(Dal Resoconto Sommario)
MARTEDÌ 1° FEBBRAIO 2005
293ª Seduta
Presidenza del Presidente
ZANOLETTI
La seduta inizia alle ore 15,05.
IN SEDE REFERENTE
(122) TOMASSINI. – Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica
(266) RIPAMONTI. – Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ ambito dell’ attivita’ lavorativa
(422) MAGNALBO’. – Norme per contrastare il fenomeno del mobbing
(870) COSTA. – Norme per contrastare il fenomeno del mobbing
(924) BATTAFARANO ed altri. – Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ ambito dell’ attivita’ lavorativa
(986) TOFANI ed altri. – Disposizioni a tutela dalla persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro
(1242) MONTAGNINO. – Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ ambito dell’ attivita’ lavorativa
(1280) Tommaso SODANO ed altri. – Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e psicologiche nel mondo del lavoro
(1290) EUFEMI ed altri. – Norme generali contro la violenza psicologica nei luoghi di lavoro
(2420) BERGAMO. – Tutela dalle pratiche di mobbing
(Seguito dell’esame congiunto e rinvio)
Si riprende l’esame sospeso nella seduta del 15 giugno 2004.
Il PRESIDENTE fa presente che il comitato ristretto, a suo tempo istituito, ha concluso i propri lavori, con la predisposizione di uno schema di testo unificato dei disegni di legge in titolo. Invita quindi il relatore ad illustrare l’articolato.
Il relatore alla Commissione TOFANI (AN) evidenzia che lo schema di testo unificato in esame è stato predisposto dal comitato ristretto tenendo conto dei contenuti dei vari disegni di legge in titolo, nonché degli elementi istruttori emersi nel corso delle audizioni, nell’intento di elaborare un impianto normativo idoneo a garantire efficaci rimedi – sia di tipo preventivo sia repressivo – rispetto al fenomeno del mobbing, diffuso e variegato nelle sue molteplici manifestazioni concrete.
Nel testo unificato si è optato, al comma 1 dell’articolo 1, per una definizione elastica della fattispecie in questione, in modo tale da ricomprendere nell’ambito della stessa tutti i fenomeni di violenza e persecuzione psicologica riconducibili al mobbing, caratterizzati da un minimo comun denominatore, costituito da un elemento oggettivo – ossia la continuità e sistematicità di atti e comportamenti persecutori tenuti in ambito lavorativo – e da un elemento teleologico, consistente nella finalizzazione specifica di tali atti, volti appunto a danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore.
I diritti fondamentali suscettibili di essere lesi da siffatti fenomeni persecutori – diritto alla salute, dignità del lavoratore – hanno reso necessario estendere l’ambito di applicazione della disciplina contenuta nel testo in esame a tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, indipendentemente dalla loro natura, nonché dalla mansione svolta e dalla qualifica ricoperta: in tal senso, pertanto, è stato formulato il comma 2 dell’articolo 1.
Il profilo preventivo della disciplina in questione – prosegue il relatore – è stato enucleato specificamente nell’ambito dell’articolo 2 e dell’articolo 3.
In particolare al comma 1 dell’articolo 2 viene prefigurato un rimedio preventivo duttile, atteso che le misure preventive inerenti al mobbing debbono necessariamente adattarsi alla peculiarità di ciascuna situazione concreta; un’indicazione eccessivamente dettagliata delle misure preventive da adottare sarebbe risultata invece alquanto limitativa, oltre che inevitabilmente incompleta.
Viene altresì prefigurata una disciplina specifica per i casi in cui vengano denunciati, da parte di singoli o di gruppi di lavoratori, atti o comportamenti persecutori; in tale ipotesi si stabilisce – all’articolo 2, comma 2 – che il datore di lavoro o il committente, sentite le rappresentanze sindacali, ricorra, ove ne ravvisi la necessità, a forme di consultazione dei lavoratori dell’area interessata, provveda tempestivamente all’accertamento dei fatti denunciati e predisponga misure idonee per il loro superamento.
Si è evitato di creare nuove strutture intra-aziendali deputate alla tutela dei lavoratori dal mobbing essendosi optato a tal riguardo – anche alla luce di quanto emerso dalle audizioni di taluni esperti in materia – per la valorizzazione ulteriore delle strutture aziendali già esistenti, volte alla tutela della sicurezza del lavoratore di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, ossia il servizio di prevenzione e protezione, il medico competente ed il rappresentante per la sicurezza.
E’ stato dedicato un apposito articolo – articolo 3 – all’attività di informazione, proprio per sottolineare l’essenzialità della stessa nell’ambito della prevenzione del mobbing.
Sono stati poi previsti due differenti moduli informativi – prosegue il relatore – uno periodico, effettuato dai datori di lavoro o dai committenti, pubblici o privati, e dalle rappresentanze sindacali, e l’altro attivabile su specifica richiesta del lavoratore, a cui i datori di lavoro o dai committenti sono tenuti a dare tutte le informazioni, pertinenti ai motivi soggettivi del richiedente e rilevanti, relative all’assegnazione degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni e delle qualifiche e all’utilizzo dei lavoratori.
E’ stato anche contemplato uno specifico diritto dei lavoratori di riunirsi fuori dall’orario di lavoro, nei limiti di cinque ore su base annuale, per discutere riguardo alle violenze ed alle persecuzioni psicologiche sul lavoro.
L’attenzione per i profili preventivi della disciplina inerente al mobbing – prosegue il relatore -non ha sicuramente sminuito l’importanza degli aspetti repressivi, che tuttavia sono stati incentrati su forme di tutela diversa da quella penale, anche alla stregua delle risultanze istruttorie emerse nel corso delle audizioni effettuate, che hanno evidenziato l’inutilità nel caso di specie di una specifica normativa penalistica, rientrando le situazioni in questione nell’ambito applicativo di disposizioni penali vigenti: si pensi ad esempio alle fattispecie criminose inerenti alle molestie sessuali, oppure alla violenza privata.
Sul piano della responsabilità disciplinare si è stabilito all’articolo 4 che a coloro che pongono in essere atti o comportamenti qualificabili come mobbing si applicano le misure previste con riferimento a tale tipo di responsabilità. La medesima responsabilità grava su chi denuncia consapevolmente atti o comportamenti persecutori inesistenti, al fine di trarre vantaggio per sé o per altri.
La tutela giudiziaria – di cui all’articolo 5 – è stata incentrata su tre piani distinti, ossia sul piano della tutela inibitoria, volta ad ordinare al responsabile del comportamento denunziato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, nonché a disporre la rimozione degli effetti degli atti posti in essere; sul piano della tutela risarcitoria, estesa anche ai danni non patrimoniali, ed infine sul piano dell’ annullabilità degli atti illeciti con finalità persecutoria, volti a variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni e negli incarichi o a trasferimenti, nonché delle dimissioni determinate dai medesimi atti o comportamenti.
All’articolo 6 – prosegue il relatore – si è previsto un modulo procedurale volto a garantire in ambito aziendale, su istanza della parte interessata, la pubblicità dei provvedimenti di condanna o di assoluzione, inerenti a casi di mobbing.
Con l’articolo 7, nell’ambito delle forme di tutela del mobbing viene valorizzato anche il ruolo delle cosiddette soft laws e della contrattazione collettiva, essendo stata conferita ai soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro la facoltà di adottare codici antimolestie e, in particolare, codici volti alla prevenzione degli atti e comportamenti persecutori posti in essere sul lavoro, anche mediante procedure di carattere conciliativo e tecniche incentivanti.
L’articolo 8 reca una disposizione di copertura finanziaria, necessaria in quanto le disposizioni in questione trovano applicazione anche per i datori di lavoro pubblici.
Il PRESIDENTE propone di assumere come testo base, per il prosieguo dei lavori, il testo unificato predisposto dal Comitato ristretto, illustrato dal relatore Tofani.
La Commissione conviene con tale proposta.
Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.
(3138) FABBRI ed altri. – Modifiche ed integrazioni alla legge 29 marzo 1985, n. 113, concernente aggiornamento della disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti
(Esame e rinvio)
Il relatore alla Commissione FABBRI (FI) illustra il disegno di legge n. 3138, che prospetta una revisione della disciplina, di cui alla legge 29 marzo 1985, n. 113, sul collocamento e sul rapporto di lavoro degli operatori telefonici minorati della vista.
Riguardo all’ambito dei lavoratori interessati, il relatore ricorda che quello originario era costituito dai centralinisti telefonici ed è stato successivamente esteso agli operatori telefonici addetti alle informazioni alla clientela e agli uffici relazioni con il pubblico; alla gestione e all’impiego di banche dati, nonché ai servizi di telemarketing e telesoccorso.
In tale novero di categorie, la disciplina vigente concerne i soggetti colpiti da cecità assoluta ovvero che abbiano un residuo visivo non superiore ad un decimo in entrambi gli occhi, anche con correzione di lenti. Al riguardo, l’articolo 1 del disegno di legge in titolo rinvia alle definizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 3 aprile 2001, n. 138, che, però, risultano più ampie, dato che fanno riferimento – oltre che ai ciechi totali – ai soggetti che abbiano un residuo visivo non superiore ad un decimo in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione, ovvero che abbiano un residuo perimetrico binoculare inferiore al 30 per cento.
Il suddetto articolo 1 del disegno di legge ridefinisce la disciplina sull’albo professionale a cui possono iscriversi i soggetti in esame: tale iscrizione, come specifica l’ultimo capoverso, determina l’automatica inclusione negli elenchi relativi al collocamento obbligatorio generale dei disabili, di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni.
Occorrerà tra l’altro approfondire – osserva il relatore – il riferimento uffici periferici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di cui allo stesso articolo 1, poiché l’attuale assetto delle funzioni amministrative in materia appare piuttosto controverso, e non del tutto definito, in sede di attuazione, il riparto di competenze tra gli enti territoriali, ai sensi dell’aricolo 2 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e l’amministrazione centrale.
L’articolo 2 del disegno di legge all’esame demanda alle regioni la disciplina della formazione professionale per le attività in oggetto, stabilendo alcune norme di base in materia, mentre con l’articolo 3 sono ridefiniti gli obblighi di assunzione dei lavoratori iscritti all’albo professionale sopra richiamato da parte dei datori pubblici e privati; tali obblighi sussistono in relazione alla presenza, nell’organizzazione del datore, di centralini telefonici o di altre strutture, individuate dal comma 1 del medesimo articolo 3. Secondo la relazione illustrativa che accompagna l’articolato, la novella in esame è intesa, tra l’altro, a rendere più omogenea la disciplina tra i datori pubblici e quelli privati nonché a adeguare quest’ultima alle evoluzioni tecnologiche.
Gli articoli 4, 5 e 6 del disegno di legge, per l’adempimento dei suddetti obblighi, mutuano, con talune modifiche ed integrazioni, i criteri e le modalità fissati per il collocamento obbligatorio dei disabili in generale, di cui alla citata legge n. 68 del 1999. I successivi articoli 7 ed 8 recano alcune norme di raccordo con quest’ultima. Si ricorda che, in base alla suddetta disciplina generale, le assunzioni obbligatorie vengono effettuate in parte mediante chiamata numerica, mentre per la restante parte è consentita la richiesta nominativa, ammessa in via integrale per alcune categorie di datori, tra cui quelli che abbiano meno di 36 dipendenti. E’ inoltre possibile la stipulazione, tra gli uffici competenti ed il datore, di convenzioni, che definiscano un programma mirante al conseguimento degli obiettivi di occupazione in oggetto.
L’articolo 9, comma 1, lettera a), del disegno di legge in titolo – prosegue il relatore – modifica la disciplina sull’indennità di mansione spettante agli operatori telefonici minorati della vista, anche al fine – secondo la relazione illustrativa – di superare le difficoltà attuative derivanti dall’avvenuta soppressione dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici. A tale Azienda, infatti, fa riferimento l’attuale formulazione della norma sull’indennità.
La successiva lettera b) dell’articolo 9, comma 1, ridefinisce la disciplina dei benefici di contribuzione figurativa pensionistica in favore degli operatori in esame, estendendo gli effetti dei medesimi benefici anche ai fini della misura dei trattamenti o delle quote di trattamento liquidati secondo il sistema contributivo.
L’articolo 10, infine, fa rinvio, per l’apparato sanzionatorio, alla disciplina, in quanto compatibile, di cui alla citata legge n. 68 del 1999.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
(2799) EUFEMI. – Modifiche alla legge 13 maggio 1985, n. 190, sul riconoscimento giuridico dei quadri intermedi
(Esame e rinvio)
Il presidente ZANOLETTI illustra il disegno di legge n. 2799 che apporta una serie di modifiche alla legge n. 190 del 1985: quest’ultima disciplina, come è noto, ha integrato l’articolo 2095, primo comma, del codice civile, introducendo i quadri tra le categorie in cui sono ripartiti i prestatori di lavoro subordinato.
La normativa varata a suo tempo dal legislatore muoveva dalla valutazione di un’evoluzione del mondo del lavoro determinata dalle trasformazioni tecnologiche e di organizzazione di impresa e, quindi, dai mutamenti della fisionomia sociale dei prestatori di lavoro subordinato, con l’emergere di una nuova e specifica professionalità. Oggi si può affermare che le motivazioni che indussero il legislatore ad introdurre tale innovazione conservano intatta la loro validità.
Non si può negare, peraltro, – prosegue il Presidente – che l’attuazione della legge ha denunciato, negli anni, gravi carenze che hanno portato ad applicazioni distorte o riduttive: in particolare, anche laddove si é formalmente applicata la legge, ci si é limitati ad una attribuzione nominale della qualifica, con l’eventuale riconoscimento di indennità di scarso rilievo, ma ferma rimanendo la collocazione degli interessati nei livelli impiegatizi. Il disposto di legge, viceversa, sanciva l’istituzione di una categoria distinta. La situazione che si é determinata ha, quindi, profondamente deluso le aspettative di una categoria la cui potenzialità, nel solo settore privato, é valutabile oltre le 500.000 unità. Si deve ricordare poi che negli ultimi anni, la categoria è stata fortemente responsabilizzata sia nei processi di riconversione e ristrutturazione, sia rispetto agli obiettivi di qualità e competitività delle imprese nazionali, svolgendo un ruolo assolutamente determinante. Più di recente, inoltre, gli stessi processi di ristrutturazione hanno comportato anche l’espulsione dal mondo del lavoro di personale di qualifica medio-alta (e quindi anche di quadri) dotati di notevoli requisiti di professionalità ed esperienza, come è stato posto in rilievo anche dall’indagine conoscitiva sulla condizione dei lavoratori anziani in corso presso la Commissione.
Sussistono quindi attualmente dei fattori non trascurabili di penalizzazione della categoria dei quadri, derivanti sia dalla incertezza sulla immediata precettività della legge, sia dalla mancata partecipazione ai vari livelli di contrattazione delle organizzazioni sindacali della categoria, sistematicamente escluse da qualsiasi momento negoziale.
Proseguendo nell’esposizione, il Presidente ricorda l’invito autorevolmente rivolto al Parlamento dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 30 del 18-26 gennaio 1990, ha espressamente rappresentato la necessità politica e sociale di prendere atto delle nuove realtà emerse nel mondo del lavoro sottolineando le incisive trasformazioni verificatesi nel sistema produttivo, rimarcando l’attenuazione dell’idoneità del modello disegnato a suo tempo dall’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, a rispecchiare l’effettività della rappresentatività e sollecitando l’apprestamento di nuove regole ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso.
Inoltre, la recente legge n. 30 del 2003 e il successivo decreto legislativo n. 276 hanno introdotto elementi di flessibilità del mercato del lavoro che operano nel senso più volte indicato dalle associazioni di categoria dei quadri. Il nuovo assetto normativo sembra destinato a ripercuotersi anche sugli assetti delle relazioni sindacali-aziendali che, da un piano uniforme e collettivo, potrebbero evolversi verso soluzioni più attente agli interessi delle categorie professionali.
Si pone quindi il problema di un ulteriore intervento legislativo, per articolare meglio la definizione giuridica della categoria dei quadri, consentendo anche di individuarne correttamente i criteri di rappresentanza sindacale.
In tale prospettiva, il disegno di legge all’esame si propone di pervenire ad una più specifica definizione della categoria estesa al rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti pubblici, che non possa essere disattesa in alcun modo dalle parti. A tal fine, la novella proposta al comma 1 dell’articolo 2, oltre a fornire una più precisa definizione delle attribuzioni dei quadri, precisa che in tale categoria rientrano anche i vice dirigenti nelle pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 7, comma 3, della legge n. 145 del 2002 – che ha apportato alcune modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche -, nonché i ricercatori con responsabilità equivalenti ai quadri.
La lettera b) del comma 1 del disegno di legge n. 2799 interviene invece sulla disciplina della rappresentanza sindacale, introducendo un nuovo testo dell’articolo 3 della legge n. 185, a norma del quale si prevede che le organizzazioni sindacali della categoria dei quadri rappresentate nell’ambito del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) partecipino alle elezioni per le Rappresentanze sindacali unitarie (RSU) disponendo di apposito collegio elettorale. Viene inoltre aggiunto, dopo l’articolo 6 della stessa legge n. 185, un ulteriore articolo, in base al quale, negli organismi ed enti bilaterali e negli enti pubblici, nei quali sono previste rappresentanze del mondo del lavoro, sono chiamati a partecipare di diritto i lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali della categoria dei quadri che fanno parte del CNEL.
L’articolo 2 del disegno di legge all’esame risulta invece di non chiara formulazione e pertanto, nel corso del dibattito, sarà necessario valutarne meglio la portata, eventualmente anche con il contributo del proponente.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 15,30.
PER I DISEGNI DI LEGGE N. 122 E CONNESSI IN MATERIA DI TUTELA DEI LAVORATORI DAL FENOMENO DEL MOBBING
Articolo 1.
(Definizione ed ambito di applicazione)
1. Ai fini della presente legge, si intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore.
2. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano a tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, indipendentemente dalla loro natura, nonché dalla mansione svolta e dalla qualifica ricoperta.
Articolo 2.
(Attività di prevenzione e di accertamento)
1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati, e le rappresentanze sindacali adottano tutte le iniziative necessarie, intese a prevenire e a contrastare i fenomeni di violenza e di persecuzione psicologica di cui all’articolo 1, comma 1.
2. Qualora siano denunciati, da parte di singoli o di gruppi di lavoratori, atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1, il datore di lavoro o il committente, sentite le rappresentanze sindacali e ricorrendo, ove ne ravvisi la necessità, a forme di consultazione dei lavoratori dell’area interessata, provvede tempestivamente all’accertamento dei fatti denunciati e predispone misure idonee per il loro superamento.
3. Il servizio di prevenzione e protezione, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, individua le misure per la sicurezza volte a prevenire e a contrastare i fenomeni di violenza e persecuzione psicologica di cui all’articolo 1, comma 1.
4. Il medico competente, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 626 del 1994, collabora in relazione all’attuazione di misure finalizzate a prevenire e a contrastare i fenomeni di violenza e di persecuzione psicologica di cui all’articolo 1, comma 1.
5. Il rappresentante per la sicurezza, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 626 del 1994, espleta anche l’attività di promozione volta all’elaborazione, individuazione e attuazione di misure di prevenzione relative ai fenomeni di violenza e di persecuzione psicologica di cui all’articolo 1, comma 1.
Articolo 3.
(Attività di informazione)
1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati, e le rappresentanze sindacali pongono in essere iniziative di informazione periodica sulle fattispecie di cui all’articolo 1, comma 1. I datori di lavoro o i committenti sono altresì tenuti a dare, su richiesta del lavoratore interessato, tutte le informazioni pertinenti ai motivi soggettivi del richiedente e rilevanti, relative all’assegnazione degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni e delle qualifiche e all’utilizzo dei lavoratori.
2. I lavoratori hanno diritto di riunirsi fuori dall’orario di lavoro, nei limiti di cinque ore su base annuale, per discutere riguardo alle violenze ed alle persecuzioni psicologiche di cui all’articolo 1, comma 1. Le riunioni sono indette e si svolgono con le modalità e con le forme di cui all’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Articolo 4.
(Responsabilità disciplinare)
1. A coloro che pongono in essere gli atti o i comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1, si applicano le misure previste con riferimento alla responsabilità disciplinare.
2. La medesima responsabilità di cui al comma 1 grava su chi denuncia consapevolmente atti o comportamenti, di cui all’articolo 1, comma 1, inesistenti, al fine di trarre vantaggio per sé o per altri.
Articolo 5.
(Tutela giudiziaria)
1. Qualora vengano posti in essere atti o comportamenti definiti ai sensi dell’articolo 1, comma 1, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, di organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunziato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, dispone la rimozione degli effetti degli atti illegittimi, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Contro tale decisione è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. L’efficacia esecutiva del provvedimento non può essere revocata fino alla sentenza del tribunale che definisce il giudizio instaurato ai sensi del secondo periodo del presente comma.
2. Qualora dagli atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1, derivi un pregiudizio per il lavoratore, quest’ultimo ha diritto al risarcimento dei danni, ivi compresi quelli non patrimoniali. Resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, e successive modificazioni.
3. Le variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni e negli incarichi ed i trasferimenti che costituiscano atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1, nonché le dimissioni determinate dai medesimi atti o comportamenti sono impugnabili ai sensi dell’articolo 2113 del codice civile, secondo, terzo e quarto comma, fatto salvo il risarcimento dei danni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
(Pubblicità del provvedimento del giudice)
1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione venga data informazione, a cura del datore di lavoro o del committente, mediante lettera ai lavoratori interessati, per reparto e attività in relazione ai quali si sia manifestato il caso di violenza o persecuzione psicologica, oggetto dell’intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali azioni.
(Norme “leggere”)
1. I soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno la facoltà di adottare codici antimolestie e, in particolare, codici volti alla prevenzione degli atti e comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1, anche mediante procedure di carattere conciliativo e tecniche incentivanti.
(Norme finanziarie)
1. Gli obblighi derivanti dagli articoli 2 e 3 a carico delle pubbliche amministrazioni, in qualità di datori di lavoro o di committenti, trovano applicazione esclusivamente nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio.
2. Dall’attuazione dei medesimi articoli 2 e 3 non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.