La Grande Crisi apre nuovi scenari per le imprese italiane e per il loro management. Per le imprese, si può ritenere, con una sintesi inevitabilmente ruvida, che esse, in tanto avranno successo, in quanto:
- a) si radichino nei settori tradizionali (dall’auto all’eldom, dall’abbigliamento all’arredamento, dall’agroalimentare alla gioielleria), ove si sono costituite geneticamente ineguagliate competenze distintive;
- b) in quei medesimi settori, si riposizionino nei segmenti più elevati dei mercati internazionali, assecondando la traiettoria del c.d. “lusso contemporaneo” (ove cioé l’esclusività non è generata dal prezzo, ma dalla storia aziendale incorporata nel prodotto) e giungendo a più alti livelli di riconoscibilità e remunerabilità attraverso una maggior condensazione dei tassi di innovazione, qualità e creatività;
- c) investano sulla centralità del prodotto, e non già del processo, e dunque sulla centralità dei sistemi integrati di intelligenza, esperienza e competenza rappresentati dalle risorse umane;
- d) si costituiscano, come orizzonte di riconosciuti valori fondativi e di praticate condotte organizzative, in imprese-comunità a trazione identitaria e a vocazione meta-contrattuale;
- e) si configurino, dopo la caduta delle ideologie della globalizzazione e dei loro modelli di low-cost society, intorno a una dimensione dove l’agilità sia preferita alla grossezza e intorno a una proprietà la cui natura familiare diventi vettore e garante di una prospettiva temporale e strategica meno sincopata e stressata.
Da ciò discende che si andrà manifestando e consolidando un ceto manageriale dalle connotazioni culturali e professionali assai diverse dal passato. Le caratteristiche del “nuovo management nazionale” possono essere individuate così:
- 1. in termini di stile di direzione, sarà prevalente la vocazione “partecipativa” sul piano delle relazioni interne ed esterne, e cioè la capacità di coinvolgere e mobilitare nell’innovazione progettuale la proprietà e i collaboratori, le rappresentanze delle categorie e dei territori, le reti degli interessi e delle identità sociali, in una tensione costante all’alleanza come motore di efficienza competitiva e alla coesione come booster delle prestazioni economiche; così come sarà prevalente sul piano etico ed estetico dei comportamenti privati e pubblici la scelta dell’ “esemplarità”, ispirata a severità, sobrietà, intensità, autenticità, e cioè l’affermazione insieme della virtù come paradigma e della condivisione come prassi (in altre circostanze, avevo parlato dell’abbandono del “tipo normativo d’autore” del pretoriano e del gladiatore, a favore di quello del centurione);
- 2. in termini di competenze, torneranno cruciali i saperi “generalisti” rispetto a quelli “specialistici”: sarà infatti la robustezza dei fondamenti metodologici (o, in altri termini, la compiutezza dell’orizzonte antropologico), in un’epoca ad altissima turbolenza e segnata dal “salto di paradigma”, a prevalere sull’erraticità e la “brevità” delle consapevolezze tecniche di periodo; e, per esempio, robusti ancoraggi identitari, come tali capaci di generare forti aperture all’ “altro”, risulteranno preferibili a esangui meticciati transnazionali;
- 3. in termini di talenti, saranno decisivi quelli fondati sulla capacità di trasformare la responsabilità in audacia, sulla capacità di convertire il senso corale e comunitario dell’appartenenza in ponti culturali verso i nuovi mercati del mondo, aprendo così le nuove “vie della seta”, e sulla capacità di liberare energie creative attraverso i sentieri dell’energia morale e del patto sociale, ricostituendo così l’originaria “politicità” dell’organismo-impresa.
Sul piano della rappresentanza sindacale, va proseguita con rinnovata determinazione la via che ha condotto il c.c.n.l. dei dirigenti a prefigurare per molti versi la recente riforma degli assetti contrattuali, costituendosi come “contratto dei minimi” e operando per affermarsi nel ricco territorio ulteriore al sinallagma classico prestazione-mercede. In particolare, credo che altre accelerazioni e sperimentazioni siano implementabili sul versante della previdenza complementare, dell’assistenza sanitaria integrativa, della formazione e della riallocazione professionale, nonché dell’arbitrato (assecondando le formidabili opportunità offerte in questa direzione dal Collegato Lavoro in corso di approvazione parlamentare): non a caso, attraverso la bilateralità, si profila un modello di relazioni industriali “neo-corporativo” (nel senso migliore del termine, naturalmente!). In questa direzione, un’attenzione nitida va rivolta alla rivitalizzazione delle dimensioni contrattuali aziendale e territoriale, in cui si trovano giacimenti inesplorati di sviluppo, utili a superare definitivamente l’idea di un modello di rappresentanza incentrato su un profili “fordista” di manager.
Ma due compiti speciali ritengo debbano essere assolti dalla nouvelle vague meta-contrattuale:
- a) la diffusione, nel vasto sistema delle società a controllo pubblico diretto e indiretto (penso soprattutto alle utility e alle reti dell’energia e dei servizi), del modello duale di governance , articolato in un Consiglio di Sorveglianza, ove la politica orienti le strategie e controlli i risultati, e in un Consiglio di Gestione, tempio inviolabile dell’autonomia professionale del management;
- b) attraverso il ricorso massivo a programmi di stock option, in una prospettiva in cui essi non siano più un mero strumento di politica retributiva, la sperimentazione vieppiù diffusa e ampia nelle aziende private di media dimensione della partecipazione del management alla proprietà azionaria, così creando un nuovo genere di imprenditoria mista, managerial-familiare.
Maurizio Castro