Il mondo corre avanti, a velocità impressionante. Le relazioni industriali devono adeguarsi, cambiare rapidamente. O resteranno ferme al palo. E a pagare saranno tutti, imprese e lavoratori. Filippo Contino, responsabile delle relazioni industriali di Enel, pensa che l’adeguamento debba essere veloce e puntare soprattutto all’impiegabilità dei lavoratori, lasciando da parte i vecchi strumenti, le vecchie rivendicazioni. Ed è un po’ preoccupato, perché vede che il sindacato si rende conto di questa esigenza profonda di cambiamento, ma pensa che si tratti di problemi di medio periodo. Per questo, crede che debbano essere le aziende a farsi carico di questo cambiamento, spingendo avanti anche i sindacati. Né può essere un alibi l’instabilità politica: al contrario, in queste situazioni difficili il compito delle parti sociali è supplire alle carenze altrui con accordi e contratti capaci di adeguarsi al mondo che corre avanti.
Contino, sono in crisi le relazioni industriali?
Sono in una fase di accelerata transizione.
Significa che stanno cambiando?
Non può essere altrimenti. Cambia il mondo, l’innovazione, Industry 4.0, la robotica, tutto. E si trasforma il mondo della produzione. Il futuro è già tra di noi, impone un cambiamento radicale, di passo e di paradigma.
Chi deve cambiare?
Tutti. Le parti datoriali non possono pensare di continuare a fare relazioni industriali in modo tradizionale, tutte centralizzate. Ma anche il sindacato deve capire che non è possibile affrontare problemi nuovi con strumenti vecchi come la conflittualità spinta, il rivendicazionismo salariale eccessivo. Il tema centrale delle relazioni industriali non può essere ancora l’articolo 18.
Quale deve essere la priorità?
L’impiegabilità, il mantenere la professionalità con nuovi strumenti, la possibilità di cambiare investendo nei nuovi mestieri.
Un problema che investe i futuri lavoratori?
Non può riguardare solo i nuovi assunti. Questi, per ragioni anagrafiche, hanno il vantaggio di essere già digitali, di saper usare con dimestichezza i nuovi strumenti. Ma se l’età media nelle aziende è alta, si deve investire nei nuovi assunti, ma anche su chi è già in produzione e potrebbe diventare obsoleto in brevissimo tempo.
E se questo non accade?
Se le relazioni industriali non tengono conto di questo scenario in continuo movimento rischiano di restare al palo, per responsabilità diretta delle parti sociali.
Deve cambiare il sindacato?
Deve cambiare il sistema, tutto il sistema di relazioni industriali. Partendo dal presupposto che l’impiegabilità è un valore per i lavoratori, ma anche per l’azienda.
Un processo complesso?
Ma già in atto. L’intuizione del contratto dei metalmeccanici per la formazione lo prova. Un’innovazione importante, che il nostro contratto ha da anni. Il sindacato deve abituarsi a garantire il lavoro, usando flessibilità e formazione, e non mi scandalizzo se poi mi accorgo che è poco attento all’inflazione e alla tenuta del salario reale. Perché questo può essere un vero fattore di successo, ripeto per le aziende come per i lavoratori.
Tutto ciò in tempi rapidi?
Rapidissimi, perché il mondo corre e nessuno può restare indietro. Le relazioni industriali hanno un ruolo chiave nella trasformazione dell’azienda. Cambia il prodotto, cambia il sistema di produzione, cambia la tecnologia, le relazioni industriali devono cambiare anche loro, contemporaneamente.
Le parti sociali sono in grado di adeguare in questa maniera i loro comportamenti?
È necessario che le associazioni datoriali e i sindacati trovino nuovi momenti di crescita, devono fare assieme un percorso preciso, studiare assieme come cambiare, assumersi nuove responsabilità, ponendosi l’obiettivo dell’impiegabilità delle persone e della produttività delle aziende.
Ma, ripeto, saranno capaci di farlo?
O tutti noi siamo capaci di farlo o siamo destinati all’estinzione. Io seguo le relazioni industriali da 30 anni, una volta i problemi erano i tecnicismi, oggi è tutto legato alla persona, alla sua formazione. Le relazioni industriali devono essere una leva di business. Per far questo le aziende devono dotarsi di esperienze trasversali, avere team con professionalità diverse, competenze multifunzionali. Noi lavoriamo già così. perché ci serve sapere se gli accordi che stiamo realizzando sono davvero validi per l’azienda e per i lavoratori.
I sindacati hanno capito cosa sta succedendo?
Hanno parziale consapevolezza di questo cambiamento, non hanno capito che i tempi sono strettissimi, pensano che ci si possa muovere nel medio periodo.
Ma non è così?
Proprio no. Enel investirà nei prossimi due anni 5 miliardi di euro, come non pensare che questo comporta un atteggiamento diverso rispetto al passato? Loro lo capiscono, ma stentano ad adeguarsi.
E allora? Che succede?
Siamo noi che dobbiamo aiutarli, dobbiamo fare un percorso assieme a loro, dobbiamo portarli a bordo, renderli edotti di cosa sta succedendo e di cosa succederà. Solo così saremo tutti protagonisti del cambiamento, guidandolo e non subendolo.
Questo processo non è solo nostro?
Certamente no, investe tutto il mondo. E c’è chi si adegua, chi no. In Germania, dove c’è il sistema di relazioni più partecipato, stanno già rendendosi conto che gli strumenti di legge e di contratto esistenti devono essere modificati perché legati a tempi più rallentati rispetto a come corre il mondo. Se lo fa la Germania lo dobbiamo fare anche noi.
Deve cambiare il sentiment dei lavoratori verso la loro azienda?
Non può non cambiare. I lavoratori devono capire che azienda e sindacati perseguono il loro interesse. Devono capire che è importante per loro trovare altri equilibri, non restare legati solo al salario, ai diritti negati.
Lei è ottimista sul futuro delle relazioni industriali.
Lo sono relativamente. Anche perché noi dobbiamo dare l’esempio. E lo facciamo. Il recente accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil dà indicazioni sulla strada da percorrere, sul fatto che bisogna cooperare, che il futuro è quello. Non è un caso l’attenzione di Confindustria ai processi dell’istruzione dei giovani e dei lavoratori.
In questi tempi di instabilità politica spinta può nascere un senso di lontananza.
Non è così. Al contrario, in queste situazioni le parti sociali hanno una responsabilità superiore. Devono avere una progettualità maggiore, guardare avanti. Se non evolve il quadro legislativo, devono supplire a questo immobilismo gli accordi, i contratti, che dipendono dalla capacità delle parti sociali. I sindacati non devono avere solo una funzione difensiva, devono essere propositivi, trovare nuove tutele, più vicine al mondo che sta cambiando.
Massimo Mascini