È fatta, il nuovo presidente di Confindustria sarà Emanuele Orsini. Il voto del Consiglio generale della confederazione non lascia dubbi. Né poteva essere altrimenti dopo il ritiro di Edoardo Garrone dalla corsa alla presidenza. Un ritiro che ha lasciato perplessi, perché assolutamente imprevisto, da parte di un contendente che sembrava avere i numeri per poter vincere la competizione. La motivazione addotta da Garrone gli fa certamente onore, perché il presidente di Erg ha motivato la sua scelta con la necessità di dare alla Confindustria una presidenza forte che possa contare sul sostegno quasi unanime del mondo confindustriale. Garrone parla di “svolta storica” impressa in questo modo alla confederazione e la speranza è proprio questa, che si sia voltata pagina, che le divisioni del passato siano un ricordo e nulla più.
Uno dei mali storici di Confindustria è stata infatti la divisione netta nelle votazioni dei due presidenti che hanno preceduto Carlo Bonomi, Giorgio Squinzi nel 2016 e Vincenzo Boccia quattro anni dopo. Tutti e due arrivarono alla presidenza con un vantaggio di pochi voti e in ambedue i casi la divisione all’interno della confederazione non fu mai superata, sicché risultarono due presidenti deboli, non in grado di affrontare e superare le difficili prove con le quali dovettero confrontarsi.
Stavolta, ammesso e non concesso che le divisioni siano state davvero superate con il beau geste di Garrone, la nuova presidenza potrebbe partire col piede giusto. Il punto è che non basta l’unità nel mondo industriale per fare grande la Confindustria. Ne fanno fede i quattro anni di Carlo Bonomi, arrivato al vertice dell’organizzazione senza contendenti, ma risultato poi del tutto inadeguato, incapace di svolgere il compito che gli era stato affidato. Insomma, non è un uomo forte a fare grande un’associazione, ma le scelte che questo compie, le decisioni che prende, le alleanze che riesce a stringere.
E allora tutto, o almeno molto, dipenderà dalle scelte che farà il nuovo presidente. Usiamo il futuro non solo perché Orsini deve ancora prendere la guida della confederazione, ma perché poco o nulla si sa di cosa vorrà fare nel prossimo futuro. I programmi dei diversi candidati non hanno detto molto, anche perché tutti erano oltremodo generici, non davano indicazioni di cosa davvero ciascuno volesse fare. Una cosa è rimasta impressa, hanno tutti affermato che è necessario dare nuovo impulso alla sede della rappresentanza a Bruxelles. Giusto, perché è da lì che viene gran parte delle indicazioni di politica economica che interessano il nostro paese, ma francamente non ci sembra che questa sia la priorità di Confindustria.
A Bruxelles si fa lobby, si cerca di dirottare con mezzi leciti le decisioni della Commissione e del Parlamento europeo per favorire gli interessi del paese. Intento nobilissimo, ma non è lobby, o non è solo lobby che deve fare Confindustria. Il suo impegno deve essere quello di produrre idee, dare indicazioni, studiare cosa accade e produrre quella conoscenza che consenta le scelte giuste. Ma allora sarebbe molto più utile spendere risorse ed energie, ad esempio, per rafforzare il Centro Studi più che la rappresentanza a Bruxelles.
La prima scelta complessa che attende il nuovo presidente sarà comunque quella del prossimo direttore generale. La procedura, quanto meno anomala, che Bonomi ha seguito per sbarazzarsi dell’ultima direttrice generale ha lasciato tutti stupefatti. Adesso, ancora una volta, si dovrà girare pagina. E sarà una scelta difficile, che deve essere attentamente calibrata, valutando con attenzione quali saranno le priorità della nuova Confindustria e tarando su queste le figure del nuovo vertice.
Ma la cosa che più impegnerà la nuova presidenza sarà il rapporto con il mondo della politica, in particolare con il governo in carica. Luigi Abete, che è stato un grande presidente di Confindustria, forse il migliore, dettò la prima regola di comportamento, quella di mantenere sempre forte l’autonomia della confederazione. Si possono avere attenzioni, è giusto misurarsi con il potere politico, perché Confindustria fa politica, è un soggetto politico, ma l’autonomia non deve mai essere messa in discussione. Già riuscire a cogliere questo risultato la direbbe lunga sulla forza di questa nuova presidenza. Che comunque troverà un importante terreno di confronto nel dialogo con il movimento sindacale, lo stesso sul quale Bonomi non è riuscito a cogliere risultati. Il Patto della fabbrica, anche se ha solo cinque anni, deve essere aggiornato, il mondo delle relazioni industriali attende nuove regole che aiutino le parti sociali nella ricerca di nuovi equilibri. Non sarà compito facile, ma questo non esime dal voler tentare di trovare l’accordo.
Massimo Mascini