L’Unità d’Italia, insieme alla Costituzione, sono i valori di forza su cui si poggia l’intero assetto democratico del nostro Paese. Garanzie dello stato di salute della nazione e dei suoi cittadini, baluardi di integrità contro le distorsioni che affliggono i tempi della nostra Storia, lo scudo di ferro che ci tiene al riparo dalle iniquità e dalle violazioni dei diritti costituenti. Principi di merito di per sé inalienabili, ma che oggi, lungo un percorso lungo anni, vediamo messi a rischio da processi sottili ed esasperati contemporaneamente, che sottendono logiche di consenso politico e accaparramento di favori per pochi mettendo in crisi la stabilità di un Paese intero. In questa logica il processo di regionalismo italiano, e più in generale di decentramento politico e amministrativo del nostro Paese, si configura come un fenomeno al cui interno agiscono temi non solo di ordine giuridico o tecnico-amministrativo, ma di grande valenza politica, “che influenzano tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il funzionamento di alcuni grandi servizi pubblici nazionali”. Ed è su questi presupposti che Gianfranco Viesti, autore del saggio Contro la secessione dei ricchi, edito da Laterza nel settembre 2023, analizza in tutti i suoi aspetti la questione delle autonomie regionali, inquadrate in un’ampia cornice storica e corredata da un ricco apparato di riferimenti bibliografici.
Viesti, professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, ha confluito la sua corposa esperienza in economia internazionale, industriale e delle politiche regionali in una puntuale riflessione sul fenomeno del regionalismo partendo da due tesi di fondo: “La prima è che il grande processo di decentramento dei poteri, in particolare a favore delle regioni, che è avvenuto in Italia a partire dagli anni Novanta del XX secolo e poi grazie alla riforma costituzionale del 2011 ha determinato un quadro assai insoddisfacente, ricco di conflitti e problemi”. Un quadro che, nella disamina dell’autore, richiede “una paziente e incisiva azione di miglioramento e di riforma”, senza derive centraliste o di sovranismo regionale. La seconda tesi è che “il dibattito politico degli ultimi anni non è orientato a risolvere questi problemi, ma a crearne di nuovi, gravi”, riferendosi nello specifico alle richieste formulate da alcune regioni – Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna – di decentramento asimmetrico: “Un processo che peggiorerebbe certamente la situazione di insieme, concentrerebbe eccessivamente il potere nelle mani di pochi presidenti di regione e renderebbe ancora più difficile garantire i diritti civili e sociali di tutti i cittadini sull’intero territorio”. La richiesta da parte di queste tre regioni di ulteriori concessioni sotto il profilo amministrativo e gestionale, ma ancor di più sotto il profilo economico, se accolta determinerebbe una “secessione dei ricchi”, che seppure non di diritto lo sarebbe di fatto. “Le regioni con maggiori autonomie – spiega ancora Viesti – si configurerebbero infatti come delle regioni-Stato, seppur formalmente ancora dentro la cornice nazionale”, il che comporterebbe un depauperamento delle capacità di governo e parlamento nel garantire l’equità nell’applicazione e garanzia dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio. Ma la secessione è dei ricchi non solo perché ad avviare questo processo sono state le tre regioni più produttive d’Italia, bensì perché la richiesta, in senso economico-sociale, è spinta “dal desiderio degli amministratori di queste comunità di poter disporre di una parte del gettito delle tasse pagate nelle loro regioni superiore a quanto oggi lo Stato spende oggi nei loro territori. Risorse che, a norma di Costituzione, devono essere utilizzate per fornire essenziali servizi pubblici, e quindi garantire diritti di cittadinanza, a tutti gli italiani, indipendentemente dal loro reddito e dal luogo in cui vivono”. In soldoni: i cittadini delle regioni abbienti saranno sempre più serviti, quelli delle regioni più povere saranno sempre più emarginati.
Ma l’Italia non è l’unico Paese in cui negli anni è cresciuto un certo grado di autonomia regionale: esempi come quelli di Germania, Francia e, soprattutto, Spagna, permettono di ricavare tre condizioni per un buon decentramento dei poteri: “La chiarezza su chi fa cosa; la disponibilità di sufficienti risorse per tutti gli enti di tutti i territori; la possibilità per i cittadini di controllare i loro amministratori e per il governo centrale di intervenire con poteri sostitutivi per garantire i diritti civili e sociali”. Condizioni che, nel Belpaese, paiono non sussistere, soprattutto alla luce dei grandi stravolgimenti politico-economici che ci hanno investiti dagli anni Novanta e, in particolare, con l’approvazione nel 1999 della legge costituzionale – che prevede l’elezione diretta dei presidenti di regione e la loro autonomia statuaria – e le modifiche al Titolo V della Costituzione e la conseguente promulgazione della legge costituzionale 3 del 18 ottobre 2021 – che agli articoli 114, 117, 119, 120, ma soprattutto con il terzo comma dell’articolo 116 riscrivono nuovi assetti delle competenze regionali e dei trasferimenti di potere, in senso sia amministrativo che fiscale. “Con la riforma costituzionale l’assetto di governo italiano, in molti campi dell’azione pubblica, è divenuto più complesso – spiega ancora Viesti -. Nelle numerose materie in cui sono previsti poteri concorrenti fra Stato e regioni si sono create vaste zone di incertezza, che hanno provocato un’accesa conflittualità”. Quanto è più interessante e che desta preoccupazione è che si è verificato un vero e proprio slittamento di poteri dal centrale al regionale, “reso più forte dall’indebolimento dei rapporti fra parlamentari e i propri territori […]. Complessivamente, si è rafforzata una tendenza che si può definire “sovranismo regionale”: l’idea che i cittadini siano tutelati non dalla legislazione nazionale e da principi comuni a tutto il paese, ma dall’azione dei proprio rappresentanti territoriali nel gioco politico e del riparto delle risorse a scala nazionale. Una visione distorta secondo la quale gli interessi dei cittadini sono legati a quelli dei propri amministratori. Un approccio al regionalismo secondo il quale il trasferimento di poteri e risorse agli enti territoriali non è un mezzo per assicurare nella maniera più efficace ed efficiente servizi per i cittadini, ma diviene un fine in sé”.
La lunga disamina di Viesti mette in luce tutti i rischi che affondano le proprie radici in questo mare magnum di confusione e instabilità, di disomogeneità territoriale già congenita e che con le tre regioni aprifila della secessione potrebbe dare il via al percorso di richieste anche da parte delle rimanenti regioni a statuto ordinario e approfondire ancora di più i gap esistenti. “Con l’attuazione dell’autonomia regionale differenziata, le competenze e le potestà legislative e amministrative delle attuali regioni a statuto ordinario potrebbero essere differenti da caso a caso; ognuna di esse potrebbe poi definire scelte normative differenti in ciascuna materia”, in particolare su sanità e istruzione, e questo comporterebbe “una situazione di estrema confusione dei poteri e delle regole”. Aumento della complessità istituzionale e dei costi di coordinamento delle politiche pubbliche, diseconomie, moltiplicazione dei costi fissi nella gestione pubblica, rischi per il sistema imprese e per ambiti come l’edilizia, i servizi sanitari, l’ambiente, la cultura, l’istruzione, servizi per energia e trasporti. Con il regionalismo differenziato l’Italia diventerebbe un Paese arlecchinesco, “da operetta”, “nel quale i pubblici poteri nazionali si sono spogliati di potestà decisionali di enorme rilevanza a vantaggio di regioni differenziate, divenute delle vere regioni-Stato”.
“Non basta cambiare alcune norme per costruire un paese migliore”, conclude Viesti, riferendosi in particolare all’idea “che basti spostare poteri dal centro verso la periferia per accrescere la qualità della vita di tutti i cittadini e migliorare le condizioni in cui operano le imprese è un pericolosissima illusione”. Tanto c’è da fare per invertire questo processo e le oltre 100mila firme raccolte per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare di riforma degli articoli 116 e 117 della Costituzione è solo l’inizio.
Contro la secessione dei ricchi, in definitiva, è un vademecum per la lettura di un fenomeno che ci coinvolge tutti di cui l’opinione pubblica fatica a parlare; in gioco ci sono i diritti e la sovranità del popolo stesso, non concetti astratti difficilmente comprensibili. Il merito di Viesti è l’aver sistematizzato non solo dati di fatto di per sé incontrovertibili, ma di averli sezionati e ragionati senza partito o ideologia sottesa. Na lettura che si rende necessaria soprattutto per la velocità con cui del ministro degli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, continua la sua corsa verso la piena attuazione.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale
Autore: Gianfranco Viesti
Editore: Laterza saggi
Anno di pubblicazione: settembre 2023
Pagine: 184 pp.
ISBN: 9788858152133
Prezzo: 14€