Dunque, è deciso, partirà la battaglia referendaria alla quale la Cgil di Maurizio Landini sta lavorando da tempo. L’assemblea generale ha dato mandato alla segreteria di promuovere una serie di referendum abrogativi in materia di lavoro per combattere la precarietà. Non si sa ancora quanti saranno, lo deciderà la Consulta giuridica della confederazione che dovrà stendere il testo dei diversi quesiti. Ma già si sa che saranno molti, perché molte sono le leggi che hanno portato alla situazione di oggi ed è indispensabile intervenire su tutte o almeno sulle principali. E non finisce comunque qui l’impegno della Cgil, perché la confederazione intende promuovere un altro referendum per abolire l’autonomia differenziata, appena il provvedimento all’esame del Parlamento diverrà legge, e di avviare da subito la battaglia in vista del referendum confermativo che sarà necessario per varare il premierato. Ancora, come se non bastasse, ci sono da mettere a punto altre leggi di iniziativa popolare, prima tra le altre quella sulla rappresentanza che la Cgil sta chiedendo da tempo.
Una mole di lavoro davvero notevole, che potrebbe occupare la confederazione, uomini e risorse, per un paio d’anni, forse anche di più considerando i diversi impegni e il loro incrocio con gli appuntamenti elettorali. La Cgil non sarà sola, avrà l’appoggio di Via Maestra, la sigla che riunisce un centinaio di associazioni di vara estrazione che già in passato l’hanno sostenuta. Non è previsto, almeno al momento, l’intervento delle altre confederazioni. Non quello della Cisl, politicamente meno attenta alle considerazioni che hanno portato Landini a varare questo maxiprogetto, ma nemmeno quello della Uil, con la quale la Cgil ha fatto un tratto di strada assieme negli ultimi due anni. Né sembra profilarsi un collegamento stretto con i partiti di opposizione, che guardano da lontano e senza grande coinvolgimento all’iniziativa del leader sindacale.
Il segretario generale della Cgil è arrivato a questa decisione per combattere una situazione del lavoro a suo avviso insopportabile. Lo scarto tra quello che c’è scritto nella Costituzione e la realtà nella quale viviamo, argomenta, è troppo ampio, si sta portando avanti un modello sociale troppo diverso dal nostro. Di qui la decisione di promuovere questi referendum che, è sempre il segretario che lo afferma, riusciranno a far sentire le persone in grado di decidere il proprio destino, capaci di scegliersi un futuro diverso. La cosa più terribile a suo avviso è lo stato di precarietà nella quale vive chi lavora. Il numero dei contratti a tempo indeterminato è sempre più esiguo, la gran parte delle persone lavora con contratti precari, che non danno sicurezza. Di qui la decisione di rimuovere le leggi che maggiormente portano alla precarietà.
Una battaglia politica, perché nel mirino della Cgil c’è il governo di Giorgia Meloni, che Landini accusa di cercare le risorse che servono per governare non nel sistema fiscale, come sarebbe naturale, ma nella compressione dei servizi, a tutto danno delle persone più povere. E di alimentare il livello di precarietà. Questo, sottolinea Landini, è un problema politico, non sindacale, perché l’obiettivo da cogliere deve essere il cambiamento del modello di sviluppo. Non una politica diversa, un’altra politica. Tanto più in presenza dei progetti della maggioranza per l’autonomia differenziata e il premierato che allontanerebbero ancora di più il paese dal disegno costituzionale così come è arrivato a noi. Non è un caso se Landini parla di rivedere tutta la normativa sugli appalti, se afferma che va cambiata la Bossi Fini.
Il suo impianto è ampio e squisitamente politico. Tanto è vero che non prende in considerazione l’alleanza con i partiti dell’opposizione. Landini, a quel che si capisce, conta sull’azione che il sindacato, aiutato dalla società civile, nella fattispecie dalle tante associazioni sociali, può portare avanti per cambiare gli equilibri politici del paese. Non è un caso se nei suoi discorsi fa sempre riferimento al fatto che va a votare solo la metà, quando va bene, degli aventi diritto. Sono le persone che non votano più cui Landini guarda e che vuole chiamare a raccolta.
Non è un compito sindacale, è un compito politico. Molto difficile, tanto più che i precedenti non confortano, perché i referendum in campo lavoro non sono mai riusciti a cogliere l’obiettivo sperato, da quello promosso dal Pci nel 1985 sulla scala mobile in avanti. Landini ha sempre negato di avere obiettivi politici, anche se un po’ tutte le formazioni del centrosinistra hanno fatto un pensiero su un suo diretto intervento. Ma lui no, ha sempre respinto qualsiasi invito, per restare fedele al suo compito di sindacalista. Anche il progetto della coalizione sociale aveva l’obiettivo di rafforzare il sindacato, non di cambiare la realtà della politica. Stavolta la situazione sembra diversa. Landini non lascia il sindacato, ma lo porta su un sentiero politico. È un cambiamento notevole e questo giustifica la vastità della discussione che la confederazione ha portato avanti su vari piani, mostrando una varietà molto ampia di posizioni, che peraltro hanno poi trovato l’unitarietà nel voto unanime, bulgaro direbbe qualcuno, dell’Assemblea generale che ha dato il via libera all’iniziativa.
Massimo Mascini