Un’altra grande categoria di lavoratori si appresta ad affrontare lo scoglio del rinnovo del contratto nazionale di lavoro, quella dei chimici. L’iter è appena avviato con l’ok delle segreterie sindacali a una bozza di piattaforma rivendicativa, oggetto di una discussione tra i lavoratori che terminerà alla fine del mese di marzo. Ma il dato più importante è già stato definito, i vertici del sindacato di settore hanno deciso che la richiesta salariale sarà di 305 euro mensili per il livello di riferimento. Una cifra consistente, superiore a quella richiesta dai metalmeccanici che, proprio sul tema del salario, hanno incontrato la forte resistenza degli imprenditori che ha portato al blocco della vertenza.
I sindacati dei chimici però sperano di non avere troppi problemi, anzi contano di confermare la loro tradizione, che è quella di chiudere velocemente le vertenze dei rinnovi contrattuali. Nelle passate occasioni, infatti, il contratto di lavoro è stato rinnovato molto velocemente, a volte dopo solo due sessioni, una volta già al primo incontro. La velocità non è dovuta solo alla capacità delle parti, ma a una rodata consuetudine: le due parti, sindacati e imprese, appena firmato l’accordo per il rinnovo del contratto hanno sempre ripreso a parlarsi, a vagliare richieste e risposte, per arrivare già pronti all’intesa. Che non è mai facile, naturalmente, ma se costruita con pazienza e attenzione, si trasforma in un impegno abbordabile.
È una storia antica. Federchimica, la federazione che raggruppa le aziende del settore, già nel 1986 aveva strutturato un Osservatorio chimico, un organismo bilaterale, del quale facevano parte i rappresentanti delle aziende e del sindacato, che istituzionalizzò una prassi di consultazione periodica tra le parti. Si discuteva un po’ di tutto: salario, orario, classificazione, diritti di informazione, investimenti, innovazione tecnologica, politiche attive del lavoro. Le parti si abituarono così a discutere senza animosità, realizzando una consuetudine al confronto che ha evitato negli anni incomprensioni e malintesi.
Questa abitudine si rivelò fondamentale quando si trattò di affrontare temi spinosi, anche quelli che avvelenavano il dialogo a livello delle confederazioni. E in questi casi Federchimica si distinse per l’autonomia, al limite dell’eresia, dalle indicazioni di Confindustria. Un caso fu quello della scala mobile. Alla fine degli anni Ottanta, il sindacato, ma anche Confindustria, si leccavano le ferite riportate nel corso del grande scontro degli anni 1984-85, prima l’accordo separato, poi il referendum perso da Pci e Cgil. Nessuno voleva riprendere l’argomento, ma i problemi erano stati attenuati, non certo risolti.
Federchimica fece una proposta che apparve subito quanto meno eterodossa. Salario e contingenza, dissero i rappresentanti delle imprese, sono vasi comunicanti, se sale la contingenza cresce il salario e un aumento troppo impetuoso, non controllato, può far uscire dai binari la crescita ordinata delle retribuzioni. Perché allora, ecco la proposta, invece di fissare un aumento dei minimi a ogni rinnovo contrattuale e sperare che la contingenza non cresca troppo, non si inverte il procedimento? Perché non si fissa la crescita complessiva dei salari e poi, una volta scattata la scala mobile, non si contiene la crescita dei minimi per rispettare l’impegno? Si scatenò l’inferno, in Confindustria ma anche tra i sindacati. I chimici andarono diritti per la loro strada e approvarono un sistema che in pratica smontava tutti i pericoli legati al mal funzionamento della scala mobile. Ma non trovarono imitatori, nessun altro settore volle procedere per questa strada, nemmeno dove i sindacati erano gli stessi che trattavano con le industrie chimiche.
I chimici avevano ragione, ma le appartenenze ebbero la meglio. Tutti sperano che anche quest’anno si ripeta il successo dell’accordo veloce, ma qualche problema potrebbe venire dalle file del sindacato. Recentemente, in occasione di una dura vertenza con l’Eni a proposito del futuro di Versalis, grande azienda chimica pubblica in gravi difficoltà, i tre sindacati si sono infatti divisi. Cisl e Uil hanno firmato un accordo con quel gruppo, la Cgil non lo ha fatto, ritenendo che con questa intesa sarebbe in pratica sparita la chimica di base e non sarebbero più stati disponibili alcuni prodotti fondamentali per tante produzioni. Questa confederazione ha chiesto un piano nazionale, ma non ha trovato ascolto. Il timore è che questa divisione si proponga anche al tavolo del rinnovo del contratto nazionale. La speranza è che alla lunga prevalga l’antica prassi del confronto, la volontà mai dimenticata di cercare l’intesa e di considerare il conflitto un mezzo e non un fine. Decenni di buone relazioni industriali non si buttano via.
Massimo Mascini