Siamo sicuri che si andrà alle elezioni anticipate alla fine di settembre? Siamo convinti che si farà la campagna elettorale in piena estate? Ve li immaginate i nostri leader politici fare comizi sulle spiagge in costume da bagno (l’unico in grado di farli sarebbe Matteo Salvini)? E gli italiani in vacanza, avranno voglia di correre dietro allo scontro politico invece godersi un po’ di riposo dopo aver vissuto un altro anno terribile, tra pandemia, crisi economica, bollette alle stelle, rischio di razionamento del gas e guerra?
Ma soprattutto è sul serio possibile che Mario Draghi lasci il governo, e quindi il Paese, in una situazione così complicata e caotica, dopo aver comunque ottenuto la fiducia del Parlamento? E’ possibile che l’uomo più serio e responsabile sulla piazza, il leader stimato in tutto il mondo, quello che “risolve i problemi”, sbatta la porta solo perché i Cinquestelle non hanno votato il decreto in Senato e Salvini pretende provvedimenti impossibili? Tutto è possibile, ormai, c’è anche da considerare il fattore umano, cioè il fatto che il premier non ne possa più (“ne ho piene le tasche”, avrebbe detto a un suo collaboratore) delle liti tra i partiti della sua (ex) maggioranza, dei veti incrociati, delle dichiarazioni di insofferenza che si susseguono da destra a sinistra, insomma di un clima che non aiuta a governare.
Però, questa è la politica, soprattutto quando si avvicinano le elezioni, quindi bisogna conoscerla e saperla gestire. Draghi invece sa fare un altro mestiere, conosce a fondo l’economia, ha rapporti internazionali solidi e profondi, è capace di gestire un governo ma solo se e quando non ci sono scossoni troppo forti. Altrimenti preferisce lasciar perdere, e se ne occupi qualcun altro.
Al momento però qualcun altro non esiste, purtroppo. E dunque non è affatto detto che mercoledì prossimo, dopo giorni nei quali saranno aumentate le pressioni interne e internazionali ai massimi livelli affinché il premier resti al suo posto, Draghi in Parlamento annunci le sue irrevocabili dimissioni. Certo, al momento in cui scriviamo, questo sembra l’esisto più probabile, ma mai dire mai.
Anche perché, a parte Giorgia Meloni che chiede a gran voce le elezioni, sperando di uscirne trionfatrice, né Berlusconi né Salvini sembrano così eccitati dall’idea del voto anticipato. Il primo perché è abituato a comandare e sa che invece arriverebbe terzo, magari scontando pure una piccola scissione di quelli tra i suoi che non amano il sovranismo dei due alleati e preferirebbero allearsi con i piccoli centristi Calenda, Renzi e Di Maio. Il secondo perché, bene che gli vada, prenderebbe il 15 per cento, dovendo così ubbidire agli ordini della Meloni e scontando una forte spaccatura nel partito tra i governisti (includi i governatori e il ceto produttivo del nord) e quel che resta del popolo leghista, arrabbiato ed estremista. Ma in ogni caso, stando ai sondaggi il centrodestra risulta decisamente favorito, sicuramente arriverebbe primo e forse – forse – otterrebbe anche la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, che gli consentirebbe di governare il Paese. Dunque, se Draghi non sentisse ragioni, anche Berlusconi e Salvini sarebbero costretti a giocarsi la partita nelle urne.
Dall’altra parte della barricata, ovvero nel centrosinistra (chiamiamolo così per comodità), la situazione appare disperata. I Cinquestelle, dopo aver subito la scissione dell’ipergovernista Di Maio (folgorato sulla via di Draghi…), dopo aver perso malamente le elezioni amministrative, e dopo aver provocato la crisi di governo, rischiano di presentarsi da soli alle elezioni andando incontro a una sconfitta storica, autorelegandosi all’opposizione barricadera predicata da Alessandro Di Battista. Che a quel punto potrebbe o dovrebbe prendere il posto di Conte, troppo avvocato e troppo professore per improvvisarsi rivoluzionario fuori tempo massimo. A meno che nelle prossime ore, Conte non faccia l’ultimo salto mortale e dichiari la sua fiducia nel governo Draghi: molto improbabile ma non impossibile. Sarebbe un scelta dettata soprattutto dalla paura di perdere tutto, ma la paura a volte può essere virtuosa.
Ed è questo l‘obiettivo di Enrico Letta, per lui salvare il governo di unità (?) nazionale significherebbe anche salvare quell’idea di campo largo, o di nuovo Ulivo, su cui ha basato tutta la sua strategia politica da leader del Pd. Altrimenti, addio sogni di gloria. Il suo partito sarebbe costretto a correre più o meno da solo alle elezioni, destinato quindi a perdere la partita, senza neanche poter sperare di pareggiare in modo da far nascere un nuovo esecutivo (con o senza Draghi) che rimetta tutti o quasi insieme nella stessa maggioranza. La sconfitta sarebbe talmente bruciante anche sul piano personale che ovviamente lo stesso Letta sarebbe costretto a dimettersi lasciando il Pd in altre mani. Quali, non si sa.
Per non parlare dei piccoli, quell’arcipelago composto da piccoli scogli che dalle urne uscirebbe con pochissimi o addirittura nessun seggio parlamentare grazie alla legge elettorale attuale che certamente non sarebbe possibile cambiare in poche settimane. Ironia della sorte si chiama Rosatellum, dal nome del Ettore Rosato, presidente del partito di Renzi. Direbbe la mia bisnonna: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Insomma, per molti protagonisti della nostra malridotta politica, l’unica speranza è che l’attuale premier ci ripensi e rimanga al suo posto. Parafrasando un vecchio slogan mussoliniano: “O Draghi o morte”.
Riccardo Barenghi