Il diario del lavoro ha intervistato Luca Caretti, segretario generale della Cisl Piemonte, per chiedere quale siano al momento le priorità e i problemi che sta affrontando il sindacato. Per Caretti, il tema della salute e sicurezza è centrale, e alcune proposte dei sindacati sono state ascoltate e accolte dalla Regione. Sulla sanità però, la strada è ancora lunga per arrivare a un sistema strutturato, che non rincorra solamente le emergenze del momento.
Caretti, qual è la situazione del Piemonte e quali sono i temi che sindacato sta affrontando?
Certamente la questione di sicurezza sul lavoro è uno dei temi centrali sul quale da sempre abbiamo messo al centro della nostra agenda. In particolar modo dopo l’ultima tragedia a Brandizzo; io dico l’ultima ma ricordo che di recente c’è stato il crollo della gru, in via Genova, a Torino, e tre anni fa c’è stata la caduta della funivia del Mottarone, quindi stiamo parlando davvero di una situazione particolarmente critica.
Ci sono stati ultimamente segnali di attenzione da parte della Regione sul tema della sicurezza?
Va registrato che in Piemonte qualche passo in avanti stiamo riuscendo a farlo. Recentemente abbiamo condiviso quello che è un Piano regionale su salute e sicurezza, dove la Regione mette in campo 14 milioni di euro nell’arco del triennio su investimenti relativi al potenziamento del personale, in particolar modo per quanto riguarda gli SPRESAL (Servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro, ndr). Queste risorse serviranno anche per aggiornare quelle figure professionali che siano in grado di reggere le nuove dinamiche del mercato del lavoro. Portiamo a casa questo risultato dopo un grande lavoro che è stato fatto unitariamente, in particolar modo da noi della Cisl.
Gli incidenti sul lavoro sono diminuiti o aumentati nella Regione, negli ultimi anni?
La tendenza è una diminuzione, però rimangono ancora numeri non accettabili. Noi come Piemonte a livello nazionale siamo posizionati al 4º posto per quanto riguarda il tasso di infortuni e morti sul lavoro; non è un bel risultato. Al di là dei numeri c’è anche la specificità dei casi che sono accaduti. Perché i tre eventi che ho ricordato prima, in parte c’è la fatalità e in parte, da un punto di vista dell’immagine del Piemonte, hanno fatto circolare un’immagine negativa della regione in giro per tutto il mondo. Perché quando cade, per esempio, una funivia come quella del Mottarone, non è un tema che viene discusso semplicemente da noi, ma è collegato e ha ripercussioni sulla stessa salute e sicurezza, sullo sviluppo del turismo e sull’attrattività di un territorio.
Quindi quali saranno i prossimi sviluppi del piano su salute e sicurezza che avete proposto alla Regione?
Noi come sempre abbiamo i piedi ben piantati per terra. Ci rendiamo conto che il piano adesso deve essere realizzato. Ci sono scritte quante risorse e scritti gli impegni. Adesso dobbiamo stare sul pezzo per chiedere che questi impegni e queste risorse vengano messe in campo.
Come siete arrivati a questo risultato con la Regione?
Abbiamo chiesto di aprire un tavolo di confronto alla Regione. Poi al tavolo ci siamo presentati con i nostri esperti. Infatti, abbiamo un Coordinamento di salute sicurezza a livello regionale all’interno del quale sono presenti anche persone che hanno avuto competenze di responsabilità sul settore negli anni. Nel nostro caso, per esempio, abbiamo un direttore di SPRESAL che ha avuto grandi ruoli negli anni passati prima di andare in pensione.
Quindi la Regione vi ha ascoltato?
Certo, ci ha ascoltato. Devo dire su questo tema c’è stata data attenzione e ascolto.
Ah. È un evento raro, visti i tempi.
Si, so benissimo che è cosa rara e per questo le dico che è un punto molto positivo. Poi ce ne sono altri che sono negativi ma parto da questo perché credo sia un dato che vada valorizzato. Noi a settembre, quando è successa la strage di Brandizzo, chiedevamo una maggiore attenzione sul tema salute e sicurezza, che si costruisse un piano in modo organico.
Tornando al tavolo, come vi ha risposto la Regione?
La Regione si è presentata con una sua bozza al tavolo sul quale si è aperto un confronto e sul quale sono stati inseriti quelle che sono le nostre le nostre richieste, che sono state recepite praticamente tutte nel piano. Insomma, è stato un percorso partecipato. Poi ripeto, so benissimo che non basta portare a casa un piano, deve soprattutto essere realizzato, però prima questo non c’era. Oggi c’è e delinea quelli che sono percorsi su quali dovranno essere investite risorse umane, economiche e finanziarie per cercare di rispondere a quella che è la criticità che dicevo prima.
Quali altri temi state portando avanti?
Il confronto sulla questione del sistema socio sanitario. Quello che stiamo chiedendo alla Regione è di avere un piano socio sanitario regionale, che purtroppo oggi non è ancora presente. Un piano dove vengano individuate le priorità, le risorse da mettere in campo, insomma una mappatura che provi ad affrontare il tema e non a rincorrere le emergenze. Quindi costruire un sistema sanitario e sociale regionale di prospettiva.
Siete già riusciti in parte per salute e sicurezza, quindi volete replicare l’esperienza.
Esatto, dobbiamo fare lo stesso che abbiamo fatto sul piano di salute e sicurezza. Quindi aprire un confronto, condividere dei modelli, ragionare in prospettiva. In Piemonte la situazione secondo me è critica in quanto si stanno rincorrendo giorno per giorno quelle che sono le emergenze del momento, invece di affrontare il fenomeno in modo organico e di prospettiva, con un disegno articolato e complessivo che va al di là del rispondere all’emergenza. Che si cominci a strutturare, a definire con chiarezza, quello che è stato definito anche nel Pnrr.
Ad esempio?
Su tutto l’aspetto della medicina territoriale, che è un aspetto centrale. Le case, gli ospedali di comunità, tutto quell’insieme di elementi definiti dal Pnrr. Circa sei mesi fa è stato fatto tutto un ragionamento sul Pnrr sul quale è emerso che ci potrebbero essere dei tagli rispetto a quelle che erano le risorse decise in precedenza. Allora, qui abbiamo bisogno di capire dalla Regione quanto incidono questi tagli su quell’impianto che avevamo condiviso cinque, sei mesi fa. C’è chi parla di un taglio attorno al 40%. Vogliamo capire dalla Regione, se questo taglio dovesse essere confermato, che cosa intende fare.
Cosa potrebbe succedere?
Gli scenari che si aprono sono due, cioè tagliare proporzionalmente la precedente rete che avevamo condiviso. Oppure la Regione potrebbe mettere in campo risorse proprie per far sì che, al di là del taglio, comunque non ci possa esserci un cambio rispetto al passato. Faccio un esempio concreto: il numero di case di comunità che verranno fatte sul territorio. È una questione che dovrà essere chiarita. I segnali che abbiamo ci dicono che la Regione vorrebbe ricorrere a risorse proprie. Però abbiamo bisogno che questo dato venga formalizzato. Poi sulla sanità c’è il problema enorme che è la mancanza di personale.
Quali figure mancano?
Si parla di medici, infermieri, operatori socio sanitari, siamo in una situazione critica. Infatti, stiamo chiedendo di incrociare più fittamente il mondo dell’università e il mondo della Regione, il mondo istituzionale e quello sindacale, per riuscire a ripartire con una pianificazione, una programmazione che riesca a mettere nelle condizioni di sfornare queste professionalità in numero adeguato per un settore che ha bisogno di essere fortemente potenziato.
I bassi stipendi non aiutano.
Esatto, non aiutano assolutamente. Devono essere messe in campo risorse per rinnovare i contratti. Perché è chiaro che il tema economico, volente o nolente, è un tema importante per agganciare i lavoratori al settore che altrimenti fanno scelte diverse. Infatti stanno arrivando in modo insistente offerte ai nostri professionisti, per esempio dagli Emirati Arabi, che sono altamente allettanti non solo da un punto di vista economico ma anche da un punto di vista di qualità della vita. Sugli infermieri le ultime offerte erano arrivate dalla Norvegia, che offrono salari nettamente superiori a quelli italiani e condizioni di vita notevolmente migliori rispetto alle nostre.
Quanto offre la Norvegia per esempio? Mettiamo a un infermiere.
Per un infermiere parliamo di 3.500€ al mese e l’affitto della casa pagato. Il tutto in un sistema paese come quello che c’è nei Paesi nordici, dove tra l’altro hanno un welfare d’eccellenza e qualità della vita d’eccellenza; sono offerte che sono molto attrattive. Quindi, oltre ad aggiungersi il fatto che tra pubblico e privato c’è un continuo rubarsi reciprocamente risorse umane, si aggiunge anche questa criticità. Dobbiamo puntare non solo a istruzione e formazione per le nuove generazioni, con maggiori corsi universitari ridotti oggi all’osso, ma serve aumentare i salari per tenerci le generazioni di oggi. Altrimenti i pochi che escono dall’università si rivolgono dove hanno offerte migliori.
Per ironia volevamo essere attrattivi ma lo siamo al contrario. Gli altri Paesi in pratica sono sì attratti dai nostri lavoratori molto qualificati e poco pagati, ma per farli lavorare da loro, è corretto?
Si esatto, e faccio un altro esempio: io abito sul confine, faccio un passo e sono in Svizzera. Qui da noi ormai è abbastanza normale che si formino operatori socio sanitari in Italia, che lavorano per qualche mese in Italia e poi quando hanno raggiunto una certa professionalità vanno in Svizzera. Tenga conto che è più dura lavorare da loro, hanno un sistema più complesso, più duro dal punto di vista lavorativo rispetto a quello italiano. Però in Svizzera hanno degli stipendi che, anche grazie al cambio, permettono di guadagnare più del doppio rispetto all’Italia.
Emanuele Ghiani