“L’inflazione distrugge un antico diritto naturale: ciò che sale, deve scendere” ebbe a dire un umorista brasiliano. Una frase che si adatterebbe bene all’attuale situazione: si continua a rassicurare, sostenendo che l’inflazione è da considerarsi fenomeno transitorio, ma quella transitorietà sembra assumere una qualità tutta italiana: nulla è più duraturo di ciò che viene giudicato temporaneo.
Naturalmente l’auspicio è che il fenomeno, chiaramente internazionale, non comprometta nel tempo la ripresa e soprattutto non impedisca politiche tese all’equità. L’inflazione alta è un altro indicatore di diseguaglianze.
Ad ottobre secondo l’Istat il tasso d’inflazione rispetto allo stesso mese del 2020 è salito al 3%, non accadeva dal 2012, anno di crisi come si ricorderà. L’aumento è strettamente collegato all’andamento dei prezzi dei beni energetici e delle materie prime. In parte dovuto alla ripresa della produzione, ma che si manifesta per i bilanci delle famiglie come un aggravio non di pochi spiccioli, sul quale soprattutto le forze politiche dovrebbero riflettere con maggiore attenzione.
Non a caso il cosiddetto “carrello della spesa” mostra segnali poco incoraggianti. Potremmo a ragione sostenere che questa situazione solleva i lavoratori da ogni responsabilità: non è una inflazione da salari, anche perché i primi passi della crescita trascinano con sé il ritorno della precarietà e si avvalgono di alcune distorsioni da correggere, una fra tutte la giungla salariale presente in diversi settori, sintomo per giunta di lavoro irregolare. Ma proprio questa constatazione dovrebbe spingere Governo e Parlamento a mettere dei paletti chiari nella manovra in discussione che favoriscano più lavoro stabile, sostegni davvero efficaci alle realtà sociali in difficoltà ed interventi utili a ridurre comunque le diseguaglianze. E non si possono nemmeno dimenticare le conseguenze immediate del rialzo dell’Inflazione: qualche centinaio di euro in meno nel reddito disponibile di tante famiglie nel 2021, a partire dalle meno abbienti.
Si possono anche accettare brevi momenti nei quali sopportare i problemi derivanti dal ritorno dell’inflazione (per ora su livelli ancora non drammatici, salvo non auspicabili accelerazioni: a fino anno l’inflazione 2021 potrebbe arrivare all’1,8%…), se però la barra della politica economica punterà decisamente verso una ripresa produttiva qualificata, con investimenti che non rimangano sulla carta e con un continuo monitoraggio sulle emergenze sociali che si manifesteranno per dar risposte tempestive.
Ma nel tempo potrebbero emergere altre questioni che ancora trovano poco spazio nelle discussioni sulle prospettive economiche e sociali, ma finirebbero per alimentare ulteriori difficoltà nel cammino per uscire da questa fase di disagio sociale.
Intanto molto dipenderà dal ruolo che l’Europa intenderà assumere: l’inflazione sta diventando un problema comune. Ma allora problemi comuni si richiederebbero… risposte comuni. La stessa Bce ha ammonito a non considerare il fenomeno inflazionistico di breve durata. E’ quello che cautamente sta orientando la Fed negli Usa a valutare la situazione dei tassi, ma anche quello che probabilmente agita qualche sonno della classe dirigente in Cina. Non è difficile cogliere sui mercati mondiali il marcato timore che la ripresa produttiva possa incorrere in una sorta di “gelata” prodotta da manovre sui tassi.
Ed il ruolo dell’Europa di conseguenza non potrà che essere essenzialmente politico: il nodo dell’energia è politico, quello della rivisitazione delle regole è politico, quello della continuazione del Quantitative Easing e, dunque, del futuro della politica monetaria (in attesa del nuovo governo tedesco) è politico. Ed una domanda che sarebbe bene porci è: basta il prestigio di Mario Draghi oppure servirà anche una strategia del sistema Italia per non rimanere succubi di scelte altrui?
Perché anche nel nostro Paese lo scenario che abbiamo di fronte a noi induce a credere che occorrerà… molta buona politica per superare le difficoltà.
Prendiamo il problema energetico: quanto l’oscillazione dei prezzi influirà ad esempio sulla transizione energetica? Un diluvio di parole e di promesse sui temi ambientali, di cui l’energia è pilastro fondamentale, in questo periodo ha affollato i palcoscenici internazionali. Ma sul piano delle soluzioni non vi sono stati grandi passi avanti. Ma tutti poi osservano: il tempo che rimane è poco. Ed allora, almeno, si cerchi di fare quel che è possibile, là dove è possibile.
I problemi da affrontare in Italia vanno di conseguenza aggrediti con grande determinazione: certamente va affrontato il tema dei tempi della transizione energetica anche alla luce di quel che sta accadendo nel mondo. Vanno approntati percorsi di riconversione produttiva e di salvaguardia della occupazione (anche attraverso piani di formazione ben precisi) che potrebbero divenire ancora più urgenti in presenza di forti tensioni sul mercato dell’energia e delle materie prime.
E non vi è dubbio che la necessità di garantire più fonti per il fabbisogno energetico di imprese e famiglie diventa più pressante se non altro al fine di ridurre la dipendenza dall’estero, nel quale come si vede la competizione per assicurarsi gli approvvigionamenti di energia è assai serrata ed in essa fanno la parte del leone grandi “continenti” economici come la Cina e l’India.
In questo senso è auspicabile una accelerazione di interventi che vanno dalla ricerca al completamento di un efficace quadro regolatorio e uno mirato di carattere fiscale, all’approvvigionamento, al potenziamento del contributo delle rinnovabili.
Si potrebbe dire che ancora una volta l’input arriva da situazioni contingenti e stati di necessità. Ed invece sta al sistema Paese tradurre il tutto in una opportunità di forte cambiamento.
Un fatto è certo: sottovalutare l’intreccio inflazione-energia sarebbe davvero un grande errore. E, purtroppo, dovremmo registrare una ulteriore dimostrazione di mediocrità provinciale da parte della politica di cui francamente non c’è alcun bisogno. In questi tempi, nei quali non dimentichiamolo, la pandemia è tutt’altro che scomparsa e potrebbe condizionare ancora l’economia mondiale, la coesione politica e sociale è tale se si accompagna a proposte riformiste di spessore, a volontà di confronto (e non di litigio all’insegna della distruzione del nemico politico) che siano in grado di valorizzare l’esperienza ed il contatto con la vera realtà del Paese. Il contributo del movimento sindacale e delle forze sociali più in generale può essere importante ma deve essere colto nel suo valore da partiti ed Istituzioni. Il momento per farlo è questo. E per quanto riguarda il movimento sindacale va detto che ha le carte in regola per contribuire a sostenere le ragioni duna crescita duratura ed equa.
Paolo Pirani