La confederazione di corso Italia non è pienamente soddisfatta del documento di economia e finanza istituito dal governo Renzi. “C’è un cambiamento significativo, spiega il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, ma non c’è la svolta che noi giudichiamo necessaria per il Paese”.
Nel corso di un’audizione sul Def di fronte alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato, il sindacalista spiega quali sono i punti condivisi dal sindacato, come il riconoscimento nel Def dei vuoti della domanda aggregata e dell’emergenza occupazionale. “Questo sembra emergere dalla scelta di spostare il pareggio di bilancio strutturale al 2016 e di stare nei vincoli di finanza pubblica posti dall’Europa anche attraverso alcune misure espansive”.
La confederazione apprezza il cambiamento nelle politiche fiscali, “a partire dai provvedimenti di sostegno al lavoro” (compresa l’estensione dell’aumento delle detrazioni Irpef per i redditi da lavoro dipendente, previsto fino a 25 mila euro, anche sotto gli 8 mila euro; ma con l’esclusione dei pensionati) “e dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie al 26%” (compreso l’aumento dell’imposizione legata alla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia riconsiderate plusvalenze).
Inoltre, il sindacalista sottolinea come la confederazione abbia colto positivamente la decisione del governo di istituire un tetto ai manager pubblici, “con parte del compenso legato agli obiettivi di crescita del Paese”.
Tutto questo perla Cgil, però, non basta. “Non costituisce la svolta necessaria ad uscire dalla crisi. Nel Def, infatti, le misure espansive sono in contraddizione con tutte le altre misure previste e, in particolare, non è presente alcun piano di investimenti, né altre linee di politica industriale per innalzare il contenuto tecnologico e di conoscenza del sistema di imprese italiane (pubbliche e private) per aumentare la capacità di generare valore aggiunto e occupazione”.
Il segretario confederale sottolinea come nel Def non ci sia “più traccia” del primo Jobs Act annunciato lo scorso gennaio, “in cui era presente una tenue evocazione del piano per il lavoro di Obama” e nessuna similitudine con programmi di creazione diretta di lavoro “di rooseveltiana memoria” in funzione dei beni comuni, dei beni sociali o dei beni ambientali.
“Anzi, spiega Barbi, il ruolo economico dello Stato sembra deliberatamente ridimensionato (minori investimenti pubblici, riduzione della spesa sociale, contenimento del lavoro pubblico) ed esplicitamente condizionato all’auspicato avanzamento del mercato, alla sola ricerca della concorrenza, alla domanda estera, all’attrazione dei capitali privati e alla fiducia della finanza internazionale”.
Infine, “nonostante gli annunci del presidente del Consiglio”, sottolinea il sindacalista, “con il Def non viene manifestata nessuna contraddizione, né tanto meno espressa una controversia, con la politica europea”.
“La Cgil, ha concluso Barbi, da tempo ritiene che la crisi debba essere affrontata con una politica economica espansiva, anticiclica, che agisca sulla domanda effettiva e, strutturalmente, sulla qualità dell’offerta produttiva. Per questola Cgil ha elaborato il Piano del lavoro”.
E.G.