Villa Celimontana, prezioso scrigno verde sul Celio, uno dei romani sette colli. Un uomo beve ad una fontanella usando con educazione un bicchiere di carta. Una cinquantina d’anni, vestito con maglietta a maniche corte e jeans, un cappellino per proteggersi dal sole, un borsello a tracolla. Nulla che faccia pensare ad un vagabondo o a un disadattato. Ritto in piedi, incrocia gli occhi di un altro tipo, anch’esso del tutto indistinto, tranne forse per i giornali sotto il braccio, preoccupato che i due cani che porta a passeggio corrano verso l’invitante getto d’acqua disturbando proprio colui che si sta dissetando. Uno scrupolo che viene scambiato per disprezzo. “Perché mi guardi? Chi sei? Sei un signore? Quelli come te ci hanno rovinato”. Seguono momenti di tensione, un pericoloso faccia a faccia.”Vuoi un pugno?”, ringhia l’esagitato, tra una parolaccia e l’altra . “Lei mi insulta e mi minaccia. Sta commettendo un reato”, prova ad obiettare con calma il proprietario dei quattro zampe. “E allora? Voi risolvete tutto con i giudici. Avete distrutto questo Paese”. Attimo di silenzio. E poi, con rabbia: “Comunista di merda!”.
Come all’improvviso è nata, di botto l’incredibile scena finisce. Resta nell’aria quell’insulto, furioso, inaspettato, tremendo. Frutto del troppo caldo o di un qualche disagio mentale, si potrebbe argomentare. Forse è così, almeno si spera. Ma poi, andando in giro, senti la cassiera del supermercato, dire che bisognerebbe resuscitare il Duce. O la signora finta elegante augurare a sua volta un nuovo Mussolini. “Ma ha portato la guerra”, prova ad obiettare un interlocutore. “E allora ci vorrebbe una dittatura illuminata”, replica la nostalgica dell’uomo forte, ricorrendo a un macroscopico ossimoro.
Piccole avventure quotidiane che non hanno certo la dignità di un’analisi sociologica ma danno il senso di quella dissociazione cognitiva che nessun argomento razionale riesce a debellare. La sinistra, tutta la sinistra, è identificata con la casta. Nella testa della gente alligna questo concetto. I comunisti non sono più i mangiatori di bambini, come diceva la propaganda democristiana, nel 1948, ma l’èlite, i ricchi, la classe dirigente, le banche, gli affamatori del popolo, i privilegiati. Ecco il senso della frase lanciata come una pietra a Villa Celimontana. Un odio di classe al contrario.
E allora fa ribrezzo vedere le nuove divisioni all’interno del Pd. Folli e insensati coloro che vorrebbero un nuovo ribaltone o una scissione guardando ad un centro moderato che, come ha sancito anche Ilvo Diamanti, non esiste più. Se ha ragione Nicola Zingaretti, nel suo generoso tentativo di riscossa, a scrivere che siamo di fronte “a un vero e proprio arretramento antropologico del Paese”, ha altrettanto ragione Massimo Cacciari nell’invocare un riformismo radicale: “La radicalità è l’opposto dell’estremismo, significa affrontare il problema alla radice, in termini di sistema, senza fughe né in avanti né all’indietro”.
La battaglia è culturale, ancor prima che politica. Far capire di nuovo chi sono gli sfruttati e chi gli sfruttatori. Gettare ai rovi gli abiti della supponenza e della presunzione, uscire dai centri storici, battere come chierici le periferie e le campagne, indicare modelli di sviluppo e di vita alternativi. Sostiene Franco Arminio, poeta della desolazione: “La questione è la morte. E’ chiaro che se il mondo diventa un’unica città capitalista, estesa quanto tutto il pianeta, magari con dei grandi spazi non costruiti, come può essere la foresta amazzonica o i deserti, non sarà un bel mondo. Dovremmo tutti farci carpentieri delle diversità, applicarci a sfuggire alle mete designate”.
Operare per il ritorno delle lucciole, come direbbe Pasolini. Comunista di merda!
Marco Cianca