Walter Galbusera
L’ipotesi di dar vita a contratti regionali va inquadrata nell’assetto complessivo della contrattazione. Si ridurrebbe ad un puro esercizio propagandistico discutere, come è stato fatto, dei contratti regionali in termini di contrapposizione ideologica.
Il dibattito del sindacato italiano consente di individuare due livelli contrattuali. Il primo quello nazionale, il secondo quello decentrato. Il primo livello deve avere la funzione di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni e di determinare attraverso i contratti interconfederali ed i contratti collettivi nazionali le norme generali di garanzia e di tutela dei lavoratori dipendenti che debbono essere uguali per tutti coloro che, italiani, comunitari od extracomunitari, lavorino sul territorio nazionale. Il secondo livello deve affrontare tutti gli aspetti, che sono i più numerosi, attinenti l’organizzazione del lavoro, la sicurezza, il rapporto differenziato e variabile tra retribuzione e produttività, redditività, responsabilità, qualità del prodotto o del servizio. In questo senso il livello decentrato è determinabile in funzione del settore e della dimensione di impresa a livello regionale, a livello provinciale, a livello distrettuale o a livello aziendale.
E’ evidente che un impianto contrattuale di questo genere implica nei suoi effetti pratici l’emersione di una realtà articolata indotta prevalentemente dalle condizioni economiche dei settori e delle imprese, anche in funzione della loro localizzazione territoriale. L’esistenza dei differenziali retributivi è comunque una realtà già oggi. Ma se si interpretasse una struttura contrattuale dinamica con un sindacato finalmente in grado di esercitare il ruolo di soggetto di governo delle politiche salariali come la riproposizione delle gabbie salariali tradizionali, si scambierebbero lucciole per lanterne, manifestando ancora una volta l’incapacità di assumere una corretta politica rivendicativa coerente con lo sviluppo del Mezzogiorno e di restituire nello stesso tempo maggior autorevolezza e rappresentatività sociale al sindacato.
Il problema non sta tanto nelle disquisizioni causidiche sui contratti regionali quanto sull’assetto contrattuale a doppio binario, che indichi ruoli precisi senza sovrapposizioni di natura rivendicativa tra contratto nazionale e contratto decentrato.
La contrattazione aziendale è il terreno principale dove l’azione contrattuale del sindacato può dispiegare al meglio le potenzialità di una trattativa che accompagni i risultati salariali all’efficienza e alla crescita dell’impresa, rafforzando il sindacato in termini politici e organizzativi.
Ma è altrettanto ovvio che dimensione e natura dell’impresa determinano l’individuazione del livello ottimale di contrattazione decentrata. Già esiste, e da tempo, un livello contrattuale provinciale per alcune categorie come il commercio e gli edili, così come esiste un livello regionale per i contratti decentrati dell’artigianato. Nulla può però togliere sostanza ad un’ipotesi, a mio parere del tutto auspicabile, di distribuzione di una quota della produttività media del lavoro a livello regionale, provinciale o distrettuale, così come si discute proprio in questi giorni della distribuzione di una quota della produttività media a livello nazionale per alcuni importante settori.
C’è da augurarsi che il dibattito sulle politiche contrattuali avvenga su obiettivi strategici espliciti, a partire dal governo delle retribuzioni di fatto e si sostanzi di comportamenti coerenti. Non è più sopportabile che il sindacato subisca condizionamenti fatti di ugualitarismo demagogico e massimalismo rivendicativo capaci solo di creare confusione e di indebolire l’azione sindacale.