Dunque sono rimasti in due. Il gruppo di partenza dei candidati alla presidenza di Confindustria si è dimezzato e solo due nomi sono rimasti in corsa: Edoardo Garrone, presidente del Sole 24 e patron della Erg, ed Emanuele Orsini, attuale vicepresidente con Carlo Bonomi. Quanto agli altri concorrenti, Alberto Marenghi, altro vice di Bonomi, e Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco: il primo si è ritirato di sua iniziativa, il secondo è stato scartato dal comitato dei saggi non avendo raggiunto la quota minima di consensi necessaria per accedere al successivo turno di gara.
A questo proposito varrebbe la pena di riflettere un attimo proprio sulle regole del gioco: che se fin dalla loro introduzione avevano mostrato limiti, mai come questa volta si sono rivelate inutilmente farraginose. La riforma avviata un decennio fa per favorire, si disse, la trasparenza, sembra piuttosto un gioco dell’oca pasticciato. E dire che all’epoca il pacchetto di novità messo a punto da Carlo Pesenti annunciava un futuro basato su ‘’valori, efficienza, partecipazione’’. In realtà, almeno per quanto riguarda l’elezione dei vertici, lungi dall’aumentare il livello di trasparenza, i bizantinismi del regolamento hanno invece aumentato la confusione.
Tutto sommato il vecchio sistema – i saggi che se ne andavano in giro per il paese ascoltando il sentiment della base confindustriale in modo riservato, e poi, tirando le somme in base al proprio insindacabile giudizio, decidevano quale era il nome migliore per la presidenza- garantiva un buon risultato. Ovviamente dietro il nome prescelto si celavano mesi di trattative più o meno sotterranee tra le varie correnti confindustriali, scandite da scontri feroci e inedite alleanze; ma proprio per questo, forse, il nuovo presidente, frutto di un faticoso gentlemen agreement, poteva contare su una certa compattezza dell’associazione: una volta scelto, era scelto, e basta. Certo poco trasparente come sistema, forse non pienamente democratico, ma tutto sommato abbastanza funzionale.
Con le nuove regole, più democratiche, lo statuto confindustriale ammette invece fino a tre candidati finali da sottoporre al voto per la scelta del presidente, precisando però che è necessario, per essere portati al consiglio generale del 4 aprile, che ciascuno di loro abbia ottenuto, da precedenti livelli di selezione, almeno il 20% di voti certificati. Tuttavia, sempre lo Statuto indica ai saggi come “parametro prioritario” da seguire quello della “sintesi” tra i candidati. Ovvero, sfoltire. Dunque, quale sarebbe la regola predominante? Il 20% o la sintesi? Due candidati o tre? Se vi siete persi, se non ci state capendo nulla, tranquilli: è effettivamente una roba bizantina.
Tanto bizantina che Antonio Gozzi, escluso in quanto il suo dichiarato 20% non sarebbe stato certificato secondo le regole, e quindi non valido, starebbe meditando di fare ricorso. Ma del resto non sarebbe l’unico incidente di percorso, considerando che l’iter per le selezioni è stato funestato da lettere anonime e veleni di vario genere, con tutto un seguito di querele e ingiunzioni: che hanno riguardato in particolare Orsini, ma non solo lui, certificando un clima ben poco sereno. Forse anche per questo Alberto Marenghi, nella lettera con cui ha annunciato il suo ritiro dalla corsa, afferma: “siamo arrivati ad una fase nella quale la ricomposizione e la convergenza diventano la nostra comune priorità”. Tradotto: evitiamo di dividerci eccessivamente. Come già è accaduto in Veneto, regione che ha rinunciato a esprimersi su un unico nome non riuscendo a trovare una sintesi tra i quattro candidati in lizza.
Insomma, un quadro non esaltante, tanto più se si considera che la Confindustria esce da un quadriennio di appannamento che l’ha resa quasi ectoplasmatica. Dunque, chiunque sarà eletto il 4 aprile, dovrà mettercela tutta per ricostruire un sistema di rappresentanza che si sta sbriciolando. Ma intanto c’è purtroppo da osservare che nelle linee guida dei programmi, presentate a fine febbraio dagli allora ancora quattro candidati, non è emersa nessuna idea realmente innovativa. Per restare ai due candidati oggi in gara. Orsini ha puntato sull’Europa, proponendo un “Industrial Act” europeo, sul ritorno al nucleare, sui prestiti d’onore per gli studenti e sulla riduzione del peso fiscale sulle bollette, mentre Garrone, che appare al momento il favorito, ha parlato di “una nuova Confindustria per il rilancio del paese’’, di lotta all’evasione fiscale, di maggiore integrazione per gli immigrati e di un rapporto col sindacato meno conflittuale e più collaborativo. Ma i veri programmi, come è noto, saranno presentati solo il 21 marzo. E per allora, forse, qualcosa che dia una vera speranza di rilancio alla Confindustria uscirà, si spera.
Nunzia Penelope