Dalle tre giornate organizzate dalla Cgil al Teatro Brancaccio è giunto un messaggio forte e chiaro: la richiesta di incontrarsi (Governo, sindacato e Confindustria) non solo per discutere sulla legge di bilancio ma sul futuro del Paese. La necessità di rispondere da subito alla pandemia con politiche programmatiche di medio-lungo periodo con al centro il tema del lavoro.
Da quello che abbiamo ascoltato sembrava ci fosse una disponibilità sia del Governo (Conte) sia di Confindustria (Bonomi). Malgrado alcune precisazioni sinceramente difficili da capire come quella che il Governo deve essere “equidistante” (Bonomi). Il Governo dovrebbe essere il regista di una stagione di programmazione condivisa, non l’arbitro tra due contendenti. Fattore attivo di maggiore coesione sociale, non osservatore neutro. Che c’entra l’equidistanza? Ma lasciamo stare… Il fatto che la Cgil abbia chiesto in esplicito e ottenuto l’avvio di un confronto programmatico con il Governo va a merito dell’organizzazione e del suo Segretario Generale.
Speriamo che Conte tenga fede agli impegni presi e apra un tavolo serio di discussione con le parti sociali sull’impiego pluriennale delle risorse europee. E che non si ripeta la modalità estiva degli “Stati Generali”, una passerella troppo facilmente accettata anche dal sindacato. Ora serve essere protagonisti di un’intesa programmatica, non rilasciare una testimonianza. Se, come accaduto lunedì (16 novembre), il Governo si presenta illustrando decisioni già assunte non si imbocca la strada giusta. Anche qui abbiamo sentito una frase di significato dubbio, quando Conte, per rispondere alle critiche del sindacato, ha risposto che lui non aveva mai parlato di “concertazione”. E di cosa aveva parlato allora? Un conto è essere invitati a pranzo, altro conto l’invito a prendere un caffé dopo che il pranzo è stato già consumato. Una persona attenta alla forma, come lui, dovrebbe saperlo.
Alla parola “concertazione”, che non è termine gergale, persino il dizionario Treccani dice con precisione: “il dialogo tra il governo e le parti sociali (attraverso una serie di trattative e di incontri) ai fini del raggiungimento di un accordo”. Un accordo condiviso, non un prendere o lasciare: per nessuno. Difficile immaginare che una convergenza Governo, sindacati, Confindustria sull’impiego delle risorse europee per rilanciare il Paese possa avvenire senza un confronto aperto e senza un’intesa esplicita sul merito. Se il Governo elabora il suo “Piano nazionale di ripresa e resilienza” nel chiuso dei suoi uffici (e lo concorda con la UE prima di discuterlo con le forze sociali italiane) il confronto anche se ci sarà, sarà una finzione. Cosa teme il Presidente Conte, una interferenza politica da parte sindacale (come forse temeva Renzi) a limitare le sue prerogative istituzionali? Non ce n’è motivo, anzi: la concertazione può essere un supporto a un sistema di per sé fragile, non un ennesimo tarlo. Glielo spieghi chi ha vissuto la stagione dei primi anni 90.
Si stanno aprendo proprio in questi giorni le celebrazioni per i cento anni dalla nascita di Carlo Azeglio Ciampi che, in un momento di grave crisi politica, economica e istituzionale (tangentopoli), sperimentò rapporti di partecipazione e coinvolgimento delle parti sociali attorno alle scelte strategiche per salvare e rilanciare l’Italia. Certo, ci fu un “dare” e un “avere” reciproco: nell’accordo del luglio ’93 si cambiava il meccanismo della scala mobile, l’Italia entrò in Europa e il primo contratto dei metalmeccanici nell’epoca della concertazione (1994) con aumenti legati alla sola inflazione “programmata”, fu firmato senza un’ora di sciopero e nessuno ne menò scandalo. Né dentro né fuori dal sindacato. È più semplice programmare la ripresa economica e una maggiore tenuta sociale se ciascuno (politica, sindacati e imprese) guardano solo al loro orto? Non si andrà oltre una pioggia di provvedimenti omnibus (Cassese) e la solita “confusione” tra spesa corrente e investimenti, ammesso che l’Europa ce lo consenta. Tutte decisioni “a corto raggio” (Cottarelli).
Anche qualche pezzo del sindacato teme i vincoli che una nuova concertazione potrebbe porre ai propri comportamenti? Sbaglierebbe. Oggi si tratta di scegliere se, in una crisi sistemica come quella che stiamo vivendo, sia possibile limitarsi a difendere il lavoro che c’è (i percepiti come “garantiti”) o non sia necessario concordare politiche economiche capaci di creare nuove imprese e nuovi lavori, a partire dai giovani disoccupati (i non garantiti). Allora, almeno il sindacato la parola “concertazione” la dovrebbe usare con più decisione. Per evitare che dopo tanti annunci e tanti strilli, alla fine, come si dice dalle mie parti, “ognuno balli con sua nonna”.
Del resto, anche dal punto di vista musicale, concertare significa suonare partiture differenti, ognuno col proprio strumento, ma garantendo una coerente armonia. Cosa c’è di più bello di una concertazione condivisa e responsabile? Chi ha dubbi in proposito dia un’occhiata a questo toccante video.
Come si vedrà, per un buon concerto è indispensabile ci siano suonatori disponibili e anche un buon direttore.
Gaetano Sateriale