Confindustria nella bufera, almeno quella mediatica. È stato il presidente Vincenzo Boccia a mettere in moto il meccanismo, quando all’assemblea di Vicenza ha creduto bene di affermare di “credere fortemente nella Lega”. Un endorsment, hanno subito tuonato in parecchi, primo tra gli altri Carlo Calenda che solo qualche giorno prima aveva firmato un tweet nel quale si chiedeva il perché del silenzio della Confindustria sul governo, un caso classico a suo avviso di silenzio assordante. Un attacco grave, perché Calenda viene dalle file della Confindustria, per la quale ha lavorato e nella quale si sente, o si sentiva, a casa.
L’uscita di Vincenzo Boccia, poi, ha stupito un po’ tutti, perché sono decenni che la confederazione ha fatto propria la convinzione che non deve mai schierarsi con una forza politica, perché verrebbe meno la sua indipendenza, quindi la sua autorità. Ma le parole erano chiare. È però venuta oggi una smentita, lo stesso Boccia ha spiegato di aver parlato della Lega solo perché all’interno del governo è la componente con la quale Confindustria ha un dialogo, sperimentato da anni e anni, da quando la Lega governa città, comuni, province e regioni. Non una dichiarazione di vicinanza, dunque, ma un richiamo alla trasparenza e alla ragionevolezza, sperando in una manovra economica meno spericolata di quella che è stata annunciata.
Una smentita che pero’ non ha convinto tutti. Perché è vero che dall’assemblea della confederazione, quando la maggioranza giallo verde non era ancora insediata a Palazzo Chigi, in avanti Confindustria si è sempre battuta con forza contro le intenzioni dell’esecutivo, fino a minacciare di scendere per strada assieme ai sindacati per protestare contro il governo (ammesso che questi lo facciano, ma questa è un’altra storia). Ma è anche vero che dalla famosa intervista di Matteo Salvini a Il Sole 24 ore in poi è cambiato il registro, i toni si sono fatti sempre più cauti, le dichiarazioni più tranquille. I commenti sulle decisioni del governo, dopo quelli di fuoco sul decreto dignità, si sono trasformati in una placida attesa di un ritorno a considerazioni più consone.
Insomma, Calenda potrebbe anche non avere ragione, ma l’opposizione di Confindustria verso il governo Salvini-Di Maio si è fatta cauta, circospetta, fino quasi a scomparire. Tanto che c’è da chiedersene il motivo. Perché Confindustria ha cambiato registro? Davvero crede alle parole di Salvini con le quali il ministro dell’Interno assicurava fedeltà ai principi dell’Unione Europea? O dietro c’è qualche cosa d’altro? Forse hanno colpito le minacce, mai troppo velate, di esponenti di governo, soprattutto dei 5S, di sganciare dalla Confindustria le aziende pubbliche o comunque quelle controllate dal ministero dell’Economia se l’opposizione fosse durata troppo o si fosse fatta più dura.
Minaccia antica, che ha un precedente importante perché nei primi anni 60 la Dc, e il Psi, non esitarono a portare le aziende a partecipazione statale, allora si chiamavano così, fuori dalla Confindustria, colpevole di opporsi alla nazionalizzazione delle aziende elettriche e più in generale al centrosinistra, tanto da scendere per la prima volta in campo politico.
Nacque così l’Intersind e fu una spina nel fianco di Confindustria, soprattutto nel campo del lavoro perché portava avanti un dialogo con i sindacati molto intriso di partecipazione, profondamente inviso agli industriali di quel tempo.
È questo che teme la Confindustria di oggi? Se davvero questo fosse il disegno dei partiti, o anche di uno solo dei partiti che formano il governo, forse avrebbe motivo di preoccuparsi. Perché le aziende pubbliche forse non sono tante, ma nemmeno pochissime, e sono certamente molto grandi: Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Leonardo e così via, fior di aziende che sostengono la confederazione con le loro quote, soprattutto una Confindustria poverissima, in enormi difficoltà economiche, che sarebbe costretta, nel caso dello sganciamento, a una dieta dimagrante fortissima, che ne muterebbe in profondità quanto meno la capacità di spesa, quindi di intervento.
È stato proprio Boccia del resto a protestare contro gli attacchi continui degli esponenti (anche stavolta sempre dei 5S) contro la confederazione e contro suoi esponenti di spicco. Attacchi che sono arrivati a minacciare rappresaglie economiche, anche contro i singoli imprenditori. Un costume che non dovrebbe addirsi a un governo in grado di accogliere le critiche, anche dure, con paziente attenzione a non travalicare dai confini della democrazia.
Ma se così fosse, se davvero il comportamento del presidente di Confindustria fosse dettato da un concreto timore di rappresaglia economica, allora davvero il paese avrebbe fatto un altro significativo passo in avanti verso l’addio alla democrazia. Davvero forse saremmo al di là del lecito. Il problema è che di tutto questo nessuno ha contezza, nessuno di quelli che presto saranno chiamati a votare per l’Europa o per qualche governo nel territorio e riverseranno il loro consenso verso quei partiti.
Massimo Mascini