Ci si chiede ancora poco e male quali saranno nel tempo le conseguenze della situazione che ha visto irrompere sulla scena mondiale l’emergenza sanitaria, ma non solo, dovuta al coronavirus. Secondo un detto dell’antico filosofo Eraclito “la strada in salita e quella in discesa sono un’unica strada”. Certamente, sempre che si sia coscienti del percorso da compiere… Ma per ora non ci sono segnali incoraggianti in questa direzione.
Semmai in evidenza si è messa la velocità della performance dei mercati finanziari che in pochi giorni sono passati da un inevitabile, breve, disorientamento ad una pronta risalita ,come si conviene ad una economia nella quale la finanza ha spesso la prima e l’ultima parola. In tutto ad occhio e croce i mercati finanziari ci hanno messo meno di 15 giorni per tornare al segno più nelle contrattazioni, poi mettersi opportunamente alla finestra.
Per il resto invece ci si è mossi soprattutto con l’intenzione di puntellare lo scenario immediato, in attesa che “passi ‘a nuttata”. Poche le voci evocatrici del rischio che, come in un malefico gioco dell’oca, si possa ritornare a quel 2009 recessivo, ancora oggi avvertito come un incubo da esorcizzare, più che un percorso da non ripetere.
Una prova di questa lentezza di riflessi la diamo proprio noi: sul piano politico il nostro Paese pare appassionarsi di più, fra polemiche e tempestivi sondaggi, alla questione della prescrizione che alla deriva economica. Il motivo è come sempre semplice e scontato: ne va della sopravvivenza del Governo. Nel frattempo con sorprendente serenità si continua a descrivere il futuro con accenti fiduciosi: è ora di far ripartire l’economia, il lavoro, ridurre le tasse. Una sorta di Eden prossimo venturo che sarebbe alle porte, sperando che non sia il figlio legittimo di quell’anno bellissimo promesso nel 2019 dal Presidente del Consiglio di allora, tuttora in carica.
Ma le analisi sul contesto nel quale ci muoviamo appaiono invece del tutto sfumate se non inesistenti. Quasi che esso contasse assai poco nelle dinamiche politiche ed economiche. Ma proprio in questa sottovalutazione sta probabilmente il pericolo maggiore che si dovrebbe evitare.
Vediamo qualche elemento di riflessione che ci viene offerto dal panorama mondiale. Quale è la maggiore risorsa che oggi è in campo ed è in grado di evitare un ritorno di fiamma della recessione? Indubbiamente l’operato delle Banche Centrali, il vero cuore e motore delle politiche economiche. Determinante come non sono purtroppo le decisioni dei Governi. Quella cinese, come si sa, ha provveduto rapidamente ad iniezioni colossali di liquidità i un sistema duramente ferito dal contagio in atto. La Bce con la Lagarde non deflette dal Qe igorando le impazienze tedesche. La Fed osserva la sorte di Trump ma in fin dei conti ne asseconda le necessità “espansive” in vista delle elezioni Usa di novembre. E l’ Europa? I governi europei? Le preannunciate scelte concertate di politica economica capaci di generare lavoro buono e sviluppo stabile dove sono finite? Risposta non pervenuta.
Inutile dire che la vocazione manufatturiera del Vecchio Continente non gode di buona salute ed anzi zoppica sempre più vistosamente. In Germania si teme il calo del 3,5% della produzione anche in vista di quello che può provocare nei primi mesi del 2020, ma l’altalenante realtà politica impedisce un colpo d’ala. Al più si mette nel mirino la politica monetaria della Lagarde…
In Italia tremano a ragione i subfornitori della industria automobilistica tedesca, ma non c’è nemmeno troppo da rallegrarsi per gli altri settori se il 2019 si è chiuso a dicembre con un vistoso colpo di freno della nostra produzione attorno a -4,3%.
La questione industriale si fa oggi pressante e reclama politiche industriali efficaci. Del resto Wuhan era o non era un hub manifatturiero di primo piano tanto che, non a caso, più di 300 delle maggiori aziende inserite nel Global Top 500 sono presenti in quel territorio? E sono tutti giganti affermati come si può desumere dal noto elenco.
Certo, qualche allentamento della tensione sulla produzione potrà venire dal taglio dei dazi doganali che la Cina ha già inaugurato su diverse centinaia di prodotti americani. Così come fra qualche mese, forse nella seconda parte dell’anno le politiche monetarie espansiva potranno venire in soccorso con qualche frutto positivo. Ma tutto questo non può certo tranquillizzare o spingere ad ignorare una congiuntura economica e produttiva che può farsi assai difficile.
Intanto perché alcune voci possono ”appesantirsi” e di molto nei prossimi mesi: il turismo in primo luogo se non potrà contare sul trend in continua ascesa dei viaggiatori cinesi, ormai oltre i 100 milioni di unità. I consumi in secondo luogo se l’incertezza sul presente consiglierà ancora una volta le famiglie a risparmiare prima che acquistare. Un curioso fenomeno sembra si allarghi in queste settimane: caveau e cassette di sicurezza verrebbero prese d’assalto da banche e dai ceti sociali maggiormente benestanti per contenere denaro cash come mai era avvenuto in precedenza.
Insomma il momento economico è di quelli che non deve essere preso assolutamente sottogamba. Ecco perché non convince il passo della politica rispetto soprattutto alla esigenza di prefigurare una terapia adeguata per sostenere il lavoro e le prospettive produttive del Paese che sarebbero i primi bersagli colpiti da una inversione della congiuntura economica internazionale. Evitando per di più che un ulteriore indebolimento del nostro apparato industriale diventi pericolosamente strutturale.
Sarebbe necessario allora, proprio per questi motivi, l’apertura tempestiva di un confronto fra Governo e parti sociali sulle emergenze che potranno presentarsi di qui a poco. Questo è un caso tipico nel quale una cabina di regia sarebbe più che opportuna.
Né si capisce perché a fronte di cedimenti probabili del nostro tessuto economico non si prepari una strategia alternativa che sia guidata dal settore che più di ogni altro possa offrire esiti rapidi: quello delle opere pubbliche. E non ci si venga a dire che di interventi da fare con urgenza non ce ne sono.
Ed ancora: sarebbe il caso di evitare il peggiore errore commesso nella precedente crisi, vale a dire ignorare la necessità di consolidare e rafforzare l’economia reale ed in essa il nostro settore industriale che è il vero baluardo contro le crisi, cui non si deve rinunciare in alcun modo.
Infine occorre che l’Europa si scuota, evitando che fra qualche mese invece che varare interventi necessari alla tenuta del nostro comune sistema economico si cominci a litigare spinti dalla esclusiva difesa dei rispettivi interessi nazionali, favorendo l’evolvere della attuale stagnazione verso lidi di una crisi sistemica che potrebbe non fermarsi alla sola economia. Finora infatti sul tavolo europeo si intravedono vaghi accenni alla rivisitazione delle regole attuali, si fa largo inopinatamente il problema del livello di inflazione giudicato più idoneo dalla Bce, naviga a vista l’agenda verde che certamente merita attenzione ma che non potrebbe comunque allontanare da sola le preoccupazioni per quel che sta avvenendo.
Ma soprattutto ancora una volta rischiamo di gettare al vento buona parte di quest’anno. Per motivi di opportunità politica, di incertezza sul da farsi, di fragilità delle classi dirigenti, ed anche di decisioni che passano sopra la testa dell’Europa e della politica. Per non parlare delle tensioni internazionali che sono non di certo sopite. Siamo dunque chiamati ad uno sforzo importante di responsabilità, capacità di far fronte alle difficoltà e di impegno costruttivo. Certo serve il dialogo, non servono le isterie, non gli eccessi verbali, non le furbizie per garantirsi un posto a tavola o per togliere la sedia di sotto ai propri concorrenti. Ma anche questi ragionamenti utili, da “sardine” direbbe qualcuno, appaiono insufficienti rispetto a quello che può attenderci al varco. C’è bisogno e presto di mettere dei paletti forti alla nostra economia ed alla tenuta sociale che vanno ben oltre gli orizzonti della propaganda. Potremmo invece cavarcela tenendo a mente innanzitutto quanto diceva Galbraith a proposito della “buona società” da lui vagheggiata: “ essa fallisce quando fallisce la democrazia (ma)…con una vera democrazia la buona società ce la farebbe, anzi sarebbe inevitabile”.
Paolo Pirani – Segretario generale Uiltec