Scena prima. Lo definisce “uomo della necessità”, ma potrebbe anche definirlo l’’’uomo dei sogni”. Concludendo la sua relazione all’Assemblea annuale (spostata all’autunno causa pandemia, e traslocata dall’Auditorium al Palazzetto dello Sport) il presidente della Confindustria Carlo Bonomi parte da Bebe Vio e poi va a braccio: rivolgendosi a Mario Draghi, seduto in platea davanti a lui, quasi invoca un governo che “ci aiuti a realizzare i nostri bellissimi sogni”. Poco prima, è ancora Bonomi a chiedere che il governo Draghi “duri molto a lungo”, più della breve scadenza del 2023, prefigurando, dunque, un coinvolgimento diretto del premier in politica. Una proposta a cui la platea risponde con una standing ovation. Scena seconda. A sua volta, prendendo poco dopo la parola, tocca a Draghi accarezzare le imprese: “La mia presenza qui, oggi, è un ringraziamento a tutte le imprese e ai loro lavoratori. Insieme ai vostri dipendenti, avete fatto la vostra parte. Ma oggi vi chiedo di fare di più. Vorrei che la pagina che state scrivendo oggi con il vostro impegno fosse ricordata come un momento storico, un momento di vanto per il paese”. Tra i vari “grazie” a Confindustria, Draghi sottolinea anche quello per aver “contribuito ad approvare il green pass” per accedere al lavoro che entrerà in vigore a metà ottobre.
Annotazioni, queste, solo apparentemente marginali, ma utilissime per rappresentare il clima, il contesto: quello della più perfetta armonia tra il governo Draghi e il mondo imprenditoriale. Per cui quando Bonomi, nel suo intervento, si rivolge direttamente ai leader di Cgil, Cisl e Uil, “Maurizio, Luigi, Pierpaolo”, e li invita a sedersi tutti assieme a un tavolo per definire insieme un “Patto per l’Italia”, non c’è da stupirsi se qualche minuto dopo sarà Mario Draghi in persona a sponsorizzare la proposta: “Si può pensare a un patto economico, produttivo, sociale, del Paese – dice Draghi uscendo dal testo scritto e andando a braccio per rispondere a Bonomi – ci sono molte misure di cui discutiamo che possono essere materia di questo patto. C’è bisogno di mettersi seduti tutti insieme e cominciare a parlare di quel che si fa”. E, come non fosse chiaro il messaggio aggiunge: “per assicurare equità e pace sociale”, elementi base necessari a sostenere la crescita e accelerare le riforme, occorre avere un quadro di “buone relazioni industriali”.
Le risposte sul fronte sindacale, cioè degli altri indispensabili contraenti il Patto, non sono però univoche. Luigi Sbarra è “disponibile, da subito, a sedersi attorno a un tavolo per negoziare soluzioni importanti su molti temi”. E del resto, sono mesi, anni, che la Cisl chiede un Patto sociale. Si “rimette in moto la possibilità di recupero delle relazioni sindacali e industriali – osserva il leader Cisl – c’è un cammino largo di responsabilità per costruire insieme un nuovo e moderno patto sociale”. Inoltre alle spalle “c’è un lavoro importante che abbiamo già condiviso anche con il premier Mario Draghi. Fisco, pensioni, ammortizzatori, licenziamenti, Def, legge di bilancio: su questi temi chiediamo di poterci confrontare”.
Meno entusiasta il leader della Cgil, Maurizio Landini: più che patti, dice, bisogna “fare accordi e contratti che valorizzano il lavoro e che affrontino il problema della precarietà”. E alla politica chiede, soprattutto, una legge sulla rappresentanza. Ma non si preclude a un confronto diretto su temi specifici, a partire dallo smart working, sul quale, osserva, “si può fare un accordo interconfederale con le imprese, ma poi deve essere regolato nei contratti”. Sul fronte politico, invece, un si assolutamente convinto arriva da Enrico Letta, segretario Pd, che si richiama addirittura a Ciampi: “la proposta di un Patto per il lavoro avanzata da Draghi è molto importante e la condividiamo. Ciampi nel ’93 ha cambiato la storia di questo paese e credo che oggi si possa fare altrettanto. Lo spirito della concertazione è la strada giusta”.
Ma tornando a Confindustria e alla relazione di Bonomi: come già detto, l’associazione sposa totalmente l’azione di Mario Draghi e del suo governo, che “ha restituito credibilità all’Italia”. L’impegno è a non mettere “i bastoni tra le ruote” all’esecutivo, e anzi, si bacchettano i “veti e i giochetti” dei partiti, in questo momento così cruciale in cui il paese cerca di crescere cambiare, ovviamente in meglio, dopo lo shock della pandemia. Ai sindacati Bonomi rivolge l’appello a sedersi assieme, a essere uniti, addirittura a dare attuazione a quel capitolo del Patto della Fabbrica (firmato dal suo predecessore Vincenzo Boccia, e mai citato prima d’ora da Bonomi) che riguarda la compartecipazione: “Perché non pensiamo di avviare commissioni paritetiche imprese-sindacati in ogni azienda subito, applicando la norma del Decreto legislativo n. 81 del 2001, e dando attuazione alla compartecipazione in azienda di cui parlava il Patto della Fabbrica?”, propone Bonomi, anche in un’ottica di prevenzione degli incidenti sul lavoro. E ancora, collaborazione sullo smart working: “a fine anno scadono le norme derogatorie che hanno consentito nel COVID il lavoro a distanza. La domanda che vi faccio, Luigi, Maurizio e Pierpaolo, è molto semplice. Preferite che sia la politica a dettare tipologie, diritti e caratteristiche dello smart working? O non è meglio invece sedersi noi tutti a un tavolo e lavorare a un protocollo interconfederale su cui far convergere imprese e lavoro, da sottoporre poi alla politica come base acquisita? Facciamolo almeno noi, un vero Patto per l’Italia. Non serve a niente l’antagonismo, serve più compartecipazione. Non servono le contrapposizioni, ma entusiasmo e fiducia”.
Bonomi non nasconde, per contro, la preoccupazione per i ritardi sulle riforme e per il “gioco a risiko delle bandierine del consenso effimero” che vede protagoniste le forze politiche, comprese quelle di maggioranza; bastona quelli che ‘”accarezzano i no vax”, vale a dire Lega e Fratelli d’Italia; sollecita la politica a non perdere tempo perché i temi da affrontare sono molti. Elenca i punti dolenti: il caro-bollette, che va disinnescato per evitare una stangata su famiglie e imprese, la riforma tributaria, nata morta se davvero sarà destinataria di appena 3 miliardi, stessa cifra – sottolinea – erogata a una “Alitalia fallita”. E ancora, il lavoro. Il leader degli industriali accusa: le necessarie riforme degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive sono state rinviate perché “si pensava che il blocco dei licenziamenti per legge fosse la panacea” ma questa è stata “una sciocchezza plurima, che non ha impedito che nel 2020 quasi un milione di occupati abbiano perso il lavoro”. Per contro, oggi, senza più il vincolo, i posti di lavoro sono aumentati da inizio anno di 500 mila unità, mentre non c’è stato il tanto annunciato e temuto “tsunami” di licenziamenti.
Quanto agli ammortizzatori sociali, il presidente di Confindustria è a favore del sistema universale a patto che sia di natura assicurativa: “Non possiamo accettare – ha spiegato – di fare da bancomat come già accadde con la Cig”. Infine, sul fronte della previdenza, la critica a Quota 100 è netta: “E’ stata un furto ai danni dei soggetti fragili del nostro welfare squilibrato e può e deve bastare così. L’intervento sulla previdenza non può risolversi in una quota 100 travestita, applicata magari ai 63enni invece che ai 62enni”. I sindacati – che si battono invece per soluzioni di questo genere – sono avvertiti. Ma è avvertita anche la Lega di Matteo Salvini, che quota 100 aveva fortemente voluto, e che oggi, tra gli industriali, sembra meno amata del solito. Sicuramente, al momento, molto meno amata dell’amatissimo Mario Draghi.
Nunzia Penelope