Volker Telljohann, Fondazione Istituto per il Lavoro
1. I Comitati aziendali europei
Rispetto alle nuove tendenze in materia di relazioni industriali e partecipazione il Comitato aziendale europeo è da considerare, per quanto riguarda il livello europeo, la novità più significativa. Di fatto il Cae rappresenta il primo strumento di partecipazione a livello dell’Unione europea. Essendo una istituzione con un carattere transnazionale il Cae è anche unico nel panorama internazionale.
1.1. La direttiva sulla costituzione dei Cae
La versione finale della direttiva europea sulla costituzione dei Cae, o delle procedure di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese su scala comunitaria, rappresenta uno spostamento paradigmatico rispetto alle precedenti stesure, in quanto prevede una soluzione negoziata. Le precise condizioni sotto le quali un Cae opererà vengono stabilite dalla trattativa tra il top management e la Delegazione speciale di negoziazione (Dsn), che viene eletta o nominata dai lavoratori del gruppo o i loro rappresentanti nei vari Stati membri.
La direttiva conteneva un elemento incentivante per quei Cae costituiti tra il 1994, anno in cui la direttiva fu adottata, e il 22 settembre 1996, data che corrispondeva alla trasposizione della direttiva stessa in legge nazionale. (1) Secondo l’articolo 13 della direttiva, tali accordi volontari possono rimanere in vigore anche dopo la trasposizione della direttiva in legge nazionale a condizione che coprano la totalità dei lavoratori del gruppo negli Stati membri e che garantiscano il diritto di informazione e consultazione dei lavoratori a livello comunitario.
In assenza di un accordo volontario in base all’art.13, l’art.6 della direttiva prevede la negoziazione di un accordo tra la delegazione speciale di negoziazione dei lavoratori e il management centrale per la costituzione, la composizione ed i poteri del Cae. Se non si raggiunge nessun accordo, il Cae sarà istituito concedendogli diritti minimi di informazione e consultazione definiti nelle prescrizioni accessorie della direttiva.
Le sanzioni legali, in caso che il management centrale del gruppo contravvenga ai diritti di informazione e consultazione del Cae esistente, sono deboli, ma utilizzabili in forma di mantenimento di una posizione di bloccaggio, come il caso della Renault (2) ha dimostrato.
1.2. La nascita dei Cae
Il periodo dalle origini fino all’istituzionalizzazione dei Cae abbraccia circa un decennio: dalle prime commissioni di informazione negoziate a metà degli anni ’80, fino ai recepimenti della direttiva dai rispettivi sistemi nazionali nel 1996. In questo arco di tempo, fattori economici, politici e sociali hanno influenzato la nascita e la formazione di questa nuova istituzione di relazioni industriali aziendali in vari contesti caratterizzati da esperienze di interazione diverse fra di loro. Poi, nel corso del tempo anche le forme di interazione si sono sviluppate.
Il processo di sviluppo dei Cae può essere analizzato prendendo in considerazione le tre fasi principali:
a) La fase ‘pionieristica’ di accordi volontari, che va dalla metà degli anni ’80 fino all’emanazione della direttiva il 22 settembre 1994. Questo periodo può essere a sua volta ulteriormente suddiviso in due fasi. Una prima, dalla metà alla fine degli anni ’80, in cui furono concordati e avviati i primi progetti pilota; e una seconda, dal 1990 al 1994, quando furono conclusi accordi volontari potendo già contare su supporti materiali ed istituzionali da parte dell’Unione Europea. In questi casi si è parlato di negoziati ‘all’ombra della legge’.
b) La fase tra il settembre 1994 e il settembre 1996, da quando la direttiva fu adottata alla trasposizione, può essere definita come la fase degli accordi volontari propulsi dalla direttiva (accordi ex art.13).
c) La fase attuale, che è caratterizzata dalla costituzione obbligatoria dei Cae secondo l’articolo 6 della direttiva, ha avuto inizio nel settembre 1996 e continuerà fino alla revisione della direttiva stessa prevista già per il 1999.
1.3. Relazioni industriali
Si possono identificare tre diversi approcci che mettono in rapporto i Cae e l’europeizzazione delle relazioni industriali.
L’approccio neo-corporativo è basato sull’assunto che la loro costituzione può essere importante per i sindacati, ma non ha un futuro politico più ampio perché nega la capacità istituzionale dell’Unione europea di creare un sistema legale e politico nell’ambito del quale si possano sviluppare delle politiche sociali e la contrattazione collettiva.
Viceversa, la teoria critica della modernizzazione ipotizza che i Cae non necessariamente portano allo sviluppo di una struttura di rappresentanza autonoma a livello europeo. Esiste il rischio che queste nuove istituzioni si svincolino dai sistemi sovraziendali di solidarietà e regole, e pertanto, porteranno ad un ulteriore indebolimento dei sistemi nazionali di regole.
Il terzo approccio, la teoria dinamica della modernizzazione, considera i Cae come un catalizzatore per una cooperazione più estesa del sindacato e un rafforzamento delle federazioni di categoria del sindacato europeo. Secondo questa teoria si può considerare i Cae come la fase embrionale di un complesso sistema europeo di relazioni industriali, ancora alle prime fasi del suo sviluppo.
1.4. La diffusione
Dal punto di vista quantitativo l’Italia è coinvolta in almeno 330 dei 657 Cae che fino all’inizio del 2001 erano stati costituti.(3) Sono oltre 60 i gruppi con casa madre italiana che dovrebbero applicare la direttiva; fino ad oggi circa la metà di questi gruppi ha firmato un accordo. La stragrande maggioranza dei Cae è stata costituita sulla base dell’art. 13, ovvero su base volontaria. Dopo il settembre 1996 la costituzione di nuovi Cae è notevolmente diminuita. Questo è dovuto probabilmente al fatto che la procedura prevista dall’articolo 6 è più complessa e di conseguenza i processi di negoziazione si stanno prolungando. Inoltre si può presumere che i gruppi interessati all’istituzione di un Cae l’abbiano fatto in base all’art. 13.
1.5. Il funzionamento
Sul funzionamento concreto dei Cae esistono finora, a parte la descrizione di vari casi, solo poche ricerche. Fra queste è da mettere in risalto un analisi qualitativo sull’insieme dei processi di comunicazione e interazione che condizionano e influenzano la costituzione e la formazione dei Cae. Il progetto, promosso dalla Fondazione Hans Böckler del DGB (4), consisteva in una ricerca comparata realizzata in quattro paesi. L’approccio di comparazione internazionale aveva l’obiettivo di indagare le condizioni strutturali e le variabili chiave che influenzano le esperienze dei Cae. La ricerca si proponeva inoltre di analizzare sistematicamente il fattore soggettivo per il quale intendiamo gli interessi, le motivazioni e le aspettative degli attori così come le condizioni socio-culturali di interazione, che caratterizzano la realtà dei Cae.
In particolare sono state esaminate le quattro dimensioni della comunicazione e interazione che determinano lo sviluppo, il carattere e l’efficacia dei Cae e sulle rispettive interazioni fra queste dimensioni qui di seguito elencate:
* la dimensione interna, ovvero la cooperazione formale e informale tra i membri dei Cae,
* la comunicazione e interazione fra Cae e management,
* la comunicazione e interazione fra Cae e strutture nazionali di rappresentanza dei lavoratori,
* la comunicazione e interazione fra Cae e organizzazioni sindacali.
Questa dimensione qualitativa definisce anche il suo carattere potenzialmente creativo. Il suo duplice orientamento colloca il materiale empirico raccolto e la sua valutazione al centro di tre aree di ricerca sui Cae:
1. il campo dei sistemi nazionali di relazioni industriali e i Cae, che comprende l’analisi delle specifiche condizioni, dei problemi e delle probabili conseguenze della costituzione dei Cae nei Paesi esaminati (ricerca sulla compatibilità);
2. il campo dello sviluppo delle relazioni industriali transnazionali, che comprende analisi e valutazione dei rapporti tra i membri del Cae nei vari Paesi, tra il Cae e il management di gruppo a livello europeo, considerando anche i probabili effetti sulla europeizzazione delle relazioni industriali (teoria della europeizzazione);
3. infine, la generalizzazione dei risultati degli studi di caso offre suggerimenti, fondati empiricamente, per una buona pratica rispetto alla costituzione e operatività dei Cae stessi; buona pratica che deve essere ora stabilita in conformità agli standard della direttiva (ricerca sulla implementazione).
2. I risultati
Nonostante il fatto che molti Cae si limitano alla sola funzione di ricevere delle informazioni, esistono comunque anche delle esperienze in cui i comitati sono riluttanti a farsi ridurre allo status di commissioni di informazione e cercano di espandere il loro campo di azione. Il successo dei Cae dipende quindi molto dalla loro capacità di mettersi d’accordo sulla propria funzione che a sua volta possa permettere che si crei e sviluppi una vera e propria identità dei Cae. Questo significa innanzitutto assumere un ruolo attivo e propositivo.
In quei casi in cui il Cae è riuscito ad assumere un ruolo attivo la messa a disposizione di informazioni per quanto riguarda la qualità e la quantità, la tempestività e la disponibilità di testi scritti in genere è migliorata in modo notevole, creando in diversi casi aree di influenza sulla strategia e politica di gruppo (quali ricollocazione della produzione, outsourcing, sicurezza del posto di lavoro), e ampliando le risorse del Cae (cominciando dal diritto ai pre- e post-meeting, alla creazione di un comitato ristretto, e alla disponibilità di infrastrutture e di un apposito budget per l’attività del Cae).
La creazione di una struttura di organizzazione e comunicazione all’interno dei Cae, insieme alla crescita di coerenza nella loro attività, costituiscono i fattori decisivi del processo di costituzione dei Cae. Questo implica sia per gli individui, sia per le istituzioni la necessità di processi di apprendimento. Nella maggior parte dei casi il punto di partenza è il trasferimento del modello nazionale di negoziazione a livello europeo. Così, almeno inizialmente, i rappresentanti che provengono dal paese della case madre tendono a dominare e formare i Cae usufruendo del loro vantaggio inerente la vicinanza del management centrale. Solo attraverso l’interazione fra i rappresentanti dei vari Paesi si possono innescare processi di apprendimento che infine portano alla formazione di un comitato genuinamente europeo.
Collegamenti tra i Cae e le strutture nazionali di rappresentanza e anche le forze lavoro nazionali, sono ancora allo stadio nascente. Soltanto pochi Cae considerano loro compito politico ancorarsi alle strutture nazionali di rappresentanza e cercare di ottenere il consenso e l’interesse dei lavoratori.
Comprensibilmente, in passato, i sindacati tendevano a concentrasi sulla costituzione di più Cae possibili e a lavorare accanto alle rappresentanze aziendali, fino a che non fosse firmato un accordo. Ora comunque si scontrano sempre più con la necessità di offrire consulenza e formazione ai Cae esistenti, dando loro una direzione strategica e integrandoli con altri ambiti di politica sindacale. Questo presuppone che i sindacati compiano un ulteriore passo verso l’europeizzazione della loro politica.
Pare che i sindacati nazionali si concentrino nel seguire i Cae del proprio Paese. I membri dei Cae con casa madre all’estero invece spesso non vengono seguiti. Questo approccio implica che da un lato questi delegati non ottengono né supporto né indicazioni di orientamento, ma dall’altro anche il sindacato rinuncia ad una fonte di informazioni che prima non aveva a disposizione. Da questo punto di vista sembra infatti paradossale che i sindacati concentrino le loro risorse sui Cae del proprio Paese, che in genere non forniscono un valore aggiunto significativo rispetto alle fonti di informazioni già esistenti nell’ambito del sistema di relazioni industriali a livello nazionale, mentre trascurano i membri nazionali dei Cae di gruppi stranieri che invece potrebbero rappresentare una vera risorsa aggiuntiva per il sindacato.
La costituzione e lo sviluppo dei Cae dovrebbe essere considerato come un processo aperto e dinamico nel quale i Cae si trasformano da semplici comitati di informazione in reali attori all’interno del gruppo. Processi aperti e dinamici, a loro volta, suggeriscono strutture che rimangono soggette a processi politici che potrebbero modellare ulteriormente i Cae, anche se ciò richiederà ulteriori passi verso l’europeizzazione delle relazioni industriali, in particolare da parte dei sindacati.
3. Le prospettive: i Cae come attori sociali?
Il modello positivo di Comitato aziendale europeo è contrassegnato dal fatto che esso non soltanto riceve e tratta informazioni, ma sviluppa anche un proprio giudizio e proprie iniziative e, magari, persegue progetti propri. Questo contrasta con i modelli ‘negativi’, come nei casi in cui il management cerca di appropriarsi dei Cae o ne abusa trasformandoli in semplici strumenti di diffusione di una ‘European Corporate Identity’.
Un Cae inteso come reale attore richiede un grado di autonomia rispetto alle strutture nazionali di rappresentanza dei lavoratori, ai sindacati e al management. Viceversa, solo se i sindacati e il management riconosceranno una qualche validità ai Cae, saranno preparati a sostenerlo. È ipotizzabile che il grado di autonomia di un Cae dipenda da più fattori, fra cui il modello di Cae applicato, la cultura e il sistema di relazioni industriali.
La grande maggioranza dei Cae con casa madre italiana applica il modello tedesco, il che significa che il Cae è composto esclusivamente da rappresentanti dei lavoratori. La particolarità del caso italiano sta nel fatto che i Cae si devono inserire in un sistema di relazioni industriali a canale unico il che implica una forte presenza del sindacato esterno. Le Rsu dalle quali vengono reclutati i membri italiani dei Cae sono infatti anche strutture sindacali a livello aziendale con competenze contrattuali. Esiste quindi un rapporto organico fra sindacato esterno e la rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale. Un’espressione di questo rapporto stretto è il diritto dei sindacati di poter nominare un terzo dei membri italiani dei Cae. Ma esistono anche casi, come per esempio Eni, in cui sono previsti dei seggi per sindacalisti esterni. Se da un lato questo legame fra Cae e sindacato può facilitare il coordinamento fra politica sindacale e attività dei Cae, dall’altro lato implica anche il rischio di una mancanza di autonomia dei Cae.
Il caso francese invece è caratterizzato dal fatto che i Cae rappresentano in genere delle strutture miste, composte da rappresentanti dei lavoratori e del management. È anche abbastanza frequente che la presidenza del Cae è coperta da un rappresentante del management. Di conseguenza anche il comitato ristretto è una struttura mista. È evidente che in questo caso il punto debole dell’autonomia (della parte dei lavoratori) del Cae riguarda proprio il rapporto con il management.
Per quanto riguarda il caso tedesco è già stato sopra ricordato che tale modello è caratterizzato dal fatto che il Cae è composto esclusivamente da rappresentanti dei lavoratori. A differenza del sistema italiano il sistema tedesco di relazioni industriali è un sistema a canale doppio. Le rappresentanze dei lavoratori, i Betriebsräte, sono rappresentanze elettive previste dalla legge e, di conseguenza, formalmente autonome rispetto alle strutture sindacali esterne. In questo caso esiste il rischio che i Cae vengano dominati dalle potenti strutture nazionali di rappresentanza, i Konzernbetriebsräte.
Come vediamo, in ogni contesto i condizionamenti dei Cae sono di natura diversa. Il modo di implementazione e l’esperienza concreta dei Cae dipendono quindi in gran parte dal rapporto con i rispettivi sistemi di rappresentanza e di contrattazione che troviamo nei paesi in cui la casa madre ha la sua sede. Di conseguenza i Cae finora sono ancora considerati più delle estensioni dei rispettivi sistemi nazionali di relazioni industriali a livello europeo che non una genuina struttura di un sistema di relazioni industriali europeo.
Questo fenomeno non riguarda solo i Cae costituiti sulla base del articolo 13 della direttiva, ma pare che sia valido anche per i Cae costituiti sulla base del articolo 6 che hanno visto impegnata la delegazione speciale di negoziazione (Dsn). Per quanto riguarda per esempio l’Italia nella maggior parte dei casi è tuttora il sindacato nazionale che progetta il Cae in cooperazione con la rispettiva federazione europea, assegnando in questo modo alla Dsn un ruolo di mera legittimazione.
Anche le prospettive dei Cae possono essere influenzate dalla rispettiva tradizione e cultura delle relazioni sindacali. In un contesto caratterizzato da un elevato livello di legislazione in materia di relazioni industriali e poi da una separazione fra le funzioni di rappresentanza e di contrattazione l’atteggiamento del sindacato e delle rappresentanze dei lavoratori rispetto a una possibile futura funzione contrattuale dei Cae, per esempio rispetto a materie di interesse comune, sarà probabilmente piuttosto cauto. In un sistema di relazioni industriali di canale doppio come lo troviamo per esempio in Germania, problemi sono già stati sollevati riguardo al possibile impatto del Cae sulla contrattazione collettiva. Il Cae potrebbe portare ad una decentralizzazione del sistema di contrattazione collettiva, uno sviluppo già evidente in alcune aree. I Cae potrebbero quindi accentuare ulteriormente la minaccia al tradizionale sistema di contrattazione sovraziendale. Ma sarebbe anche immaginabile che il Cae possa supportare i contratti collettivi di categoria mettendo informazioni utili a disposizione dei sindacati; in cambio i Cae possono ricevere informazioni dai sindacati sugli sviluppi che non sono discussi in modo esaustivo a livello aziendale, di impresa o di gruppo. Viceversa, in un contesto senza una marcata tradizione legislativa caratterizzato inoltre da un sistema di relazioni industriali a canale unico sindacati e rappresentanze dei lavoratori potrebbero essere anche più aperti rispetto ad un’ipotesi di una futura funzione contrattuale dei Cae.
Un altro fattore che può influire sull’atteggiamento di un sindacato nazionale potrebbe essere la struttura produttiva di un determinato settore a livello nazionale. L’industria italiana, per esempio, è caratterizzata da un lato da una predominanza di piccole e medie imprese che spesso fanno parte di gruppi stranieri, e dall’altro da un numero piuttosto ridotto di gruppi multinazionali con sede in Italia. Di conseguenza sono relativamente pochi i Cae con casa madre italiana, mentre esiste un numero molto elevato di Cae stranieri in cui si trovano delegati delle filiali italiane. Se i Cae avessero una competenza contrattuale a livello di gruppo i sindacati italiani potrebbero essere giustamente preoccupati di una egemonia dei rispettivi sindacati stranieri per quanto riguarda l’impostazione della strategia contrattuale. Da questo punto di vista sarebbe auspicabile portare avanti prima la contrattazione collettiva europea a livello settoriale per definire un quadro nell’ambito del quale si possa sviluppare la contrattazione a livello di gruppo. Dal punto di vista della politica sindacale quest’ipotesi implicherebbe una rivalorizzazione delle federazioni sindacali europee e più in generale la necessità di ridefinire le competenze negoziali ai vari livelli e di sviluppare un coordinamento della contrattazione collettiva. Dal punto di vista delle relazioni sindacali, invece, l’obiettivo di una contrattazione collettiva a livello europeo presuppone un rafforzamento del dialogo sociale settoriale a livello europeo. Considerata la indisponibilità delle associazioni imprenditoriali, la prospettiva di una futura contrattazione europea sembra ancora remota. (5)
4. Conclusioni
I Cae, avendo solo un diritto di informazione e consultazione, non hanno ancora gli strumenti necessari per agire come rappresentanti dei lavoratori a livello europeo nell’ambito di processi di ristrutturazione. Oggi si pone intanto la domanda come creare dei collegamenti più stretti fra i Cae e le rispettive strutture di rappresentanza a livello nazionale.
In futuro sarebbe interessante analizzare quale potrebbe essere l’impatto concreto dell’introduzione di una struttura come il Cae sui vari sistemi di relazioni industriali. In ogni caso i Cae hanno inaugurato un processo nel quale le relazioni industriali europee stanno ora iniziando a svilupparsi a livello di gruppo. Se questo rappresenti una minaccia o un’opportunità per i sistemi nazionali di relazioni industriali e soprattutto per i sindacati, è difficile dirlo, e dipenderà, da un lato, da come i sindacati affronteranno l’europeizzazione all’interno delle loro stesse organizzazioni, e dall’altro da come le federazioni sindacali europee riusciranno a progettare e coordinare il futuro sviluppo dei Cae in modo da evitare i rischi di aziendalismo e da far rispettare l’impostazione solidaristica della politica sindacale europea.
Per quanto riguarda il sistema di relazioni industriali italiano l’introduzione dei Cae significa sia un consolidamento, sia un’estensione della prassi nazionale di informazione e consultazione. In più l’obbligo di recepimento della direttiva europea dovrebbe portare per la prima volta ad un’istituzionalizzazione di un diritto di partecipazione. Per quanto riguarda invece il modello di relazioni industriali non sembra comunque probabile che la nuova istituzione del Cae possa portare ad una introduzione di un sistema a canale doppio.
(NOTE)
1) In Italia la direttiva è stata recepita il 6 novembre 1996 attraverso l’accordo inteconfederale firmato da Cgil, Cisl, Uil, Confindustria ed Assicredito.
2) Cfr. U. Rehfeldt, Der Renault-Vilvoorde-Konflikt und seine Bedeutung fur die europaische Gewerkschaftspolitik, in WSI-Mitteilungen 7/1998, S. 450 ff.
3) Cfr. C. Stanzani, I comitati europei d’impresa in Italia: ancora tra aspetti critici di realizzazione e di efficacia, relazione presentata al seminario ‘L’informazione e consultazione dei lavoratori in Europa’, Roma, 24-25/02/2000 e più in dettaglio la banca dati di ‘Infopoint CES’.
4) I risultati del progetto di ricerca si trovano nella versione tedesca in W. Lecher, B. Nagel, H.W. Platzer, Die Konstituierung Europaischer Betriebsrate – Vom Informationsforum zum Akteur?, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden Baden, 1998, e nella versione inglese in W. Lecher, B. Nagel, H.W. Platzer, The Establishment of European Works Councils. From information committee to social actor, Ashgate, Aldershot, 1999. Una più dettagliata presentazione del caso italiano si trova invece in V. Telljohann, Arbeitsbeziehungen und Europaische Betriebsrate in Italie, in W. Lecher (a cura di), Europaische Betriebsrate und Arbeitsbeziehungen – zur Lage und Entwicklung in GroBbritannien, Frankreich und Italien, Hans-Bockler-Stiftung, Dusseldorf, 1998, p. 61-92.
5) Basta ricordare l’obiettivo della Confindustria di ridurre i livelli contrattuali. E’ ovvio che chi vuole ridurre le sedi contrattuali nel contesto nazionale non è interessato ad aggiungerne altre a livello sovranazionale.
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