L’ho ascoltato dall’inizio alla fine in streaming, Mario Draghi, e mai come ora ho nostalgia di quando, in un tempo neanche tanto remoto (2021/22), il pragmatico Marco Leonardi mi scrisse: “sei a bordo”. Ero stata tirata su nel Dipartimento economia di Palazzo Chigi con Mario Draghi Presidente del Consiglio e Bruno Tabacci sottosegretario. E li mi occupavo- come sempre da volontaria e liberamente tecnica – di lavoro, welfare, Pnrr, ecc. Un periodo indimenticabile per una servitrice dello Stato. E ora Draghi, con la Sua infinita saggezza e lucida, concreta fierezza e cultura, ci sprona a fare passi coraggiosi verso una dimensione Europea che ci può far sconfiggere l’irrilevanza se non il declino Italiano e comunitario.
Non sto a ripetere i contenuti del suo generoso intervento, oggi ai parlamentari onorevoli e senatori, sulle linee guida per salvarci dalla stretta mortale in cui siamo, sicuramente anche per colpa nostra, per questa barocca inerzia in cui siamo ingessati da irresponsabili. Ebbene sì sono d’accordo con Tajani e anche con Calenda e anche con Picerno in tante proposte, ma soprattutto sul fatto che è il tempo dell’azione e non del tentennamento ridicolo in un momento della storia che si fa o si muore.
E aggiungo una postilla tutta mia per irrobustire la passione per il lavoro femminile che langue: i dati dell’ISTAT parlano da soli di come siamo messi, senza giubilare per un aumento dell’occupazione che taglia fuori ancora giovani e donne. Due leggi, quella sulle quote femminili nelle aziende partecipate e sulla certificazione di parità delle aziende. Sulle quote, l’Inps conferma: la Legge Golfo /Mosca un po’ di donne nei board ne ha portate ma NON ha aumentato l’occupazione femminile in ruoli di carriera, perché senza interventi complementari seri il loro impatto resta confinato alla governance aziendale, senza effetti concreti sulle condizioni di lavoro delle donne (Maida, Blasi, De Paola su Il Mulino numero di marzo). Ci vuole una ridefinizione dei ruoli delle famiglie, una cultura del lavoro capace di non asfissiare i tempi della vita privata, servizi di cura accessibili ed efficienti: solo così le donne italiane possono trovare spazio per esprimersi.
Quanto alla legge sulla certificazione di genere nelle aziende: abbiamo il numero delle aziende che si sono certificate pagando gli enti certificatori e le consulenze, ma non abbiamo un monitoraggio dell’impatto sulla qualità e quantità dell’occupazione femminile che è ancora schiacciata su salari più bassi e occupazione nei servizi quindi cd povera. Ciò in cui sono impegnata – e devo ringraziare la Ministra Bernini che mi ha chiesto di partecipare al Comitato interministeriale- sono i Diritti Umani: e la dimensione internazionale mi offre l’opportunità di servire il mio Paese. Comunque su almeno i due esempi sopra riportati dobbiamo riflettere e agire concretamente, e anche qui non sto a ripetere che siamo gli/le ultime per occupazione femminile in Europa perché lo sappiamo. Dunque i rimedi ci sono se ci muoviamo su linee convergenti che rafforzano l’uso dei fondi (tanti e mal o poco usati) anche per il mercato comune, il debito comune, certo riappropriandoci di quel coraggio riformatore che possiamo tirare fuori dalle nostre proposte condivise, concrete, libere e forti.
Alessandra Servidori