Qualcuno riesce a immaginare quanti siano i palazzi, gli appartamenti, le strutture di proprietà di Inps, Inail e altri enti pubblici in Italia? Se si dà un’occhiata ai siti degli istituti si scopre che i loro immobili sono numerosissimi e diffusi su tutto il territorio nazionale. Basta sfogliare le pagine di “Amministrazione trasparente” per rendersene conto (https://www.inps.it/amministrazione-trasparente/beni-immobili-e-gestione-patrimonio/patrimonio-immobiliare e https://www.inail.it/cs/internet/istituto/amministrazione-trasparente/beni-immobili-e-gestione-patrimonio.html).
Sia chiaro, non si tratta di investimenti immobiliari velleitari, o di attività speculative. Sappiamo che c’è un obbligo di investimento previsto dalla legge a garanzia delle riserve tecniche necessarie al pagamento degli oneri futuri per ciascuno degli enti. Il problema sorge nel come viene impiegato questo enorme patrimonio, o non impiegato, visto che per metà risulta negli stessi siti essere “non utilizzato”.
In alcuni casi gli Enti proprietari sembra stiano cercando di vendere sul mercato parte del loro patrimonio, ma senza grandi risultati. Forse perché non c’è domanda per quella tipologia di abitazione, forse perché il loro stato di manutenzione non è buono o il costo è troppo alto. In altri casi, specie nei capoluoghi di media dimensione, perché si sta riducendo il numero dei residenti e la domanda di abitazioni è inferiore all’offerta. Che senso ha lasciare queste proprietà pubbliche in uno stato di non impiego e di decadimento in ogni angolo del Paese? Nessuno, ovviamente. Al contrario, partire da un più adeguato utilizzo di questi immobili potrebbe rappresentare un avvio di rigenerazione urbana molto importante su tutto il territorio nazionale.
È quello che sta sperimentando l’Associazione Nuove Ri-Generazioni di Treviso: tentare, con il coinvolgimento del Comune, la rigenerazione di uno di quegli stabili per creare una cohousing o social housing destinata principalmente ad anziani e giovani coppie. Si tratterebbe, in sostanza, di rimodulare le volumetrie abitative e soprattutto dotare il nuovo stabile dei servizi e degli spazi sociali necessari: portierato attivo, sicurezza, prima assistenza alle persone e agli impianti, spazi verdi, orti, ecc. Per realizzare questa riconversione non solo architettonica ma funzionale, sembra sia possibile impiegare le risorse previste dal PNRR. Potrebbe essere, questa sì, un colossale progetto di rinnovamento della qualità dell’abitare.
La rigenerazione non è, infatti, semplice riqualificazione, tantomeno il solo restauro degli stabili. È riorganizzazione della città (delle sue strutture e dei suoi servizi) per corrispondere meglio ai bisogni dei cittadini. Si continua a parlare di mancanza di abitazioni e di nuovo fabbisogno edilizio. Difficile immaginare che questo sia vero con le dinamiche demografiche in atto, lo spopolamento in corso in gran parte del Paese e la crescita del numero delle persone anziane in corso da anni. È la qualità dell’abitare nel proprio condominio e nel proprio quartiere che va riconsiderata avviando una riconversione degli spazi senza ulteriore consumo di suolo. E favorendo una riconversione dell’industria edilizia verso nuove tipologie abitative, l’impiego di nuovi materiali l’utilizzo di tecnologie innovative.
Gaetano Sateriale