Chi ha paura di Carlo Bonomi? Il neo presidente della Confindustria è evidentemente ritenuto un interlocutore scomodo. Ogni volta che rilascia una dichiarazione suscita delle risposte piccate. L’ultima gli è arrivata, niente meno, che da Giuseppe(i) Conte durante la conferenza stampa all’aperto (con relativo distanziamento sociale e mascherine d’ordinanza) in cui il premier inaugurava l’avvio della fase 3. Al presidente era andato di traverso che Bonomi avesse affermato che la politica aveva compiuto più danni del virus. Così ha sfidato – da remoto come si usa in tempi di covid-19 – il nuovo inquilino di viale dell’Astronomia a presentare un progetto di carattere generale e non solo rivendicazioni di categoria. Ma anche i leader sindacali hanno trovato il modo di replicare ad alcune considerazioni del loro più importante interlocutore. Come sempre è toccato a Maurizio Landini di aprire le danze. “Se qualcuno pensa, non l’ha detto il presidente di Confindustria, che però dietro alla parola revisione c’è l’idea di non rinnovare i contratti e di cancellare la contrattazione collettiva nazionale non è la strada di cui ha bisogno il Paese e non è il momento di affrontare questo tema. Quindi, no revisione e sì al rinnovo dei contratti da subito. Già da domani”. In sostanza a un processo alle intenzioni. Il leader di Confindustria si era limitato a dare rilievo – come del resto facevano in tanti prima dell’ultima piattaforma rivendicativa dei metalmeccanici che ha riscoperto l’ebbrezza del contratto di categoria come autorità salariale – alla contrattazione di prossimità. Nel suo discorso d’investitura, dopo l’elezione all’unanimità, avvenuta il 25 maggio, Bonomi ha inteso riaffermare quel ruolo politico che la Confindustria aveva esercitato in altri tempi e che, con le ultime presidenze, si era abbastanza offuscato, fino ad essere esclusa dai negoziati su problemi importanti del mondo del lavoro. Basti pensare alle più recenti misure in materia di pensioni, per varare le quali la Confindustria non fu nemmeno coinvolta sia dal governo Gentiloni (sul pacchetto dell’Ape) sia dal Conte 1 (su quota 100 e dintorni). Nel programma presentato da Bonomi al mondo dell’impresa non mancava nulla delle questioni essenziali per superare questa fase e tornare a crescere, recuperando in tempi ragionevoli non solo il crollo del Pil atteso quest’anno, ma anche i 3 punti che sono mancati negli anni scorsi rispetto alle previsioni. Bonomi ha preso una posizione decisa (uno dei pochi) contro i rigurgiti di statalismo che stanno ammorbando la teoria economica di larghi settori, non solo pentastellati, della maggioranza (con il beneplacito di pezzi dell’opposizione). E il suo non è stato un processo alle intenzioni perché l’Italia corre davvero il rischio di trovarsi al cospetto di dieci, cento, mille Alitalia. Invece, come ha spiegato, il reddito e il lavoro a milioni di italiani possono darli solo le imprese. E per ottenere questo risultato occorre, sempre nella visione di Bonomi, eliminare il forte pregiudizio anti imprese che tuttora esiste nel nostro Paese. Basti pensare alle polemiche suscitate dal prestito di 6,3 miliardi che Fca Italia ha negoziato con Intesa-San Paolo, col proposito di avvalersi della garanzia dello Stato attraverso la Sace, come consentito dal decreto Liquidità. Eppure per giorni si è fatta la caricatura di questa operazione, come se di nuovo fossero scattati, alla stregua di un riflesso pavloviano, gli odi pubblici (che si celano dietro gli amori privati) che gli italiani riservano al gruppo di Torino che li ha motorizzati nell’arco di un secolo. In ogni caso vedremo cosa riuscirà a fare la nuova Confindustria e se le idee coraggiose e chiare esposte – in tutti i ruoli ricoperti nell’associazionismo datoriale – dal neo presidente troveranno conferma nella iniziativa della Confindustria, colmando un’assenza che era divenuta persino imbarazzante. Non a caso Conte si è preso la libertà, durante la conferenza stampa all’aria aperta, di “rispedire al mittente” il giudizio lapidario di Bonomi sull’azione del governo nella gestione dell’emergenza sanitaria. Si vede che si è fatto coraggio. Quando Giuseppe, divenuto Giuseppi, si recò a Milano (esibendo il n. 2 sulla pochette) per assistere all’Assemblea di Assolombarda non si scompose davanti alle parole ficcanti con le quali Bonomi – come si dice dalle mie parti – lo mise “a cavallo di un porco”, ricordandogli di essere un premier double face a cui non era consentito di scaricare, su di un altro se stesso, le responsabilità del suo primo governo. “Mi rivolgo a lei, Signor Presidente del Consiglio, esprimendo l’opinione che ho raccolto in tutta la nostra associazione, in queste ultime settimane. Sappia, che noi apprezziamo vivamente l’impegno che ha assunto nel suo discorso parlamentare per la fiducia. L’impegno a un nuovo tono. Di profondo rispetto istituzionale. Di grande cura nell’evitare polemiche divisive. Di deliberata costruttività, nei confronti dell’Europa e del rispetto delle sue regole. Di ascolto vero con le parti sociali: impresa, sindacati e società civile. È quanto avevamo chiesto invano, nel corso del 2018 e 2019. Però, Signor Presidente, – ecco il tocco finale di Bonomi – vogliamo essere con lei del tutto chiari. Noi apprezziamo i nuovi propositi. Ma non dimentichiamo quello che abbiamo visto e sentito nei 14 mesi precedenti. Non possiamo dimenticare che quel governo ci ha promesso di cancellare la povertà, invece ci ha restituito alla stagnazione”. Discorsi siffatti, allora, non li faceva nessuno. Del resto neanche come quello del 25 maggio scorso.
Giuliano Cazzola