Feneal, Filca e Fillea hanno messo a punto un documento congiunto in cui chiedono modifiche al ddl di riforma del mercato del lavoro su partite Iva, associazione in partecipazione, ma soprattutto sulla nuova Aspi. Il diario del lavoro ha chiesto al segretario generale della Feneal Uil, Antonio Correale, cosa sarebbe necessario modificare all’interno del ddl per rilanciare il settore edile e venire incontro alle richieste del sindacato.
Correale, cosa contestate della riforma?
Critichiamo la filosofia stessa dell’intero dispositivo poco dedicato a un settore complesso come quello delle costruzioni. In particolare, la riforma non tiene conto del fatto che il settore edile è molto legato alla temporaneità e non c’è certezza, per il lavoratore, di un lavoro continuo: la durata della prestazione lavorativa è legata al tempo impiegato per realizzare l’opera. Questo rappresenta un problema sia per stabilizzare il lavoro flessibile che per l’applicazione dello strumento di sostegno al reddito.
Ci faccia qualche esempio.
Gliene faccio subito almeno due. Per il lavoro autonomo il ddl prevede che non duri più di 6 mesi, ma i dipendenti edili spesso lavorano anche per meno mesi, quindi sarà più difficile stabilizzare i rapporti di lavoro. Poi c’è il problema della nuova Aspi che sostituisce la disoccupazione speciale. La riforma degli ammortizzatori sociali si basa su criteri che, a differenza dei precedenti, non tengono più conto dei diversi tassi di disoccupazione tra una zona e un’altra del Paese, annullando il maggiore sostegno al reddito per le aree di crisi previsto dalla precedente normativa. Questo creerà un vero e proprio disastro sociale nel Mezzogiorno che presenta un alto tasso di disoccupazione. Prima c’era una differenziazione che prevedeva 27 mesi di disoccupazione speciale al Sud contro i 18 delle regioni del Nord. Ora c’è stato un livellamento.
Cosa chiedete al governo?
Innanzitutto una maggiore corrispondenza tra l’impianto del settore edile e i provvedimenti previsti dalla riforma del lavoro. Poi che siano sbloccate le opere, ci siano interventi concreti rispetto alle infrastrutture ancora al palo, ci sia manutenzione delle città, riconversione qualitativa abitativa, risparmio energetico per rilanciare lo sviluppo e produrre ricchezza.
Qual è il vostro obiettivo?
Rimettere l’edilizia al centro delle scelte industriali di questo paese per dare impulso propulsivo a tutti gli altri settori, dal turismo all’alimentare. Nello specifico chiediamo un piano casa, la manutenzione del territorio per prevenire i disastri ambientali e un piano infrastrutture che renda efficiente il Paese che manca ancora di rete ferroviaria e autostradale.
Gli alimentaristi e i dipendenti del settore del commercio contestano gli stessi punti del ddl, crede sia possibile un’iniziativa unitaria?
Credo di sì, la comunanza di orientamenti è riconducibile innanzitutto a un’impostazione confederale. Cgil, Cisl e Uil stanno riprendendo a parlare lo stesso linguaggio e a concepire le stesse ragioni di lotta. La nostre non sono ragioni corporative, dal momento che la situazione sindacale è più complessa. Le confederazioni hanno dato il via, dopo l’intervento unitario del 13 aprile sulla questione degli esodati, a uno stato di agitazione per tutto il mese di maggio. Nel settore edile il riconoscimento di problemi comuni a tutte e tre le sigle sindacali ci ha sempre portato a iniziative unitarie. Questo ha permesso di trovare insieme le soluzioni e di costruire anche con il mondo imprenditoriale, al di là della conflittualità contrattuale intesa più che altro come dialettica normale, iniziative comuni, come ad esempio l’esperienza rappresentata dagli Stati generali e le iniziative sulla sicurezza sul lavoro.