“Con una flotta che negli ultimi 30 anni ha perso il 35 per cento delle imbarcazioni, 18.000 posti di lavoro e la maggior parte degli stocks naturali in forte sofferenza ed al limite di tenuta, secondo recenti i dati FAO e UE, il Piano triennale della pesca e dell’acquacoltura deve rappresentare uno strumento per rilanciare il settore, improntato ai criteri della trasparenza e non di ripartizione consociativa”. E’ l’appello di Coldiretti Impresapesca in vista dell’attuazione della nuova programmazione 2013-2015 da parte del ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. “E’ forse l’ultimo banco di prova per la tenuta del sistema – sottolinea Coldiretti Impresapesca – e, nonostante le risorse ridotte, condividiamo la sfida proposta dal ministero per una maggiore qualità dei programmi e trasparenza nell’affidamento e nella realizzazione, soprattutto nella destinazione dei fondi. Dopo i disastrosi risultati degli anni scorsi che hanno portato la pesca al tracollo e l’acquacoltura ad una mancata crescita, le risorse per dare linfa al Piano dovranno essere messe a bando, al fine di premiare idee e proposte valide ed evitare gli errori del passato, non prestando il fianco ad azioni che hanno dato spunto alle recenti cronache giudiziarie che hanno coinvolto beneficiari e ministero”. “Azioni – prosegue la nota – non propriamente mirate, quelle dei vecchi piani, che hanno finito per limitare l’impatto dello strumento sul sistema produttivo e sulla sua filiera, progressivamente sprofondato in una crisi gravissima, la più grande dal dopo guerra ad oggi”. “Per anni – denuncia Coldiretti Impresapesca – sono state perseguite politiche incentrare sui sistemi di produzione dimenticando il mercato che sempre più è andato in mano all’importazione. Un mercato che, paradossalmente, ha visto un progressivo aumento dei consumi negli ultimi 30 anni, con il solo freno riferito all’anno 2012, nelle quale la nostra produzione è sempre più marginale, ormai sotto il 30 per cento del pesce consumato, senza che l’acquacoltura sia riuscita riesca a sopperire le carenze della pesca tradizionale, a causa degli irrisolti problemi strutturali”. “In parte – sostiene Coldiretti – le responsabilità di questo fallimento vanno anche ascritte a una Politica Comune della Pesca lontana ed inadeguata che ha anche condizionato anche i Piani Triennali nazionali. Un appunto va fatto al nuovo Piano Triennale 2013-2015, che sta partendo: quello di non aver creduto, nonostante i nostri suggerimenti, alla principio guida della premialità che doveva permeare l’intero strumento stimolando gli operatori della pesca ad attuare la riforma del sistema con comportamenti etici, incentivando azioni virtuose e investimenti, allontanando così gli operatori del settore dalla mannaia delle pesanti sanzioni che le norme comunitarie hanno introdotto e che il nostro sistema ha ancor più aggravato. Il sistema va guidato al cambiamento senza uno stato di terrore, in particolare in un contesto economico unico come quello attuale”. (LF)
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