Roberto Polillo ha colto l’occasione del mio articolo per illustrare il suo autorevole pensiero sui problemi della sanità in Italia andando ben oltre gli argomenti che io avevo affrontato, senza tuttavia replicare ad essi. Tengo a precisare che non ho proposto di inserire un strumento assicurativo nell’ambito della tutela della salute, per il semplice fatto che non sono abituato ad inventare l’acqua calda. Infatti, uno strumento assicurativo esiste già – con buona pace mia e di Polillo – se è vero che sono milioni i lavoratori e i cittadini che se ne avvalgono (se non ricordo male gli iscritti ai fondi sanitari sono più numerosi, almeno in alcune realtà, di quelli aderenti ai fondi pensione).
Inoltre, le iniziative di welfare aziendale si rivolgono prevalentemente a garantire ai lavoratori e alle loro famiglie prestazioni sanitarie non sempre integrative. Ed è proprio in tale contesto che, nel mio articolo, ho sollevato taluni dubbi sul fervore che viene inaspettatamente rivolto al welfare aziendale, dal momento che essere liberisti (e quindi anche un po’ taccagni con i soldi pubblici) non significa rifiutarsi di vedere i problemi e le contraddizioni (come di solito fanno gli idolatri del SSN).
Io deploro che non sia stata predisposta, ancora, una regolamentazione della previdenza sanitaria integrativa, dopo ben 25 anni che ne esiste una per quella pensionistica. Tengo poi a sottolineare che in una situazione siffatta i cittadini e i lavoratori (oppure i datori) finiscono per pagare due volte (attraverso il fisco e la contribuzione privata) i medesimi servizi e le stesse prestazioni. Questa constatazione mi induce a ritenere necessaria una divisione dei ruoli e delle funzioni tra il sistema pubblico e l’autonomia privata, stabilendo quale protezione deve essere garantita (e a chi e a quali condizioni) dal SSN e quanto può essere affidato – in modo sostitutivo – all’iniziativa privata collettiva ed individuale.
Oggi si sprecano risorse per effetto di una spesa sostanzialmente ripetitiva. Procedere ad una razionalizzazione (io la chiamo una actio finium regundorum ovvero un’azione per regolare i confini) migliorerebbe il servizio, diminuendone i costi (ecco che compare il liberista).
Credo poi che ci siano modalità di finanziamento che possono consentire l’accesso alla sanità privata da parte di tutti i cittadini, senza farne necessariamente un’opzione elitaria. Io non mi sono pentito, infatti, di aver sostenuto la prima versione del dlgs n.502 del 1992, incluso quell’articolo 9 che venne trattato come il virus del colera perchè prevedeva la possibilità di sperimentare, nell’ambito del sistema sanitario, forme associate di utenti, confluenti in una mutua o in qualsivoglia analoga esperienza collettiva. A questo nuovo soggetto, organizzato e consorziato, sarebbe stata stornata una quota delle risorse (o anche l’intera quota, qualora si intendesse attuare un’operazione a più vasto raggio) che il Fondo sanitario nazionale riservava ad ogni cittadino a titolo di quota capitaria, come quantificazione economica del diritto di fruire dell’assistenza sanitaria.Ricordo a Polillo che la rinuncia alla copertura pubblica, quindi, avrebbe potuto riguardare soltanto le prestazioni corrispondenti alla parte di quota capitaria stornata per finanziare il fondo privato e da esso erogate agli aderenti.
Giuliano Cazzola