Sarà rimasto deluso chi nell’assemblea di Confindustria si aspettava di trovare da parte imprenditoriale un grande feeling con i sindacati e invece freddezza nei confronti del governo. Orsini, infatti, ha rispettato i canoni della sua emilianità, schiettezza e bonomia. E così nella sua relazione ha aperto un dialogo con i sindacati senza esporsi più di tanto, e ha mostrato quanto meno attenzione verso il governo Meloni, senza però sposarne le strategie. Difficilmente avrebbe potuto fare qualcosa di diverso. Le grandi transizioni che ci attendono, e che Orsini ha elencato più volte con precisione, non gli consentivano certo di dichiarare guerra all’esecutivo. E così ha scelto la strada più proficua, piena disponibilità al dialogo e anche alla collaborazione, ma altrettanta fermezza sui punti chiave della propria strategia. Il primo, l’energia, il principale problema per il paese e in particolare per tanti settori dell’industria. Ed è stato altrettanto attento a presentare alcune richieste di base, in tema di fiscalità soprattutto, ma anche per quanto si riferisce agli investimenti pubblici.
Giorgia Meloni ha capito e ha assecondato il gioco. Del resto, imprenditori e governo non hanno idee molto dissimili sull’energia e comunque non ha promesso nulla di troppo impegnativo, tranne un generico quanto pleonastico “camminiamo mano nella mano”. Erano altri tempi quelli in cui Luigi Abete presidente di Confindustria si poteva permettere di respingere al mittente le avances di Silvio Berlusconi che dichiarava che le proposte di Confindustria erano le sue.
Oggi Meloni, che non ha molti alleati, né in Italia, né in Europa, doveva quanto meno cercare di portare, quasi gratis, gli industriali dalla sua parte. Ma Orsini è stato abile nello sgusciare da un abbraccio forse non letale, certamente pericoloso. Gli è stato facile trincerarsi dietro l’immagine di una “Confindustria dei risultati”, aperta al dialogo, ma sempre legata ai propri valori. Insomma, non c’è stato nessun piatto di lenticchie, offerto o accettato.
Più concreto invece, sempre nei limiti, il discorso che il presidente di Confindustria ha fatto ai sindacati, ai quali ha offerto un patto su due fronti, la battaglia contro gli incidenti sul lavoro e quella contro i contratti pirata. Per le confederazioni operaie non sono argomenti di secondo piano, tutt’altro. Il capitolo degli incidenti sul lavoro costituisce un punto sempre dolente per il quale i sindacati vorrebbero battersi, sapendo però che è difficile portare a casa risultati non solo di facciata. E ancora più importante è il tema della contrattazione, perché per battere i falsi contratti, l’ultimo è arrivato alla ribalta in questi giorni a opera di Confimi e Confsal, è forse indispensabile arrivare a una legge che faccia chiarezza sulla effettiva titolarità di ciascun attore sociale, sindacale o imprenditoriale che sia. Cgil e Uil vogliono fermamente questa legge e sono pronti a tutto per arrivarci. La Cisl è meno favorevole, forse è addirittura contraria allo strumento legislativo, ma la prospettiva di un patto sociale può far superare qualsiasi preconcetto e aprire molte porte.
Insomma, la mano tesa di Orsini può condurre a una nuova primavera dei rapporti interconfederali. Né deve preoccupare l’altolà di Maurizio Landini che, temendo un’alleanza tra industriali e governo, ha affermato che la Cgil non si limiterà a fare da spettatore in questo confronto. Non si tratta di un vero irrigidimento, il segretario generale della Cgil si è limitato ad affermare la volontà di essere parte attiva nella costruzione di una strategia di paese. Ad allontanare i timori basterà la qualità del confronto che gli industriali sapranno aprire da una parte con il governo, dall’altra con i sindacati. E Orsini non dovrà scegliere, gli sarà sufficiente portare avanti parallelamente i due dialoghi.
E per questa strada non è escluso che si possa arrivare anche lontano. Il dialogo col sindacato può lievitare, fino a una riedizione del Patto della fabbrica del 2018, denso di indicazioni e progetti che non sono più stati portati avanti e la cui definizione converrebbe a tutti.
Massimo Mascini