E proprio quando ci sarebbe bisogno di partiti capaci di esprimere una linea politica chiara, possibilmente uniti al loro interno, capaci di allearsi con altri, in grado di comunicare ai cittadini il loro progetto per il futuro… Proprio quando si tratta di eleggere il Capo dello Stato, ovvero colui che deve rappresentare l’unità del Paese, il garante della Costituzione, l’uomo – o la donna – che sia in grado di conquistare la fiducia degli italiani, almeno della loro maggioranza. Ecco, proprio adesso assistiamo allo sfaldamento di questi stessi partiti, li vediamo dividersi su chi debba essere eletto al Quirinale, su chi sia il più adatto a governare il Paese fino alla fine della legislatura, garantendo l’applicazione del Pnrr e la strada migliore per uscire dalla pandemia. E con i partiti si sfaldano pure le coalizioni che sembrava avessero formato. Destra e sinistra sbandano vistosamente, un giorno dicono una cosa e l’altro il suo contrario, fingono di mostrarsi unite mentre sono profondamente divise, pattinano sul ghiaccio senza saperlo fare, cadono, si rialzano, cadono di nuovo, si urtano, si fanno male, cercano di darsi un contegno ma non ci riescono, i cittadini attoniti guardano lo spettacolo – se lo guardano – allontanandosi sempre di più dalla politica, basta ripensare alle scorse amministrative che hanno segnato il massimo storico dell’astensionismo elettorale. Un elettore su due non è andato a votare.
Ma al di là delle chiacchiere questo non appare un problema per i nostri leader (chiamiamoli così) che dovrebbero guidare l’Italia. Adesso sono tutti concentrati sull’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, e fanno anche bene. Peccato però che proprio in questo frangente emerga la profonda inadeguatezza della nostra classe dirigente. Pensiamo per esempio alla pseudo candidature di Silvio Berlusconi, che perfino un bambino giudica totalmente ridicola, se non grottesca. Invece da giorni ci tocca assistere a un balletto inscenato dal centrodestra, soprattutto dalla coppia Salvini-Meloni che fingono di appoggiare l‘ex Cavaliere ma in realtà stanno facendo di tutto per costringerlo a rinunciare a candidarsi. Tutti lo sanno, tutti lo vedono, ma si continua a giocare come se eleggere il Capo dello Stato in una situazione sociale, economica e sanitaria così difficile fosse appunto un gioco. Un gioco pericoloso ovviamente, che dimostra anche la finta unità del centrodestra: i due leader appena citati non solo sono stanchi di Berlusconi, che ha pochi voti ma tanti soldi e continua a sopravvivere politicamente grazie alla sua storia (e che storia…), ma sono anche divisi tra loro. Tanto per dirne una, Salvini vorrebbe Draghi al Quirinale e Meloni no. Meloni vorrebbe le elezioni anticipate, che potrebbero premiare il suo partito (attualmente secondo nei sondaggi nazionali, subito dopo il Pd di Enrico Letta) e Salvini no. Entrambi devono poi fare i conti con Forza Italia, che non sarebbe così docile dopo che il suo leader sarà costretto a uscire dal vicolo cieco del Quirinale, nel quale peraltro si è voluto cacciare da solo. Insomma, l’invincibile centrodestra italiano perde colpi e rischia di perdere anche pezzi. E comunque non appare in grado di proporsi come una coalizione sulla quale la maggioranza degli italiani possa contare per il governo che verrà dopo le future elezioni. L’anno prossino o forse prima.
Dall’altra parte, non sono tutte rose e fiori. Il Partito democratico finora non è stato neanche in grado di esprimere una preferenza chiara per il Quirinale, Letta vorrebbe Draghi e forse accarezza l’idea delle elezioni anticipate per incassare il risultato che i sondaggi gli attribuiscono (20 o 21 per cento). Ma molti nel Pd non amano questa prospettiva. A cominciare dal capo delegazione al governo, Dario Franceschini, e a seguire da tutta la corrente degli ex (?) renziani: loro vorrebbero che Draghi rimanesse a palazzo Chigi e che si trovasse un altro nome per sostituire Mattarella. Quale non si sa.
Dunque, Pd che si divide e sbanda. E ancor di più sbanda il suo principale alleato, ossia il Movimento Cinquestelle. Che nel corso di questa legislatura ha perduto decine di parlamentare e milioni di voti, e che al proprio interno è lacerato tra correnti e correntine che non consentono al leader Giuseppe Conte di dispiegare la sua azione politica, ammesso che ne abbia una. Marcato a uomo, oltretutto, dal suo predecessore Luigi Di Maio, che non vede l’ora di riprendersi il suo posto e di togliere dal tavolo l’alleanza con il Pd: è noto che il Ministro degli Esteri ami più la destra della sinistra, e non disdegnerebbe affatto di ritrovarsi insieme al suo amico Salvini e paradossalmente al suo nemico Berlusconi. Nel frattempo sulla testa dei grillini è caduta una tegola pesantissima, l’indagine contro il loro fondatore Beppe Grillo per traffico illecito di influenze. Paradosso dei paradossi, si tratta di un reato introdotto dall’ex ministro pentastellato della giustizia Alfonso Bonafede.
Una forza politica così mal ridotta che garanzie può dare al Pd e a Leu di Speranza e Bersani – a loro volta non in buona salute, per usare un eufemismo – per la costruzione di un’alleanza politico-elettorale che possa presentarsi insieme alle future elezioni con qualche chance di vincerle? Pochissime, così come pochissime ne può dare per una conduzione unitaria della partita del Quirinale.
Morale della favola: da oggi in poi ne vedremo delle belle. Anzi, delle brutte.
Riccardo Barenghi