Il giallo manifestino spicca con evidenza sul verde palo di un semaforo. La pioggia, o forse una mano mossa da pietà e da rabbia, lo hanno in parte strappato, alcune parole bisogna indovinarle, ma la scritta è ancora ben leggibile. “Offerta di lavoro. Cercasi ragazze per night club, striptease, lap dance”. La paga è giornaliera. Segue numero di cellulare. Verrebbe voglia di chiamare, in cerca di ulteriori informazioni.
A quanto ammonta la remunerazione? Sono molte le ragazze che telefonano? Hanno davvero più di 18 anni, come specifica l’annuncio? Di quali locali si tratta? Ma lo sconcerto prevale sulla curiosità del cronista. E poi forse è più roba da polizia, siamo ai confini della prostituzione, di certo in un campo di illegalità contrattuale, senza garanzie né tanto meno contributi. Soldi sporchi e immediati, per giovani disperate o in cerca di un facile guadagno, nell’illusione di un mordi e fuggi, senza sapere che una volta entrati in un ambiente del genere risulta difficile uscirne.
Esibire il proprio corpo invece di servire ai tavoli di un ristorante o consegnare pizze e pacchi. La gig economy è anche questo. Sembra di essere nel 1929, ai tempi della grande crisi, quelli di Steinbeck e di Furore, quando la morale e la dignità scomparivano di fronte alla necessità di sbarcare il lunario. Manca solo un’orchestrina che suona, triste e beffarda.
La differenza è che ora non c’è un New Deal. Le cose stanno così, non si possono cambiare. Ebenezer Scrooge, per stare in tema natalizio, non ha alcun pentimento. E la piccola fiammiferaia deve scegliere se accendere l’ultimo cerino o decidersi a fare la spogliarellista.
Una vignetta apparsa su The New Yorker, e riportata da Internazionale, mostra uno sconsolato Gesù seduto in un ufficio di collocamento mentre ascolta le parole del reclutatore: “In questo momento c’è zero richiesta di pace, amore e comprensione, ma grande opportunità per megalomani senz’anima decisi a diventare schifosamente ricchi grazie all’opprimente miseria dei lavoratori sfruttati, al disprezzo istituzionale per un numero sempre maggiore di minoranze nere, marroni e gialle ed eccentrici non eteronormativi, e grazie allo stupro continuo e ostinato di madre natura”.
A Diamniadio, Senegal, una trentina di chilometri ad est di Dakar, stanno costruendo ministeri, l’ufficio regionale delle Nazioni Unite, un centro conferenze, edifici residenziali. Grande è la richiesta di manodopera e qui affluiscono centinaia di operai da tutta l’Africa Occidentale. Vivono per lo più in piccoli accampamenti precari, venti persone per stanza, sgobbano dalle 7,30 fino alle 20, 30, guadagnano meno di quattro dollari al giorno. È questo il prezzo della fatica.
Lo ha denunciato l’Osservatore Romano, riportando una notizia dell’agenzia Afp, per lo più passata sotto silenzio. Erano i giorni dei mondiali di calcio, con un’opinione pubblica divisa in modo schizofrenico tra l’esaltazione delle prodezze di Messi e l’indignazione per i corrotti al Parlamento europeo. Goal e mazzette. Tutto si tiene. E gli scandali che stanno sommergendo la sinistra, dal caso Soumahoro al Qatargate, sembrano fatti apposta per screditare l’accoglienza dei migranti, il ruolo delle Ong, la difesa dei diritti. Manna per la destra xenofoba, sovranista, tribale.
Nel giugno 1962, il numero due di Quaderni Rossi, la rivista diretta da Raniero Panzieri (con la “i”, nessun riferimento all’ eurodeputato inquisito), venne tutto dedicato al rapporto tra la fabbrica e la società. Le tesi esposte, un operaismo dal sapore quasi mistico e profezie di una palingenetica rivoluzione proletaria, erano opinabili già allora e con il senno di poi appaiono fuorvianti e persino perniciose. Ma almeno, in quelle pagine e in tante altre pubblicazioni sindacali e di partito, si parlava del sistema capitalistico di produzione, distribuzione e consumo.
“Una tensione conoscitiva”, la definiva Alberto Asor Rosa. E che ha ispirato dirigenti come Pierre Carniti e Bruno Trentin. Ora plusvalore, alienazione, partecipazione, antagonismo, formazione dei salari e dei prezzi, mobilità, conflitto, lotta di classe, sono aporie pietrificate. Il concetto stesso di lavoro non ha più alcun fondamento teorico, se non nelle encicliche papali. E il circuito democratico si è inceppato. In un mondo, per dirla con Carlo Marx, “stregato e capovolto”.
Cercasi spogliarelliste.
Marco Cianca