Si è svolto ieri a Roma, presso la sede nazionale della Confindustria, il secondo incontro della trattativa per il nuovo Contratto dei metalmeccanici. Abbiamo detto secondo incontro perché il primo è quello che si è svolto, nella stessa sede, il 30 maggio scorso. In quell’occasione, c’era stata, per così dire, l’inaugurazione della trattativa. Le parti – i sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm, da un lato, e le organizzazioni imprenditoriali Federmeccanica e Assistal, dall’altro – avevano esposto le loro posizioni generali e avevano poi concordato un primo elenco di incontri negoziali, due a giugno e due a luglio.
Quello messo in calendario per martedì 18 giugno doveva costituire, dunque, il primo incontro vero e proprio della trattativa. E, a quanto si era capito, avrebbe dovuto vertere su quello che si presenta, probabilmente, come il tema più spinoso del negoziato: quello relativo ai futuri aumenti salariali.
Contrariamente alle attese, nell’incontro di ieri non si è parlato però solo di retribuzioni. Oltre al tema salariale, si è parlato, infatti, anche di orario, o per dir meglio di riduzione dell’orario di lavoro, nonché di welfare integrativo. Ma quest’ampliamento della tematica affrontata nell’incontro non costituisce, di per sé, un buon segno.
Al termine del primo incontro, il Segretario generale della Fiom-Cgil, Michele De Palma, aveva osservato che “da Federmeccanica e Assistal non ci sono state obiezioni di principio”, aggiungendo però, subito dopo, che “abbiamo registrato una distanza siderale tra la nostra piattaforma rivendicativa e le prime considerazioni datoriali”. Ieri, al termine del secondo incontro, un giornalista ha chiesto a De Palma se tale distanza siderale era stata riconfermata. Ed ecco la replica dello stesso De Palma: “Federmeccanica ha risposto di no a tutte le nostre richieste. Sembra che Invece di guardare avanti, Federmeccanica voglia tornare al passato. Ma noi pensiamo che si debba guardare al futuro”.
La nostra impressione è insomma che le parti, sindacali e datoriali, abbiano consapevolmente scelto di non concentrarsi, al secondo incontro, sul solo tema salariale. E ciò, ipotizziamo, per evitare che la trattativa si incagliasse già all’inizio del suo viaggio verso il lontano porto dell’accordo conclusivo.
Al tema retributivo sono stati affiancati, dunque, altri due temi – quelli dell’orario e del welfare integrativo – rispetto ai quali i contrasti sono forse meno acuti, ma non per questo di facile soluzione.
Prendendo a prestito le parole di Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm-Uil, si può dunque dire che la trattativa “è iniziata in salita”.
L’incontro in plenaria, ospitato in un salone al primo piano della palazzina che affianca la sede centrale di Confindustria, nel quartiere romano dell’Eur, è iniziato a metà mattinata e si è prolungato per più di due ore. A un primo, argomentato intervento del Direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, hanno fatto seguito le non meno argomentate repliche dei qui già citati De Palma e Palombella, nonché del Segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano. Alla fine, contro-replica di Franchi e appuntamento a tutti per il terzo incontro, quello previsto per giovedì 27 giugno.
Ma torniamo al tema del salario. In una classica trattativa contrattuale, di solito non è difficile descrivere le differenze tra le parti all’inizio di una trattativa. I sindacati chiedono una cifra x, mentre le organizzazioni imprenditoriali offrono una cifra y, inferiore a x. Il problema, in questo schema, è quello di far avvicinare le due cifre, arrivando a identificare una terza cifra che sia inferiore alla prima ma superiore alla seconda.
Nel nostro caso, però, la situazione è più complicata. Vediamo perché. Con il contratto del novembre 2016, le parti avevano concordato un nuovo sistema contrattuale con cui la funzione del Contratto nazionale, in materia salariale, doveva essere quella di proteggere il potere d’acquisto dei salari. Ciò attraverso delle tranche annuali di aumento del salario nominale volte a recuperare quanto perso nei dodici mesi precedenti a causa dell’inflazione. Alla contrattazione aziendale veniva invece affidato il compito di far crescere in termini assoluti il potere d’acquisto delle retribuzioni, redistribuendo parte della ricchezza prodotta in più in azienda. Dopodiché, è stato istituito anche un cosiddetto “elemento perequativo”, ovvero una cifra pari a 485 euro lordi annui da assegnare a quei lavoratori che si fossero trovati ad essere privi di qualsiasi beneficio della contrattazione integrativa (aziendale, territoriale o individuale) e, quindi, ad avere in busta paga solo il salario determinato, per i vari livelli dell’inquadramento professionale, dal Contratto nazionale.
Anche per il successivo rinnovo contrattuale, quello conclusosi nel febbraio 2021, le parti si attennero, in linea di massima, a questo schema. Solo che, in questo caso, il cuore dell’accordo fu il completo rinnovamento dell’inquadramento professionale. Cosa che, anche in base a quanto pattuito fra le Confederazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e la Confindustria col Patto della fabbrica del marzo 2018, consentì di ritoccare all’insù le retribuzioni dei metalmeccanici per mezzo del nuovo Contratto nazionale e non solo affidando tale compito alla contrattazione di secondo livello.
Adesso, mentre da un lato le retribuzioni dei lavoratori sono state decurtate da una prolungata fase di inflazione, e mentre dall’altro la transizione tecnologica chiede agli stessi lavoratori nuove competenze, i sindacati dei metalmeccanici si sono presentati al tavolo delle trattative avanzando una richiesta di aumenti salariali per il prossimo triennio pari, in media, a 280 euro lordi a regime.
A ciò la Federmeccanica ha controbattuto che il potere d’acquisto delle retribuzioni è stato sostanzialmente difeso dal meccanismo basato sui cosiddetti “minimi di garanzia”, meccanismo introdotto con il Contratto del 2021. Una clausola che consente di recuperare, con cadenza annuale, lo scostamento fra il precedente potere d’acquisto e quello ridotto dall’inflazione. Scostamento misurabile grazie all’indice Ipca-Nei (indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea al netto dei beni energetici importati) definito dall’Istat e reso noto dallo stesso Istituto ai primi di giugno di ogni anno.
Federmeccanica ha quindi ricordato che l’adeguamento dei minimi di garanzia, a partire dalle buste paga relative al corrente mese di giugno 2024, sarà pari a 137,52 euro lordi al livello C3, ovvero al livello medio rispetto alle 9 categorie previste dall’attuale inquadramento. Considerando che al giugno 2023 tale meccanismo ha prodotto un adeguamento pari a 123,40 euro lordi al medesimo livello C3, si ricava che, nel biennio, l’adeguamento dei minimi salariali è stato pari a 260 euro lordi al mese.
Sindacati e associazioni imprenditoriali concordano dunque sulla valutazione che il Contratto della maggiore categoria della nostra industria manifatturiera funziona per ciò che riguarda la sua funzione di tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni, ma da questa valutazione ricavano due conseguenze opposte. I primi pensano che vi siano gli spazi per ulteriori aumenti, volti a compensare le perdite subite in una più lunga fase inflattiva, nonché il contributo dato dai lavoratori per consentire alle imprese di affrontare la difficile fase delle transizioni attualmente in corso. Mentre le seconde si mostrano preoccupate per i margini operativi sempre più ristretti di molte imprese e non vorrebbero quindi che tali imprese venissero gravate di ulteriori costi. E non sembrano intenzionate ad offrire a partire dal Contratto nazionale, per i prossimi tre anni, neanche un euro in più rispetto alla pura tutela del potere d’acquisto dei salari.
Concludiamo riportando un concetto espresso nella mattinata di ieri, intervenendo al tavolo negoziale, dal Segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano: “Nonostante le distanze che oggi registriamo sul fronte salariale, bisogna presidiare il tavolo negoziale. Abbiamo davanti un percorso lungo, dobbiamo lavorare insieme alla ricerca di soluzioni che avvicinino le nostre posizioni, come abbiamo fatto in un momento difficile come quello del contratto rinnovato in piena pandemia”.
Un concetto che ci serve per esprimere la nostra impressione sull’avvio di questa trattativa, ovvero che le distanze fra le parti sono effettivamente consistenti e che, per adesso, non si intravedono soluzioni che possano coinvolgere facilmente l’insieme delle due delegazioni. Resta però il fatto che le stesse parti sembrano ancora accomunate dalla soddisfazione per il lavoro fatto insieme nei rinnovi del 2016 e del 2021. Prossima puntata, il 27 giugno.
@Fernando_Liuzzi