Circa tre mila persone rischiano nei prossimi mesi di perdere il posto di lavoro non per via della crisi ne tanto meno perché nuove tecnologie ne sostituiranno le funzioni, ma per via di un pasticcio che va dalla mancanza assoluta di conoscenza industriale del settore, ad un accanimento ideologico senza precedenti, andando oltre quanto previsto dallo stesso diritto comunitario che, mai, ha imposto al nostro Paese scelte così scellerate.
Mi riferisco alla vicenda dei lavoratori delle concessionarie autostradali che fanno progettazione e soprattutto manutenzione. Operai e tecnici specializzati che garantiscono la sicurezza di tutti noi che percorriamo le strade ed autostrade italiane. In un Paese, per di più, costantemente a rischio sismico ed idrogeologico, con una rete infrastrutturale vecchia che in molte parti cade letteralmente a pezzi e dove, forse, si dovrebbe investire di più per evitare un ulteriore degrado delle vie di comunicazione primarie.
Un pezzo industrialmente solido che ha visto negli anni forti investimenti, che paga regolarmente lavoratori e fornitori (e già questo in Italia è tanto) e che verrà ora massacrato perché – nonostante l’Europa non ce lo chieda – si è voluto inserire nel nuovo Codice degli Appalti una norma che obbliga a mettere sul mercato, tramite gare ed appalti, l’80% delle attività di queste aziende, nate proprio per volontà dei concessionari che erano stati chiamati dallo Stato (giustamente) non solo a garantire un ritorno costante di parte dei profitti in investimenti sul bene concesso (le autostrade appunto), ma a garantire un alto tasso di manutenzione e sicurezza delle stesse.
Siamo al paradosso: lo Stato da in concessione a diverse imprese parte della nostra rete autostradale (e lo fa con le regole a suo tempo vigenti) pretendendo, tra l’altro, interventi di progettazione e di manutenzione tali da assicurarne la funzionalità.
Su questa richiesta nascono imprese specializzate, partecipate dagli stessi concessionari e che – ricordiamo – avevano già un tetto rispetto alla quantità di lavoro svolgibile direttamente (il 40%, per essere precisi). Si strutturano presidi, depositi di mezzi, si assume e si forma personale che oggi può vantare una conoscenza quasi trentennale dei vari tratti autostradali assegnati.
Arriva poi il nuovo Codice degli Appalti (dlgs. 50/2016), un buon testo, ricco di interventi significativi che però sul punto sembra quasi diventare un manifesto politico degli ultra liberisti e che riduce tale percentuale al 20%, comprendendo tutto (manutenzione, progettazione, opere, servizi, forniture) e mettendo in capo all’ANAC addirittura procedure e potestà di intervento sanzionatorio (un Autorità che dovrebbe vigilare sulla regolarità dei contratti e contro la corruzione, non certo sulle dinamiche di mercato o peggio di una sola parte delle imprese!).
Obiettivo dichiarato: favorire la partecipazione di piccole e medie aziende nel mercato delle manutenzioni autostradali.
E qui arriviamo al paradosso tutto ideologico: ma qualcuno crede veramente di poter mettere in gara lotti da 40/50 Km di autostrada al piccolo artigiano o impresa edile che, senza esperienza e mezzi, curerà la manutenzione di quel tratto? Poiché attualmente stiamo parlando di svariate decine di migliaia di KM di autostrade, qualcuno pensa veramente – al di là degli impatti occupazionali – che centinaia di piccole imprese possano operare, coordinarsi tra loro, coordinare gli interventi, avere accesso (e pagare regolarmente) a fornitori specializzati (per mezzi e materiali) e garantire così lo stesso livello di intervento e sicurezza?
L’unico effetto sarà non solo spingere le attuali imprese che fanno da anni lavori per le concessionarie a licenziare tecnici ed operai, disperdendo un patrimonio anche di competenze notevoli, ma destrutturare un settore industriale fondamentale per il Paese.
Magari qualche impresa ci “marcerà” pure, strumentalizzerà tale norma per procedere ad una ristrutturazione che aveva già in mente, ma alla fine lo farà perché una norma capestro gli ha “aperto un’autostrada” ed i licenziamenti (che saranno anche concentrati in diverse aree, con evidente impatto politico e sociale) si scaricheranno tutte sul Governo e sui Parlamentari che nulla hanno fatto per evitare questa “macelleria sociale”.
E ci sarà poi da “divertirsi” nel vedere come l’Anac valuterà cosa è dentro e cosa è fuori dal 20% e cosa deve stare all’interno di quel 80% e, ancora, come sarà applicata la clausola sociale prevista dal Codice che obbligherà queste piccole imprese a prendersi parte di questi lavoratori (quindi non vi sarà neanche lavoro aggiuntivo per i dipendenti delle piccole che potrebbero entrare) e ancora assisteremo ad un aumento di contenziosi legali, vertenze, manifestazioni, scioperi…
Insomma il Governo dovrebbe avere il compito di creare il lavoro dove non c’è, non di distruggere quello esistente. E al di là delle battute giornalistiche di questo o quel deputato, i licenziati hanno nome e cognome, sono gente in carne ed ossa e il pane a tavola non le metteranno leggendo questa o quella disquisizione teorica sulle virtù positive del mercato (verrebbe quasi da dire a questi signori “ma allora di quello che sta succedendo nel mondo, della rabbia e solitudine che cresce, ve ne siete resi conto?”).
Il Governo infine dovrebbe farsi carico di utilizzare le norme comunitarie per favorire la crescita qualitativa delle imprese e non accarezzare il pelo delle aziende così come sono (in Italia, piccole, sotto capitalizzate e poco propense all’innovazione).
Ora l’Anac ha risposto al quesito posto dal MISE e dal MIT – come richiesto dai Sindacati al tavolo di confronto dopo lo sciopero e le manifestazioni (le ultime della serie) di qualche giorno fa. Un quesito volto a capire come interpretare la norma, anche rispetto alla possibilità che le manutenzioni rimangano dentro il perimetro delle attività fattibili. Ci auguriamo che si tengano insieme i diversi interessi a partire da quelli della collettività e dei lavoratori.
Nei prossimi giorni capiremo se il Governo avrà il coraggio di dire da che parte sta, dopo troppi balletti che hanno buttato migliaia di famiglie in uno stato di panico e di incertezza di cui, sicuramente loro, non hanno responsabilità.
Noi, unitariamente, faremo come sempre la nostra parte, accanto a quei lavoratori (spesso anche vittime di incedenti mentre lavorano per la nostra sicurezza) che di notte, nei week end, con una bandiera in mano ci dicono di rallentare, perché “stiamo lavorando per voi”. Per una volta sia il Governo e il Parlamento a lavorare per loro.