.
Altra carta utile per rilanciare il turismo potrebbe essere il cosiddetto passaporto vaccinale?
Si tratta di una linea guida proposta dall’Unione europea, incentrata su tre informazioni, ossia se una persona è stata vaccinata, se ha svolto un test, di qualsiasi natura, con esito negativo e se ha avuto il coronavirus e poi si è negativizzata. Ora, perché questo strumento funzioni sono necessarie due condizioni. La prima che ci sia un accesso immediato a queste informazioni, che devono essere poi correlate fra loro. Secondo, avere la tecnologia necessaria por poterle leggere. È chiaro che il paese che lo adotterà per primo, e ne potrà usare le potenzialità, sarà avvantaggiato.
Covid a parte, cosa occorre al nostro turismo per essere competitivo?
Al di là dei vari decreti ristori o sostegni, il turismo non sempre è stato posto al centro della ripresa economica del paese da parte della politica. Da troppo tempo manca un piano industriale di respiro nazionale. Eppure parliamo di un settore trasversale a numerosi altri comparti, che genera un elevato moltiplicatore economico. La creazione di un ministero ad hoc è un segnale di attenzione da parte di questo governo, che da tempo mancava.
Ritiene soddisfacente la collocazione del turismo all’interno del Piano nazionale di rilancio e resilienza?
Nel Pnrr approvato lo scorso 12 gennaio, sotto il governo Conte, al turismo erano destinati solo 1,5 miliardi, che in pratica dovevano servire per tamponare tutte le criticità. Ma è chiaro che si tratta di una cifra risibile. Quando si accenna alla riqualificazione energetica degli edifici, quelli a scopi turistici non vengono considerati. L’aggiornamento delle competenze dei lavoratori, indispensabile per guardare oltre la pandemia, è un tema che investe anche gli addetti del turismo, sia quelli a tempo indeterminato sia gli stagionali, ma del quale non se ne parla mai abbastanza. Così come il turismo non viene posto al centro del rilancio delle aree interne e di quelle colpite dal sisma del 2016-17.
Quali buone pratiche dovremmo “rubare” ai paesi concorrenti relative al turismo?
Sicuramente la capacità di trovare una sintesi virtuosa tra le varie istanze. Molto spesso sento dire che il male del turismo italiano risiede nel fatto che, essendo di competenza delle regioni, non ha una strategia nazionale. Ora una paese come la Spagna, fortemente federalista, riesce comunque a proporre una visione unica del suo turismo. Altro elemento che dovremmo far nostro è una scrittura delle norme più semplice. Nel Pnrr francese le risorse per il turismo sono inferiori, ma è strutturato diversamente, senza blocchi verticali o settoriali per le aziende turistiche.
Tommaso Nutarelli