Maurizio Marchesini, il vicepresidente di Confindustria con delega per i rapporti di lavoro, continua ad affermare che una delle priorità della sua organizzazione è quella di avviare una trattativa a tratto generale con i sindacati per riprendere la via dello sviluppo. Ha anche illustrato l’impostazione che vuole dare al proprio lavoro. Prima dialoghiamo con i sindacati, ha detto, facciamo la sintesi dei problemi aperti, troviamo un accordo e poi andiamo dal governo. E ha anche indicato i tre temi che intende affrontare con le confederazioni sindacali: la sicurezza, i modelli contrattuali, la rappresentanza. Senza paura che la situazione si complichi ai tavoli dove si tratta per il rinnovo dei contratti nazionali: i più importanti, dice, verranno chiusi entro l’anno, compreso quello dei metalmeccanici, che comunque prevede già una norma che regola la parte salariale, l’argomento più ostico.
Un programma che promette bene, se non fosse per un particolare, che dopo i primi approcci con le confederazioni e gli appuntamenti a rivedersi al più presto, il vertice di Confindustria è sparito. I sindacati non si lamentano più di tanto, ma è un dato di fatto che il confronto non è partito e non ci sono prossimi incontri nelle agende dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Dopo il primo approccio a luglio, poco più che un caffè, a settembre sembrava che l’intenzione fosse quella di un rapido negoziato. Parallelamente è invece fiorito il confronto tra gli industriali e il governo di Giorgia Meloni con un atteggiamento certamente di grande disponibilità e di aperta condivisione delle reciproche strategie.
Non è certo determinante la sintonia che si è palesata tra la premier ed Emanuele Orsini sul destino del Green deal, il piano europeo per la transizione ecologica, come non lo è il fatto che il presidente degli industriali abbia appoggiato con forza l’idea di tagliare gli aiuti a Stellantis, l’azienda erede di quella Fiat che aveva abbandonato Confindustria quindici anni fa. Sono fatti e atteggiamenti importanti, ma rientrano in una schermaglia a più ampio tessuto. Colpisce di più che Marchesini, mentre ribadiva l’interesse al dialogo con i sindacati, affermava di apprezzare la sensibilità dell’esecutivo verso i temi di loro interesse, pur assicurando al contempo che ogni giudizio sulla politica governativa sarà determinato solo dall’esame delle decisioni prese, quindi dagli atti di governo.
L’unica certezza è che questo confronto con le confederazioni sindacali è fermo al palo. Eppure, sarebbe molto importante riuscire a entrare nel merito di questo difficile negoziato. I rapporti tra industriali e sindacati sono stati regolati l’ultima volta nel 2018 con il Patto della fabbrica, un grande accordo interconfederale che intervenne autorevolmente su tutti i temi di comune interesse, innovando profondamente la normativa e aprendo la strada a relazioni industriali concrete e affidabili, degne di una grande potenza industriale. Un accordo interessante da tutti i punti di vista che però, a detta di tutti i protagonisti di allora, doveva essere implementato e arricchito da ulteriori intese sui singoli punti per rendere agibili le strade nuove che erano state tracciate.
Sul perché questo prolungamento di negoziato non ci sia mai stato fioriscono le interpretazioni. I sindacati smisero di essere interessati, forse pensando di essersi spinti anche troppo oltre. Confindustria sembrava più interessata, tanto che a metà mandato il predecessore di Orsini, Carlo Bonomi, nel corso di un’assemblea di Confindustria, propose di riprendere il negoziato, allargandolo al governo. Mario Draghi, capo del governo, dette il proprio assenso, i sindacati però si fecero da parte e non se ne fece più nulla. Forse l’offerta non era stata sufficientemente preparata, forse il sindacato non era ancora pronto, fatto sta che non si andò avanti.
Ma i problemi, quando non vengono affrontati, non spariscono. Se va bene restano lì a preoccupare, se va male incancreniscono e peggiorano. Per questo sarebbe un bene per tutti se il negoziato riprendesse con vigore. Anche perché, come ha detto più volte Orsini, anche prima di diventare presidente, le parti sociali, industriali e sindacati, hanno perso forza politica, tanto è vero che tutti gli ultimi governi hanno sempre preso le decisioni più importanti senza consultarli, al più convocandoli separatamente appena prima di riunioni decisive del Consiglio dei ministri e sempre per informarli, mai per un reale confronto. L’unica strada per riacquistare prestigio e forza contrattuale, per poter tornare a pesare sulle scelte di fondo della politica economica e sociale è quella che le parti sociali si mettano d’accordo preventivamente e solo dopo presentino le proprie proposte all’esecutivo che, a quel punto, difficilmente potrebbe respingerle. Ma per cogliere questo obiettivo bisognerà desiderare, e non solo a parole, di confrontarsi e trovare un accordo. Desiderio che forse non c’è ancora.
Massimo Mascini