La notizia è stata anticipata dal Diario del lavoro con un articolo uscito nel pomeriggio di mercoledì 19 dicembre. Articolo in cui si annunciava che il giorno dopo, in occasione dell’ultima riunione del Direttivo Cgil messa in calendario per il 2018, Vincenzo Colla avrebbe ufficializzato la sua candidatura alla carica di segretario generale della Cgil.
Come è noto, infatti,la Confederazionedi Di Vittorio sta attraversando, in queste settimane, il suo percorso congressuale, che culminerà con il Congresso nazionale, a Bari dal 22 al 25 gennaio del 2019. Congresso che, a sua volta, si concluderà con l’elezione della nuova Assemblea generale, ovvero del massimo organismo dirigente della Confederazione il cui primo compito sarà quello di eleggere, appunto, il nuovo segretario generale della stessa Cgil.
Sorge quindi un interrogativo: chi sarà il nuovo leader della maggior confederazione sindacale italiana? A questa domanda, per adesso, c’è una sola risposta sicura, ma consiste in una negazione. Siamo certi, cioè, che questo nuovo leader non sarà Susanna Camusso. In base alle regole interne dell’organizzazione, infatti, Camusso, che è stata già eletta due volte, nel 2010 e nel 2014, all’incarico di Segretario generale, non può correre per un terzo mandato.
È anche noto, peraltro, che nello scorso mese di ottobre, con una mossa a sorpresa, la stessa Camusso avanzò, in una riunione della Segreteria Cgil, la candidatura di Maurizio Landini a suo successore. Una mossa, questa, inusuale per le abitudini della Cgil e tale da destare quindi, nell’immediato, un certo clamore.
Due i segretari confederali che, in quell’occasione, non votarono a favore della proposta di Camusso: Roberto Ghiselli e, appunto, Vincenzo Colla. Tanto che, da allora, il nome di Colla, autorevole responsabile dell’area attività produttive, è stato fatto più volte come quello di un possibile competitore di Landini nella corsa alla segreteria generale della Cgil.
Il quale Colla, per un paio di mesi, si è schernito dietro alla considerazione che, nel percorso congressuale della Cgil, le candidature alla segreteria generale vanno formalizzate non all’inizio del percorso, ma solo nella sua fase finale, ovvero davanti alla neoeletta Assemblea generale. E che ciò è tanto più vero in questo caso, ovvero nel caso di un congresso partito sulla base di un documento politico, intitolato Il lavoro è, ampiamente condiviso dal gruppo dirigente.
Adesso però, ovvero una volta terminati sia i Congressi nazionali di categoria che quelli confederali di livello regionale, adesso che l’appuntamento di Bari è ormai alle viste, Colla ha deciso di rompere gli indugi, rendendo nota, al Direttivo Cgil riunitosi a Roma giovedì 20, la sua “disponibilità” a candidarsi a Segretario generale della Confederazione.
E oggi, poco prima del tradizionale brindisi di auguri che si tiene in Cgil alla vigilia delle festività di fine anno, Colla ha avuto il suo primo incontro stampa da candidato segretario.
Per chi non lo conoscesse, Colla, piacentino, 56 anni, è un uomo alto, cordiale ma non invasivo e non portato a richiamare su di sé l’attenzione dei presenti. Ma è anche uno che poi si appassiona, quando ha l’occasione di parlare degli argomenti che più gli stanno a cuore.
Da candidato segretario, ha quindi disegnato, in qualche modo, un proprio autoritratto non fatto di confessioni autobiografiche o rivendicazioni di linea, ma consistente in un’analisi, breve e compatta, dei problemi con cuila Cgil, chiunque sia alla sua testa, dovrà confrontarsi a partire, almeno, dal primo giorno successivo alla conclusione del Congresso.
L’Italia, ha dunque detto Colla, è un grande paese manifatturiero, ma privo di materie prime. “Siamo quindi un paese che è totalmente in relazione con gli altri”, ha scandito Colla. Ricavandone che “dobbiamo essere un paese aperto”.
Ancora, ha detto Colla, continuiamo a ripetere a noi stessi che siamo un grande paese manifatturiero, ma abbiamo delle imprese che spesso non hanno le spalle abbastanza larghe per fare gli investimenti che sarebbero necessari nelle diverse filiere. E poi ha osservato che, per “salvare la nostra siderurgia”, ci sono voluti “due indiani”. Alludendo, evidentemente, alla franco-indiana ArcelorMittal, che si è fatta carico dell’ex Ilva, e all’indiana Jindal South West, che ha fatto propria l’acciaieria di Piombino.
“Io non sono contrario alle multinazionali”, ha poi chiarito Colla, sorridendo. Il problema è un altro. E cioè che senza un’idea di sviluppo corriamo il rischio di continuare ad essere un paese manifatturiero grande sì, da un punto di vista quantitativo, ma destinato a scivolare verso il ruolo di un “contoterzista”, ovvero di diventare un paese che lavora in conto terzi. Ecco perché uno slogan come quello di “padroni a casa nostra”, caro alla maggioranza gialloverde, rischia di essere privo di significato se, in suo nome, non vengono visti i problemi reali o, quel che sarebbe peggio, si punta a illusorie chiusure.
Cosa serve, allora? Innanzitutto, l’Europa, che è “il perimetro più democratico che abbiamo al mondo”. Mentre la cultura espressa da questo Governo “è quanto di più lontano” ci sia dalle tradizioni della Cgil e dai bisogni dei lavoratori.
Poi servono infrastrutture, materiali e immateriali. Siamo un paese “che va su gomma” e ha ancora un grande bisogno della famosa “cura del ferro”, ovvero di ferrovie, ma anche di porti , data la nostra collocazione in mezzo al mare Mediterraneo e in faccia allo sbocco del canale di Suez. E insomma, di infrastrutture per i trasporti. Di energia meno cara, che non obblighi più le nostre imprese a sostenere costi energetici significativamente più alti di quelli sostenuti dalle imprese concorrenti di altri paesi. E quindi, di infrastrutture energetiche. E poi di tutto ciò che è necessario nell’economia della conoscenza, dalla ricerca per l’innovazione alla formazione continua dei lavoratori.
E tutto ciò anche perché, come è noto, il nostro è un Paese che soffre, da anni, di una produttività più bassa di quella dei Paesi paragonabili al nostro. E se ciò accade non dipende certo da una carenza di “olio di gomito”, perché la laboriosità e l’affidabilità dei lavoratori italiani sono note nel mondo.
E serve, infine, un sindacato forte e unito, che recuperi autorevolezza contrattuale a partire dalla contrattazione del salario. Cosa, questa, particolarmente rilevante e urgente visto che, nella distribuzione del reddito, il lavoro ha perso molti punti da parecchi anni a questa parte.
E poi iniziativi politiche e legislative per combattere l’evasione fiscale, redistribuire il reddito, abbattere il debito pubblico e recuperare la secessione di fatto dovuta al nuovo allontanamento che si è creato fra Nord e sud del Paese.
Ecco, Colla è fatto così. Per far capire cosa possa significare la sua candidatura parla dei problemi del paese Italia prima ancora che di quelli del sindacato. E in questo, ci pare di poter dire, è fedele interprete della migliore tradizione Cgil.
@Fernando_ Liuzzi