L’esperienza che la Commissione di Garanzia dello sciopero schiude, per chi ne abbia l’opportunità, si mostra davvero ricca, oltre che interessante in quanto offre una full immersion in uno dei maggiori osservatori, forse il maggiore, delle relazioni industriali italiane.
Un osservatorio, che possiamo considerare alla stregua di un caleidoscopio per la sua varietà, dei comportamenti, delle logiche e degli attori che popolano i settori dei servizi essenziali, e che si affacciano in modi diversi nel territorio dei conflitti.
In altri termini al di là dell’esperienza quotidiana e sul campo, che è ottimamente gestita dai funzionari della Commissione, ed assicura una ordinaria amministrazione, è possibile immaginare anche qualche passaggio ulteriore. A partire da una raccolta di dati e conoscenze di lungo periodo sui vari aspetti del conflitto, sulla loro evoluzione e sulle loro dinamiche. In modo da dare vita ad un vero termometro dei cambiamenti, continuamente in corso, nella costituzione materiale dei conflitti.
In questo modo possiamo venire a conoscenza di comportamenti non previsti dalla legge o che si collocano nei suoi interstizi, ponendo anche problemi che rinviano a strategie regolative inedite.
Se ci muoviamo lungo questa chiave ecco che davanti a noi si mostra un paradosso, evidenziato dai dati già raccolti sin qui dalla Commissione di Garanzia.
Da un lato cli scioperi che vengono attuati risultano ormai massicciamente ‘civilizzati’ (come ripetono le relazioni annuali della Commissione sulla falsariga di una famosa definizione dovuta a Aris Accornero). In altri termini, con eccezioni diventate sempre più esigue nel corso del tempo, essi si svolgono nel rispetto delle procedure e delle norme che li rendono più regolati e prevedibili, per così dire ‘addomesticati’, in modo da fornire maggiori garanzie ai cittadini-utenti.
Nello stesso tempo essi sono divenuti più polverizzati, sparpagliati in molti micro – conflitti, che – a torto o ragione – vengono socialmente percepiti come uno stillicidio di episodi patologici, appartenenti alla tendenza verso la proliferazione degli scioperi.
In sostanza quello che è accaduto – e continua ad accadere – consiste proprio in questo. E’ stato registrato un successo nel lavorio con il quale la Commissione si è impegnata sin dalla sua nascita, e confortata dalla previsioni legislative, nella opera di maneggiamento dei conflitti e di contenimento dei loro effetti : cosa che si risolve nell’ imposizione agli attori sindacali di rispettare i principi di fondo intorno ai quali ruota questo percorso di ‘civilizzazione’ (preavviso, intervallo, durata). Ripetiamo con successo, in quanto i casi di organizzazioni che si sottraggono intenzionalmente a quelle regole di fondo si contano ormai annualmente sulle dita di una mano e dunque sono divenuti delle rare eccezioni.
Eppure tutta questa attività , importante ed ineliminabile, è finita con il diventare la superficie di processi conflittuali che si manifestano in corso d’opera sottotraccia e dunque sono avvertiti come più sfuggenti e tellurici.
In realtà gli attori si sono moltiplicati: in passato i protagonisti erano soprattutto i sindacati confederali, oggi sono in particolare i sindacati ‘autonomi’ : una costellazione ampia e diversificata in continua rigenerazione e riclassificazione.
Questi attori in continuo movimento rispettano le regole ma le adattano alle loro esigenze (principalmente di visibilità e di accreditamento).
In questo modo si tocca con mano il dato di fondo. In altri termini il fatto la legge 146 aveva in mente – negli anni ottanta – un altro tipo di organizzazioni sindacali e di logica conflittuale: animate da senso dell’auto-limite e dalla disponibilità ad accettare regole ispirate al self restraint. E dunque questa evoluzione – o forse involuzione –, registrata nell’ultimo ventennio, muove in una direzione diversa: organizzazioni più riottose, e più orientate ad un uso strumentale delle regole messe in opera per limitare la portata del conflitto terziario. Questo slittamento fa toccare con mano l’esigenza di rinfrescare lo stesso quadro normativo, in modo renderlo maggiormente in sincronia con i nuovi dati materiali ed empirici e la modificata sensibilità sociale.
Se dunque negli anni ottanta dello scorso secolo le premesse della legge giravano intorno agli strumenti per aiutare sindacati responsabili a limitare i danni della terziarizzazione del conflitto, ora il nodo centrale sembra essere divenuto un altro.
Intanto si è verificato uno slittamento nella configurazione dell’ incertezza su cui faceva leva in origine il conflitto ‘terziario’ (destinato cioè a danneggiare in primo luogo i terzi: i cittadini-utenti). Una incertezza che riguarda non più il modo in cui il conflitto si svolge, in quanto la garanzia dei servizi essenziali, e il loro diffuso rispetto, hanno posto un argine – come rilevato – agli eccessi e alle sregolatezze connessi a questa variabile. Ma una incertezza di tipo nuovo, attribuibile invece alla loro ripetizione continua e agli impatti realisticamente prevedibili come conseguenza di questa reiterazione.
Dunque la questione centrale non è più il rispetto dei vincoli posti all’effettuazione di uno sciopero nei servizi essenziali (che come abbiamo detto sono ormai unanimemente accettati). Essa nel corso del tempo è piuttosto traslata lungo l’asse della moltiplicazione e reiterazione degli scioperi, cui corrisponde l’esigenza di approntare misure inedite per pervenire ad una sostanziale rarefazione, socialmente accettabile.
La polverizzazione dei conflitti piuttosto che in direzione della riproposizione dell’effetto annuncio (che comunque continua ad produrre conseguenze perverse) segna lo spostamento del baricentro patologico verso gli ‘scioperi polverone’: generalmente effettuati (e non solo ‘annunciati’), con costante stillicidio, e contrassegnati da ampio impatto e ricadute negative sugli utenti, a prescindere dalla partecipazione di cui si avvalgono, quasi sempre limitata se non inconsistente.
Il ragionamento condotto sin qui riveste una portata generale, ma esso si applica in modo più stringente ai diversi settori dei trasporti, e vale in larga misura anche per la scuola: gli ambiti nei quali le esigenze degli utenti sono più pressanti e nello stesso tempo risultano più vistosi gli effetti di disorientamento sociale indotti dallo ‘sciopero polverone’.
Un altro possibile paradosso consiste dunque nel fatto che aver conseguito lo sciopero civilizzato non equivale meccanicamente ad avere meno scioperi e meno disagi per gli utenti.
Vedremo prossimamente i dati che la Commissione di Garanzia sta elaborando in materia per capire se essi confermano sul piano quantitativo e della misurazione oggettiva quanto emerge dalla diffusa percezione soggettiva. E cioè che gli scioperi , per quanto ‘civilizzati’ , rientrino nella sostanza dentro un trend di incremento della numerosità dei conflitti aperti.
In tal senso va condotta una analisi, relativa almeno all’ultimo decennio, in modo da disporre di una base conoscitiva e una serie numerica, adeguate ai fini di una comparazione sufficientemente ampia, anche se dobbiamo fare i conti con la distorsione costituita dalla gobba depressiva (di sostanziale azzeramento degli scioperi) intervenuta nel periodo più acuto della diffusione del Covid.
Ora va anche detto come sia possibile che negli ultimi anni, grazie anche agli effetti della Pandemia, che hanno condotto ad una sorta di più o meno prolungata ‘moderazione conflittuale’, si possa registrare dal punto di vista statistico una curva discendente.
Tale curva discendente, naturalmente auspicabile, ove accertato che vi sia, potrebbe essere altresì attribuita ad alcuni provvedimenti adottati negli ultimi dal Collegio, come l’allargamento degli intervallo e misure di responsabilizzazione preventiva del personale (come è successo ad esempio per il Trasporto pubblico locale e per la scuola). Provvedimenti che si sono mossi esplicitamente in direzione di una maggiore rarefazione dei conflitti, nell’intenzione di aggiornare gli equilibri nel bilanciamento tra i diversi diritti implicati a vantaggio di quelli dei cittadini-utenti, che mostravano nel periodo più recente una evidente maggiore sofferenza.
Insomma è possibile – ma da verificare – che l’azione recente della Commissione di Garanzia abbia già condotto a far emergere alcuni esiti più virtuosi nella regolazione della dinamica conflittuale. E questo attesta come le maglie della legge siano attualmente abbastanza ampie da consentire di intervenire già ora, in misura più o meno significativa, in una chiave selettiva.
A questo riguardo vanno considerati anche i correttivi apportati di recente dallo stesso Collegio alla disciplina di favore per gli scioperi generali (introdotta nel 2003 dalla Commissione). Appare piuttosto evidente che la loro esplosione numerica, avvenuta nel corso degli anni, sia di natura prevalentemente opportunistica. Si tratta di una modalità con cui si enfatizza la portata di conflitti, spesso molto vaghi o di natura meramente dimostrativa (come gli scioperi generali dell’8 marzo in favore dei diritti delle donne). Una modalità che consente anche, alle organizzazioni proclamanti di accedere ad un canale privilegiato di proclamazione ed effettuazione degli scioperi, che aggira alcune regole di settore e condiziona l’intero calendario delle attività conflittuali.
Lo sciopero generale classico, come ben sappiamo, si caratterizzava come un evento raro e importante, sostenuto da una larga portata simbolica e partecipativa. Qui invece ci troviamo quasi sempre davanti a ‘sciopericchi’ in cerca d’autore, travestiti da grandi scioperi, anche se a proclamarli sono quasi sempre organizzazioni prive di un effettivo radicamento intersettoriale, o comunque non supportate da un seguito significativo.
Pochi sanno che questa modalità, un tempo usata con cura e parsimonia, oggi risulta viceversa largamente inflazionata: nel 2021 sono stati proclamati 21 scioperi ‘soi disant’ generali, che sono diventati 23 nel 2022.
Una moltiplicazione a cui non corrisponde una attenzione e una mobilitazione da parte dei lavoratori in linea con l’evocazione di questo strumento, che risulta dunque inflazionato e ne viene anche di conseguenza svalutato.
Una moltiplicazione che trova una delle sue ragioni nell’eco, non sempre involontaria, che viene apprestata dai media. Anche mentre scrivo si favoleggia su tanti giornali e sulle stesse televisioni di ‘uno sciopero generale’ in data odierna destinato a bloccare tutto: mentre , diversamente da queste grida preventive, l’impatto effettivo risulta significativamente limitato. E questo fenomeno ci dice che anche le fonti di informazioni dovrebbero essere aiutate a svolgere un ruolo educativo nel facilitare la comprensione da parte degli utenti di quanto li aspetti effettivamente. E dunque sarebbe utile che essi ancorassero le loro notizie su queste materie alla effettiva partecipazione e all’effettivo impatto di scioperi analoghi proclamati dalle medesime organizzazioni. Su questa falsariga si muove la recente delibera adottata dalla Commissione intorno alla cosiddetta ‘bollinatura’ degli scioperi: un colore di diversa intensità, attribuito agli scioperi generali in rapporto agli esiti partecipativi previsti in base alle esperienze precedenti. Un modo per allertare tutti gli osservatori e gli interessati secondo un dosaggio appropriato , e per lanciare delle avvertenze utili , in quando fondate, valide sia per gli organi di informazione che per i cittadini .
Cionondimeno, pur in questo quadro evolutivo, appare plausibile che sia necessario ricorrere anche a qualche regola aggiuntiva e ad un aggiornamento normativo, se si intende salvaguardare l’autorevolezza e l’efficacia dell’ impianto realizzato nel 1990.
Ad esempio si discute da tempo intorno all’opportunità di introdurre criteri che misurando la rappresentatività aiutino anche a selezionare i soggetti abilitati a proclamare scioperi. Si tratta di una discussione lunga e destinata a continuare. Una discussione anche delicata, perché implica un contemperamento intelligente tra l’esigenza dei cittadini di una maggiore certezza nella rarefazione dei conflitti e quella dei lavoratori, anche di minoranze organizzate, di poter accedere concretamente al diritto costituzionalmente garantito allo sciopero. A mio avviso vanno salvaguardati, seppure dosati, i diritti delle minoranze sindacali, mentre sarebbe utile sottoporre le proclamazioni successive (le reiterazioni ) ad alcuni filtri, di cui il principale potrebbe essere il grado di apprezzamento, variamente misurato, da parte dei lavoratori direttamente interessati: sulla scorta del referendum adottato nell’ambito del sistema tedesco di relazioni industriali.
Da solo questo tema richiederebbe un lungo approfondimento, che rinviamo ad una successiva occasione. In effetti in mancanza di leggi in materia di rappresentatività, riguardo alle quali le ultime legislature hanno deluso le aspettative, appare plausibile ritenere che saranno carenti ancora per diverso tempo i presupposti per intervenire in modo mirato su questo nodo.
Quindi in conclusione possiamo osservare come attualmente la Commissione di Garanzia svolga già in modo brillante un accurato lavoro di ordinaria amministrazione nella gestione del fenomeno conflittuale.
Inoltre essa ha anche avviato un processo di aggiustamenti e di revisioni indirizzato verso una gestione straordinaria della nuova morfologia dei conflitti terziari.
Restano però aperti, ed in attesa di regolazione, i cantieri relativi a comportamenti conflittuali non previsti e interstiziali, i quali rinviano ad innovazioni più strutturali, le quali sarebbero comunque auspicabili e da considerare.
Di questa strumentazione – va aggiunto – non si intravedono ancora allo stato le condizioni sociali, politiche ed istituzionali.
Mimmo Carrieri