Francesco Rivolta, direttore generale della Confcommercio, in questa intervista al Diario del Lavoro rivendica i successi dell’organizzazione e spiega perché è ormai arrivato il momento di ‘’misurare’’ la reale rappresentanza delle associazioni datoriali. Confindustria compresa.
Il dizionario del sindacalese si è arricchito recentemente di una nuova definizione: ‘’perimetrazione contrattuale’’. In estrema sintesi, significa delimitare con rigidi paletti il ‘’campo’’ di azione di ogni comparto produttivo, e, in parallelo, stabilire il peso delle rappresentanze datoriali e il diritto a sottoscrivere contratti. Obiettivo dichiarato, disboscare l’attuale giungla dei contratti ma, anche, limitare la concorrenza di altre associazioni datoriali: una esigenza, questa, sentita in particolare dalla Confindustria, che la sta sottoponendo con insistenza ai sindacati nel corso della trattativa sulle nuove relazioni industriali. Al momento la discussione sta procedendo solo tra gli industriali e le tre confederazioni, ma prima o dopo dovrebbe coinvolgere le altre associazioni. Il diario del Lavoro ne ha parlato con Francesco Rivolta, direttore generale di Confcommercio.
Rivolta, voi un accordo con i sindacati sulle nuove relazioni industriali lo avete già firmato l’anno scorso. Come vede questa esigenza di delimitare meglio il perimetro di azione dei vari comparti contrattuali sollevata da Confindustria? E’ reale?
Reale e’ senza dubbio la giungla degli oltre 800 contratti depositati al Cnel, firmati da una miriade di sigle stravaganti, che non rappresentano niente e nessuno. Questo deve finire, e’ un modello sudamericano, non europeo. Ma per quanto riguarda la perimetrazione richiesta dalla Confindustria, è un altro discorso.
Vale a dire?
Noi abbiamo fatto un accordo interconfederale con Cgil, Cisl e Uil nel quale ci si riconosce reciprocamente: il sindacato riconosce a Confcommercio di essere il soggetto rappresentativo del terziario. E’ la rappresentanza che legittima i contratti. Non viceversa. Quindi il perimetro, per quanto ci riguarda, e’ piuttosto chiaro.
Ma Confindustria sembra temere la concorrenza che verrebbe proprio da Confcommercio, nonché, per altri versi, da Confartigianato. Vi state allargando oltre il vostro, diciamo, confine naturale?
Il contratto del terziario riguarda tre milioni di lavoratori. Rappresentiamo in totale 692 mila imprese, e di tutte abbiamo nome, cognome, indirizzo. Non credo vi siano dubbi su chi rappresenta chi. Aggiungo che oggi solo il 40% dei nostri associati e’ distribuzione: il resto, cioè il 60%, la maggioranza, e’ altro. Sono aziende di servizi, turismo, trasporti, logistica, porti, marineria, in particolare aziende croceristiche
Questo darebbe ragione a Confindustria, quando vi vede come concorrenti su piani piu’ ampi del vostro settore tradizionale.
Ma e’ un modo vecchio di ragionare. Un tempo i settori erano molto precisi e delimitati: manifattura, servizi, trasporti, commercio e agricoltura. Oggi Confindustria rappresenta il manifatturiero, ma in realtà parte di quel mondo potrebbe essere nostro: in qualunque oggetto prodotto dal manifatturiero c’e’ molto anche di terziario. E ci sono imprese associate a Confindustria che applicano invece il nostro contratto. I confini oggi sono labili.
E dunque, ripeto, sembrerebbe aver ragione Confindustria a volerli precisare.
Ma questo bisogno impellente di “perimetrare”, e’ delle aziende o di Confindustria? Se Confindustria pensa di allargare la sua base associativa in questo modo, sbaglia strada. Comunque, noi siamo pronti a farci misurare.
Lei dice che molte imprese aderenti a Confindustria applicano il vostro contratto. Per quale motivo?
Oggi ogni impresa adotta il contratto che più si adegua alle sue esigenze, del “comparto” non gliene importa nulla. Il nostro contratto è applicato a 3 milioni di lavoratori, e non teniamo certo le aziende alla catena: se lo scelgono, vorrà dire che vi trovano una convenienza.
Come spiega questo appeal dei vostri contratti?
Noi abbiamo rinnovato profondamente il nostro sistema di rappresentanza, abbiamo lavorato molto sui territori, sui gruppi dirigenti. Oggi siamo un’organizzazione moderna, che sa fare contratti flessibili, che vanno realmente incontro alle esigenze delle imprese, fuori da ogni ideologia. Per questo ci scelgono, e per questo abbiamo il più alto tasso di penetrazione in molti settori: perché facciamo ottimi contratti, grazie ai quali, inoltre, forniamo un poderoso welfare contrattuale.
Anche Confindustria ha proposto ai sindacati di costituire un unico grande fondo sanitario: un altro terreno di concorrenza tra di voi?
Non parlerei proprio di concorrenza. Abbiamo da anni un nostro Fondo sanitario, Est, ed e’ il più grande del paese, con un milione 600 mila iscritti tra i lavoratori del terziario. Poi abbiamo il Fondo del turismo, il Fondo per i quadri, con 85 mila iscritti, quello dei dirigenti, con altri 70 mila iscritti. Con 144 euro l’anno, diamo la possibilità di avere prestazioni aggiuntive al servizio sanitario nazionale molto importanti. Questa poderosa macchina, molto apprezzata dai nostri associati, discende per l’appunto dai contratti che facciamo. Perché, alla fine, fare i contratti, fare buoni contratti, e’ il core business delle associazioni come la nostra. E noi, su questo terreno, siamo piuttosto bravi. Ma tornando al rapporto con Confindustria: si tratta di capire se siamo d’accordo – e noi siamo d’accordo- sullo sciogliere questo nodo della rappresentanza, contandoci, pesandoci.
Li sfidate su questo punto?
Nessuna sfida, è una questione di democrazia economica. Dobbiamo verificare chi rappresenta i vari settori, e dopodiché quello che pesa di più stipulerà il contratto di quel settore. E’ ora che anche le parti datoriali, come già hanno fatto i sindacati, si rappresentino, e non si ‘’auto-rappresentino’’.
Non è stato semplice trovare il modo di ‘pesare’ i sindacati, tanto che a tre anni di distanza dal Testo Unico sulla rappresentanza ancora non si conoscono dati certi. Non sarà semplice nemmeno con le imprese, immagino.
E’ semplicissimo, invece: basta riferirsi ai dati depositati presso le Camere di Commercio, gli unici certificati, e poi tirare le somme. Si può trovare un sistema migliore? E’ possibile, certo. Ma intanto, usiamo quello che e’ già disponibile. Se lo si vuole fare, ci si mette un attimo. Ripeto: se lo si vuole fare.
Nunzia Penelope