Due bravi ragazzi, due operai, due saldatori, due comunisti, due emiliani, due persone dalla faccia pulita, due strenui paladini dei lavoratori. Così simili eppure così diversi. Vincenzo Colla e Maurizio Landini stanno dividendo la Cgil. Per carità, nulla di simile a quanto avviene nel Pd, con i renziani pronti ad andarsene. No, lo spettro di una possibile scissione non aleggia sulla più grande confederazione italiana, una rottura è impensabile. Nemmeno nel 1984, quando l’ala socialista aderì all’accordo di San Valentino mentre la componente che faceva capo al Pci scendeva in piazza contro il taglio della scala mobile, il vincolo unitario fu violato. Lo stesso Giuseppe Di Vittorio tornerebbe dal paradiso dei sindacalisti per incenerire con un fulmine gli scellerati reprobi.
Nulla di così drammatico, ma da ottobre, il mese della discordia, la discussione congressuale sta facendo vacillare le fondamenta di Corso d’Italia. Susanna Camusso, che in un primo momento aveva pensato ad un’altra donna, Serena Sorrentino, ha indicato Landini quale suo successore, credendo forse che nessuno avrebbe osato sfidare un nome così fascinoso e che gli inevitabili mugugni non si sarebbero trasformati in aperta opposizione. Ma le accuse di aver forzato le regole si sono moltiplicate. E nel giro di pochi giorni Vincenzo Colla è sceso nell’agone. Poteva sembrare una partita persa, una scelta coraggiosa sebbene destinata alla sconfitta. Invece i giochi sono tutti aperti.
Il dibattito, in buona parte sviluppatosi sul Diario del Lavoro, è sempre più infervorato e l’esito del congresso, che si terrà a Bari dal 22 al 25 gennaio, per nulla scontato. La conta interna dà un testa a testa e qualcuno ipotizza persino un piccolo vantaggio per Colla. Tutte valutazioni non ufficiali e da prendere con le molle ma che danno il senso della battaglia in corso. Le assemblee di categoria e quelle territoriali hanno avuto esiti altalenanti e, dopo quelle dei metalmeccanici, i più fervidi sostenitori del loro ex leader, saranno decisive le assise dei pensionati, in pratica la metà delle tessere, che si sentono più rappresentati dal riformista Colla che dal movimentista Landini.
Perché poi, la vera differenza tra i due sta proprio in questo modo d’essere. Da una parte il solco della sinistra storica, dall’altra la ricerca di nuovi equilibri. I landiniani accusano Colla di rappresentare il vecchio apparato e di essere un tradizionalista, i colliani ribattono che Landini occhieggia troppo a Cinquestelle e Lega, dipingendolo come un avventurista. E così, sotto mentite spoglie, la politica, che Bruno Trentin cacciò dalla porta cancellando le componenti, rientra dalla finestra. Questa la profondità dello scontro in atto e sotto il velo dell’attuale querelle sono in discussione non tanto le politiche contrattuali ma la natura stessa della Cgil, la sua autonomia, il suo rapporto con i governi, il suo radicamento nella società, il suo essere un pilastro della democrazia rappresentativa e un baluardo contro vecchi e nuovi fascismi.
Susanna Camusso, la quale nel frattempo è stata sconfitta dall’australiana Sharan Burrow nella corsa per la guida del sindacato mondiale Ituc-Csi, polemizza con chi si richiama al passato sostenendo che “invece di scomodare ai fini della polemica interna i nostri padri, dovremmo discutere apertamente della Cgil e del suo futuro”. Giusto, ma non si possono strappare le radici e dimenticare i valori fondanti. La generosità sociale, la tutela di tutti e il farsi carico degli interessi generali. Senza tentennamenti.
Marco Cianca