Salario, formazione e organizzazione del lavoro, precarietà. Sono questi i temi e le urgenze messi in risalto dalla ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio, con le categorie sindacali della Cgil, “Inchiesta sul lavoro. Condizioni e aspettative” presentata presso la sede della Cgil Roma e Lazio. Lo studio si è basato sulla raccolta di informazioni da oltre 30mila questionari rivolti ai lavoratori. Dunque una diffusione capillare, per settori e profili professionali, ma che ha comunque incontrato delle difficoltà nel raggiungere le imprese più piccole, le realtà del sud, i giovani e gli immigrati.
Per quanto riguarda la dimensione organizzativa e il rapporto tra salario e carichi di lavoro, la ricerca mette in luce come lo smart working sia una realtà per il 21% del campione. C’è poi un bisogno di implementazione dello strumento per il 18,4% dei lavoratori, mentre il 35,8% degli uomini e il 38,5% delle donne vorrebbe lavorare da casa. Il 33,2% è poco o nulla soddisfatto della conciliazione vita lavoro, percentuale che scende per chi può accedere al lavoro agile. Nel rapporto tra tempo e salario, il 23,3% dichiara che il primo è aumentato mentre per il 18% la retribuzione è addirittura scesa.
Nello studio si evidenziano anche le forti carenze in fatto di innovazione e formazione, salute e sicurezza. Per il 2021 il 38% dei lavoratori dichiara di non aver partecipato a nessuna attività formativa, e gli investimenti da parte delle imprese in tecnologia o servizi innovativi sono fermi al palo per oltre il 41% di chi ha risposto al questionario. Anche la prevenzione dei rischi per la salute e l’incolumità dei lavoratori è insufficiente per il 24%, con diversificazioni sulla base della dimensione innovativa dell’imprese stessa. Dove questa è molto alta la prevenzione è più che sufficiente per quasi la metà di chi ha risposto al questionario, per scendere al 19% nelle realtà meno propense all’innovazione.
Venendo a quelle che secondo i lavoratori devono essere le priorità della contrattazione, il salario è in testa per il 68%, tanto sul piano nazionale che aziendale. Il contratto collettivo deve poi anche difendere e aumentare l’occupazione, 44,7%, e contrastare il precariato, 42,4%. In azienda, dopo le retribuzioni, si guarda alla formazione, 29,9%, e alla stabilizzazione del personale, 27,4%. Le questioni legate all’ambiente o all’ampliamento della base democratica risultano essere di scarso interesse.
Guardando al futuro e al ruolo che il sindacato può giocare, il 68,6% ritiene che con lo sviluppo delle tecnologie si andrà verso una riduzione del perimetro occupazionale, soprattutto in settori come vendita al pubblico ma anche per chi è impiegato nelle linee di montaggio. L’impatto delle tecnologie mantiene sempre una doppia faccia che per il 58% si traduce in un miglioramento delle condizioni di lavoro, mentre per il 33% in un aggravamento dei carichi di lavoro.
Infine per i lavoratori il sindacato dovrebbe rafforzare il suo impegno nella contrattazione nazionale, 62,8%, e in quella aziendale, 46,5%. Tra i servizi una maggiore attenzione dovrebbe essere riservata all’assistenza legale e al reinserimento lavorativo, per il 45,1% e il 44,7%.
Tommaso Nutarelli