Confcommercio taglia di un decimo di punto la crescita per il nostro paese e rivede al ribasso il Pil per il 2025 e il 2026, rispettivamente allo 0,8% e allo 0,9%. A certificarlo è il Centro Studi della confederazione in apertura della 24esima edizione del Forum.
I dazi, spiega Mariano Bella, direttore del Centro Studi, sono i principali responsabili della flessione, generando un clima di incertezza che si riversa anche sui consumi, che ancora non hanno recuperato i livelli di venti anni fa. Gli italiani, pur avendo le risorse, non spendono anzi accrescono la loro propensione al risparmio. Questo comportamento, spiega ancora l’Ufficio Studi di Confcommercio, riflette non solo la situazione attuale, ma anche la memoria collettiva di decenni di bassa e crescita e crisi improvvise, senza dimenticare la fiammata inflattiva del 2022.
Nel 2024 la spesa pro capite dei residenti si è attestata a 21mila euro. Per il prossimo anno e per il 2026 le proiezioni raccontano di una crescita dell’1,2% e dell’1,1%, portando la spesa a 21.300 euro e a 21.500 euro, numeri ancora inferiori rispetto ai 21.600 euro del 2007. Tra i settori che in questi vent’anni hanno risentito dei cali maggiori spiccano gli alimentari e le bevande, le auto e il vestiario e le calzature, segno di un paese che ha cambiato i propri stili di vita e che sta rapidamente invecchiando.
Le cause della stagnazione dei consumi vanno ricercate nei salari ancora al di sotto rispetto ad altri paesi, benché in crescita grazie al calo dell’inflazione e al rinnovo dei contratti, e alla bassa produttività, che ormai da decenni zavorra la crescita del nostro paese. Nel 2024 lo stipendio lordo di un dipendente a tempo pieno si attesta a 33.900 euro, mentre un collega francese guadagna 44mila euro e un tedesco arriva a 53.800 euro. E in rapporto al costo della vita, il potere d’acquisto degli stipendi italiani resta del 26,5% inferiore rispetto a quello tedesco e del 12,2% a quello francese.
“I consumi, anche alla fine del prossimo anno, non saranno tornati ai livelli del 2007, cioè di venti anni prima. Quindi, bisogna rimettere al centro dell’agenda di Governo la riduzione delle imposte per il ceto produttivo. E bisogna farlo adesso”, afferma Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio.
“In questo senso – aggiunge – il Documento di finanza pubblica varato dal Governo rappresenta un passaggio cruciale. Le previsioni tendenziali di crescita, appena lo 0,6% per il 2025 e uno 0,8% per i due anni successivi, ci ricordano quanto sia necessario dare impulso a riforme e investimenti, per rafforzare il potenziale di sviluppo e migliorare la tenuta dei conti pubblici”.
“Siamo di fronte ad uno scenario dominato da profondi e repentini cambiamenti, la direzione dei quali non è prevedibile. Eppure, nonostante l`incertezza, c`è una nota di ottimismo che voglio valorizzare. Inflazione sotto controllo, occupazione ai massimi e redditi reali in aumento, grazie anche ai rinnovi contrattuali, rappresentano solidi presupposti per consentire all’Italia di reggere l’urto e attraversare con successo un periodo complesso e pieno di incognite – aggiunge Sangalli -. E con l’auspicato nuovo taglio dei tassi d`interesse da parte della BCE, si rafforzerebbero queste luci in uno scenario denso di ombre”.
Sui dazi Sangalli sottolinea come “la parziale marcia indietro dell’amministrazione americana è una buona notizia: implica che abbiamo una controparte che ascolta imprese e mercati. Ma le ampie oscillazioni negli indirizzi di politica economica non sono prive di conseguenze. La loro rimozione – aggiunge -richiede paziente, determinato e faticoso lavoro di negoziazione multilaterale per ricucire e ripristinare. Adesso bisogna tornare a stabilità e fiducia per imprese e consumatori”.
Proprio la fiducia, ricorda Sangalli, “è l’ingrediente fondamentale per far ripartire i consumi e innalzare la propensione all’investimento”.
Tommaso Nutarelli