La ‘’rivoluzione’’ dei salari avviata di Sergio Marchionne lascia fredda la Confindustria, secondo cui ‘’non c’e’ alcuna novita’’, ma semplicemente la riproposizione del premio di risultato, ormai in vigore dal lontano 1993. Per questo, l’associazione degli industriali respinge al mittente anche le accuse dei sindacati che, alla luce dell’iniziativa del Lingotto, invitano Confindustria e Federmeccanica a seguire l’esempio di Marchionne e ad essere meno ‘’conservatori’’.
“Ma quali ‘’conservatori – sbotta Stefano Dolcetta, vicepresidente per le relazioni industriali – Confindustria non ha certo una posizione di “conservazione” sul tema della contrattazione. È vero anzi il contrario. Sono davvero sorpreso da alcune dichiarazioni sindacali di queste ore. In tutte le occasioni di dibattito di questi anni abbiamo sempre sostenuto che la via italiana alla partecipazione è, innanzitutto, nei premi di risultato. Del resto, dal 1993 le imprese più virtuose legano le retribuzioni aziendali proprio ai risultati di produttività e redditività. In questo, non c’è niente di nuovo”.
La vera novità, aggiunge Dolcetta, semmai consiste nel fatto che FCA “sembra intenzionata ad assumere i risultati aziendali quale riferimento esclusivo per fissare i salari aziendali”. In questo, aggiunge, “vedo una sintonia con la proposta che Confindustria ha avanzato nel documento sul lavoro del maggio 2014 e che intendiamo discutere con le organizzazioni sindacali perché diventi la regola per la contrattazione collettiva dei prossimi anni”. In pratica, spiega il vicepresidente, “le imprese che già hanno la contrattazione aziendale, proprio come vuole fare FCA, negozieranno solo incrementi retributivi effettivamente collegati ai risultati aziendali, mentre le imprese che non hanno la contrattazione aziendale, avranno gli aumenti fissati dai CCNL che potranno prevedere peraltro, anche l’applicazione di schemi o modelli retributivi che abbiano un collegamento con i risultati aziendali”.
Sullo sfondo, avverte Dolcetta, resta però, un nodo da sciogliere, ed e’quello del salario minimo, che oggi viene fissato dai contratti nazionali di categoria, ma che alcune ipotesi allo studio del governo vorrebbero delegare a provvedimenti legislativi. Confindustria, invece, resta convinta che sia preferibile continuare ad affidare questo compito alla contrattazione: “teniamo molto all’autonomia delle relazioni sindacali, ma la difesa di questa autonomia ha un senso se si basa su una condizione fondamentale: le relazioni sindacali, così come la contrattazione – conclude Dolcetta – devono fondarsi sul rispetto di regole condivise, che facciano fare un passo avanti a entrambe le parti e non sul mero esercizio della forza”.