Luigi Copiello
(vedi in l’Intervista)
Dissento radicalmente dal ragionamento di Aris Accornero nell’intervista a Il Diario del Lavoro, e non certo per solidarietà con la Fiom, visto che sono dirigente della Fim Cisl. La sua proposta di ‘campagna demagogica tesa a un recupero economico, a un riscatto salariale della categoria’ è sbagliata per mancanza di … demos, di popolo. E sbagliata anche la critica alla Fiom che ha voluto ‘intavolare una discussione … sulla revisione del 1993’.
Veniamo al primo punto. I soldi girano, tanti, e per molti. Occorrono ancora esempi? Quanti sono i superminimi, tra gran parte dei livelli professionali? Quante sono le più svariate, ma in ogni modo cospicue indennità elargite? Un esempio, sentito ieri, nell’ultima assemblea: 240.000 lire per una prestazione domenicale, aggiunte alle ore e alle maggiorazioni di contratto; in tutto un bel 400.000 netto, per un normale lavoro di produzione, in una qualsiasi valle del Veneto. D’altra parte, come sostiene Bruno Anastasia, esperto dell’Agenzia Veneto Lavoro e direttore dell’Ires del Veneto, se nel mercato del lavoro l’offerta domina la domanda, se i ‘posti’ sono molti e le braccia sono poche, tutto ciò avrà pure un prezzo! Vale per tutti? No. Ma per i più, cioè per il demos, sì. Da questo punto di vista, i soldi chiesti nel contratto sono sempre pochi ed allora tanto vale chiudere senza tanti scioperi.
Controprova: l’altro contratto dei metalmeccanici finì per mancanza di demos in lotta. Dopo 42 ore di sciopero, ci accorgemmo, o finalmente decidemmo di accorgerci, che Pignone di Firenze e Breda di Pistoia non scioperavano più, che Piaggio gi& faceva straordinari, che in Fiat era al solito un pianto, etc. etc. In lotta c’erano solo le fanterie leggere delle medie aziende veneto-emiliane. Unitariamente, si accettò il ‘lodo’ Bassolino, che faceva entrare nell’accordo ciò che era stato escluso dalla piattaforma (la flessibilità d’orario).
Il contratto nazionale è morto? No. Tutt’altro. E qui veniamo alle regole. Come recuperare l’autorità salariale della contrattazione e del sindacato? Perché questo è il punto. Che è anche un punto di equità (i soldi girano, per molti, ma non per tutti). Bisogna allora cambiare le regole del 1993. Cambiarle al centro, e quindi con un accordo nazionale, che definisca regole nazionali. Certo queste non sono disponibili solo per i metalmeccanici. Ed in questo la Fiom ha sbagliato. Ma soprattutto: regole a maglie larghe, che affidino ai territori poteri e contenuti di contrattazione importanti. Ed in questo la Fiom ha doppiamente sbagliato, volendo riaccentrare la produttività, sotto le spoglie dell’andamento del settore. Errore consapevole, tutt’altro che bizzarro.
Preciso: affidare ai territori, più che alle imprese. Recenti illusioni confindustriali ed antiche certezze sindacali dicono che il centro della periferia è l’impresa. A parte che è un centro di sempre minori dimensioni, di nuovo: se nel mercato del lavoro l’offerta domina la domanda, è la singola impresa la sede per stabilire il prezzo della prestazione? O non è il territorio? Il tema della regolazione e dello sviluppo professionale su base territoriale è la frontiera delle relazioni sindacali. Nuova, difficile ed inesplorata quanto si vuole, ma andiamo avanti con gli strumenti dell’altro secolo?
Postilla: ma i metalmeccanici sono ricchi? No, nella maggioranza. E ci sono, e come ci sono!, lavori e lavoratori poveri. Ma ci sono problemi fiscali, sociali, industriali. Come insegnano, ad esempio, i patti di emersione. Che vengono se e dopo aver risolto i problemi fiscali, sociali ed industriali. Anche la politica ha un suo spazio, non sempre e solo il contratto.