Roma, corso Trieste 36. E’ qui che, ormai da più di 50 anni, hanno la loro sede nazionale i sindacati dei metalmeccanici. Narrano le cronache sindacali che l’edificio di cui stiamo parlando fosse stato progettato, inizialmente, per un altro scopo. Ma è qui che, nel 1972, pose la sua sede l’allora neonata Flm, la Federazione lavoratori metalmeccanici, cioè l’organizzazione unitaria dei sindacati della maggiore categoria dell’industria, nata sull’onda delle lotte e delle conquiste dell’autunno caldo del 1969.
Il patto su cui era sorta la Flm durò però poi solo per una dozzina di anni, e già ai primi del 1984 la federazione unitaria cessò di esistere. Ma adesso, a più di 40 anni da quella rottura, la scritta Flm fa ancora mostra di sé su due lati esterni della palazzina. Anche se, accanto al cancello di ingresso, una piccola targa avverte chi si accinga a varcarlo che quella in cui sta per entrare è sede ormai di tre organizzazioni distinte: Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil.
Perché ci siamo permessi di indulgere in questa piccola rievocazione storica? Perché oggi i tre sindacati dei metalmeccanici hanno convocato una conferenza stampa che ha avuto a proprio oggetto il contrastato andamento della vertenza per il rinnovo del Contratto nazionale della categoria. E quando i Segretari generali delle tre organizzazioni hanno cominciato a parlare di fronte ai giornalisti presenti, e a quelli collegati da remoto, si è sentito subito che nella sede di corso Trieste aleggia ancora, o di nuovo, uno spirito fortemente unitario.
Ovviamente, non siamo più ai tempi della Flm e il nostro Paese, così come il mondo di cui fa parte, è molto cambiato da allora. Però c’è una cosa che colpisce l’osservatore esterno, ovvero la sintonia cui sono improntate le parole pronunciate da Ferdinando Uliano, Michele De Palma e Rocco Palombella, Segretari generali, rispettivamente, di Fim, Fiom e Uilm.
Perché, dunque, questi tre dirigenti sindacali hanno convocato questa conferenza stampa? Per annunciare che le loro organizzazioni hanno proclamato unitariamente uno sciopero nazionale di 8 ore per la giornata di venerdì 28 marzo. Una giornata in cui saranno effettuate anche manifestazioni regionali e provinciali.
Scopo dell’iniziativa di lotta: la “riconquista del tavolo di trattativa” e la conquista di “un accordo da sottoscrivere in tempi rapidi e in sintonia con le aspettative e il giusto riconoscimento del lavoro svolto dai metalmeccanici”.
Ora, che le cose in questa trattativa non andassero bene lo si era capito già da tempo. Come minimo, dalla rottura determinatasi “il 12 novembre scorso, dopo otto incontri” effettuati nel corso di una trattativa iniziata il 30 maggio 2024. Ma ciò che adesso ci preme sottolineare è la novità costituita dall’annuncio odierno.
Questa novità non sta tanto nella decisione di effettuare un nuovo sciopero, quanto nella sua modalità. Infatti, dopo la rottura intervenuta, come si è detto, nella prima metà di novembre dell’anno scorso, i sindacati dei metalmeccanici avevano già proclamato due successivi pacchetti di 8 ore di astensioni dal lavoro.
Un primo pacchetto di ore di sciopero, accompagnato dalla proclamazione del blocco degli straordinari e delle flessibilità, era stato effettuato, in termini articolati su base aziendale e/o territoriale, tra la seconda metà di novembre 2024 e il gennaio di quest’anno. A ciò aveva fatto seguito un secondo analogo pacchetto lanciato nel mese di febbraio 2025. Qui sul Diario ci eravamo permessi di osservare che questa tattica sembrava finalizzata non tanto a destare l’attenzione dell’opinione pubblica, quanto a premere sulla controparte a partire dai diversi luoghi di lavoro.
Ora par di capire che, a questo punto, Fim, Fiom e Uilm ritengano di aver già mostrato a sufficienza alle proprie controparti imprenditoriali, Federmeccanica e Assistal, che il seguito di cui godono in fabbrica è più che convinto. Ma, non avendo ancora ottenuto risultati tangibili nel rapporto con tali controparti, abbiano deciso di rendere più visibile la lotta in corso anche fuori dalle fabbriche.
Come hanno sottolineato, d’altra parte, Uliano, De Palma e Palombella, lo scontro contrattuale comincia a farsi più aspro proprio perché, nonostante i 9 mesi passati dal primo incontro, non ci si trova, come suole accadere in molti negoziati contrattuali, di fronte a differenze quantitative relative al numero di ore di lavoro da effettuare o alle retribuzioni orarie, ma di fronte a una contesa relativa al modello contrattuale. In altri termini, l’obiettivo per cui i sindacati chiedono ai lavoratori di scendere in sciopero è quello, non meno classico, ma più drammatico, della cosiddetta conquista del tavolo negoziale.
Una conquista resa più difficile proprio dal fatto che il principale punto di dissenso fra le parti è relativo non solo all’entità delle richieste salariali, ma alla struttura degli aumenti richiesti. In parole povere, fin dall’inizio della trattativa si è palesato un dissenso netto fra le richieste sindacali, che sono volte a una crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni, e le disponibilità espresse dalle imprese, che sembrano limitarsi al mantenimento di tale potere di acquisto.
Nella contesa, le associazioni imprenditoriali sottolineano la necessità di non erodere ulteriormente dei margini di profitto che, a loro avviso, sono stati messi a rischio da una serie di cause quali gli accresciuti costi energetici. Mentre i sindacati ribattono che se i salari non crescono, la domanda interna è destinata a languire e quindi la nostra economia è destinata a ristagnare.
Al momento, la parola torna dunque alle lavoratrici e ai lavoratori che sono stati chiamati alla lotta per la giornata del 28 marzo. In vista di questo appuntamento, il venerdì precedente, e cioè il 21 marzo, Fim, Fiom e Uilm intendono organizzare tre grandi assemblee di delegati che si terranno i tre diverse località, site rispettivamente una al Nord, una al Centro e una al Sud del nostro Paese.
@Fernando_Liuzzi