Un rinnovo difficile per un comparto strategico: il nuovo contratto scuola, relativo al 2019-2021, è stato frutto di una trattativa plurale e complessa, le cui lungaggini rivelano una “buropatologia” da cui il sistema Italia fatica a guarire, spiega a Il diario del lavoro la segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci. Tuttavia si tratta del “miglior risultato possibile”, che apre la strada alla partita contrattuale sulla dirigenza e al rinnovo del contratto scuola 2022-2024, per cui l’auspicio è non ripetere i ritardi prolungati “al di là del tollerabile”.
Dall’intesa di luglio 2023 alla firma definitiva di gennaio 2024. Come mai questi tempi così prolungati?
I mesi trascorsi sono quelli impiegati per lo svolgimento delle procedure di verifica e certificazione, che coinvolgono una pluralità di soggetti (funzione pubblica, ministero dell’economia, corte dei conti, presidenza del consiglio dei ministri) ognuno dei quali ha le sue prerogative e i suoi tempi. Non dimentichiamo che si tratta di un contratto di lavoro pubblico, che utilizza risorse a carico del bilancio dello Stato; so di dire un’ovvietà, ma non è detto che tutti se ne rendano sempre pienamente conto. Detto questo, non c’è dubbio che il lasso di tempo trascorso debba considerarsi eccessivo, in linea con la “buropatologia” da cui il sistema Italia fatica a guarire. Sarebbe il caso di cercare e trovare, ma non con gli stessi tempi, le medicine adatte.
Quali i contenuti del contratto?
La parte economica è stata definita un anno fa, con una procedura inedita che ha visto utilizzare in anticipo il 95% delle risorse disponibili, in attesa di completare una parte normativa che presentava aspetti di particolare complessità, specialmente per quanto riguarda il nuovo ordinamento del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, un ambito del lavoro scolastico di cui spesso non viene abbastanza considerata l’importanza. I benefici economici, con un incremento medio di 124 euro mensili lordi, sono in linea con quanto ottenuto in tutti i contratti del lavoro pubblico, noi li consideriamo un passo in avanti verso l’obiettivo di un riconoscimento più adeguato del lavoro nella scuola, che non può dirsi certo raggiunto. Siamo ancora in ritardo rispetto alle retribuzioni medie europee, come lo siamo, in Italia, nella percentuale di PIL investita in istruzione. Quello è il traguardo a cui tendiamo, con realismo e senza indulgere a demagogie, ma con forte determinazione.
Siete soddisfatti del risultato?
Lo consideriamo il miglior risultato possibile, un buon punto di equilibrio in una trattativa complessa, dove si tratta di mediare non soltanto con la controparte, ma anche rispetto ai tanti e diversi profili professionali che rappresentiamo. Sulla parte economica, siamo particolarmente soddisfatti per aver reso disponibili al negoziato, senza vincoli di destinazione, risorse che in origine erano state finalizzate a una premialità selettiva. Una quota rilevante, 300 milioni di euro, che ha permesso di rafforzare l’incremento retributivo generale tutelando il potere d’acquisto di tutti, per noi una priorità assoluta in questa fase. Sulla parte normativa, è di grande significato l’estensione ai precari di norme sui permessi finora riservate al personale di ruolo, la valorizzazione delle relazioni sindacali su materie che riguardano aspetti importanti del rapporto di lavoro, come la mobilità, la formazione esplicitamente ricondotta all’orario di servizio, all’interno delle attività funzionali all’insegnamento.
Un’altra importante partita contrattuale riguarda la dirigenza, con la trattativa ripresa da pochi giorni.
Sulla dirigenza c’è stato un ritardo prolungato, andato al di là del tollerabile. Noi riteniamo senz’altro prioritario semplificare l’azione professionale dei dirigenti, restituendo loro dignità e anche serenità nell’esercizio dei compiti istituzionali, gravati da troppe e pesanti incombenze. Vogliamo intervenire su diversi aspetti, dalla mobilità interregionale allo stress lavoro correlato, dall’assegnazione di incarichi aggiuntivi, al rapporto con le altre amministrazioni, alla possibilità di esercitare correttamente e compiutamente i poteri di delega, soprattutto in caso di malattia o ferie. Queste sono solo alcune delle questioni da affrontare, oltre al fatto che i livelli retributivi sono assolutamente inadeguati, ancora sperequati rispetto ad altre dirigenze dello Stato. Anche per i dirigenti, non credo francamente che le risorse disponibili consentano di raggiungere pienamente l’obiettivo. Quindi anche per loro il contratto sarà una tappa importante di un percorso che deve continuare.
Quanto al rinnovo del contratto 2022-2024, che tipo di percorso si aspetta il sindacato e quali le richieste più urgenti?
La prima richiesta è che non si ripetano le lunghe attese del triennio precedente, su cui ovviamente hanno influito anche fattori imprevisti, in primis l’emergenza pandemica, e l’instabilità politica, con l’avvicendarsi di ben quattro governi. Per questo daremo a breve la disdetta al CCNL appena firmato, chiedendo che si apra immediatamente la trattativa per il nuovo triennio, anch’esso in dirittura d’arrivo. Chiamiamo il Ministro e il Governo ad assumersi su questo le loro responsabilità: alle dichiarazioni di intenti, sempre prodighe di attenzione e impegni, devono seguire i fatti. Una regola che per noi vale con qualunque governo e qualunque maggioranza.
Il concetto di merito entra a pieno titolo nella scuola con la proposta di differenziazione di stipendio legata alla valutazione della performance. Qual è la sua valutazione?
Intanto stiamo parlando non di questo contratto, ma di un tema che eventualmente riguarderà il prossimo, alla luce di una direttiva del Ministro della Funzione Pubblica che contestiamo, perché ancora una volta non considera minimamente la specificità del nostro settore, che lo stesso Brunetta anni fa non poté ignorare. Su questo tema ribadisco due aspetti per noi fondamentali: resta ancora oggi prioritario, come ho già detto, valorizzare in modo più adeguato e in termini generali il trattamento economico del personale scolastico. Dopo di che, altre forme di progressione economica legate al merito vanno individuate e disciplinate in sede negoziale. Guai se nella scuola, che lo stesso contratto definisce “comunità educante”, gli elementi di concorrenzialità interna finissero per pregiudicare i fattori di cooperazione e di coesione: un danno che pagherebbero soprattutto gli alunni.
Complessivamente qual è l’atteggiamento delle istituzioni al tavolo di trattativa?
C’è una richiesta che mi sento di fare alle istituzioni e alla politica, che non sono direttamente presenti quando si contratta all’ARAN: riconoscano il valore dei tavoli di trattativa evitando anzitutto di intervenire con atti di legge che sulla regolazione del rapporto di lavoro. Un vizio ricorrente, da cui nessuno schieramento politico tra quelli che si sono avvicendati negli anni scorsi può dirsi esente.
Il progetto di autonomia differenziata sta agitando gli animi soprattutto per quanto riguarda istruzione e sanità. Quali scenari per la scuola?
La nostra posizione su questo tema è molto chiara e netta, frutto di un dibattito interno approfondito e più volte espressa anche in documenti dei nostri organismi statutari e in iniziative pubbliche: ricordo due convegni, uno del 2019 e uno dello scorso anno, nei quali abbiamo argomentato il nostro no a una regionalizzazione del sistema pubblico di istruzione. Crediamo che il sistema scolastico debba mantenere il proprio carattere unitario e nazionale, diversamente si andrebbe in direzione esattamente opposta a quella indicata dal Pnrr, che punta a ridurre ed eliminare disparità e disuguaglianze ancora molto marcate fra le diverse aree del Paese anche per quanto riguarda gli esiti formativi. La scuola concorre in modo fondamentale a costruire l’identità e la coesione della comunità nazionale. Le specificità territoriali trovano già nell’autonomia delle istituzioni scolastiche l’opportunità di essere giustamente considerate e valorizzate, affidare il governo del sistema alle regioni ci porterebbe a una nuova forma di centralismo ancor più asfissiante, in cui si rafforzerebbe l’invadenza della politica. Il carattere unitario e nazionale va confermato in modo particolare per quanto riguarda le modalità di reclutamento degli insegnanti, garantendo la spendibilità in tutta Italia delle abilitazioni conseguite, a salvaguardia di un’unitarietà del profilo che è anch’essa presidio di unità nazionale e coesione del Paese”.
Elettra Raffaela Melucci