E’ stato subito definito di portata storica, l’accordo raggiunto in materia di rappresentanza sindacale. Per quanto possa sembrare enfatica, questa valutazione deve essere condivisa. Ne ha parlato anche il capo dello stato cogliendo con acume la portata non contingente e non episodica di questo evento.
Il nodo dell’accertamento della rappresentanza effettiva dei sindacati data ormai dalla stesura della costituzione, e dalla presenza di una formulazione – quella dell’art.39 – che al di là delle migliori intenzioni dei costituenti, invece di facilitare, ha reso più complicato trovare una soluzione pratica accettabile e realizzabile. Inoltre la scissione del 1948 ha spinto per una lunga fase i sindacati a coltivare la reciproca diffidenza : tradizionalmente spingeva per una regolazione la Cgil, che pensava di avere da guadagnare il riconoscimento dello status di primo sindacato e simmetricamente erano portate a frenare, per ragioni speculari, le altre due maggiori confederazioni .
Detto della rilevanza di lungo periodo di una intesa su questa materia le questioni da affrontare diventano di due tipi.
La prima riguarda i contenuti più significativi, con lo scopo di saggiare se essi siano da considerare come una sistemazione non solo condivisibile, almeno nel suo impianto di massima, e dotata di attendibile stabilità, ma anche concretamente realizzabile.
La seconda consiste nel tentare di dare una risposta all’interrogativo : perché proprio ora ? come mai questo precipitato, atteso a lungo, si è materializzato in questa fase , caratterizzata da una turbolenza e da incertezze, tanto sotto il profilo politico che nella sfera economica , ancora più accentuate che in passato?
Venendo al primo aspetto l’intesa dà seguito, fissando con chiarezza le regole di fondo e soprattutto gli aspetti attuativi, all’accordo interconfederale del giugno 2011 che aveva già impostato in positivo lo scioglimento di alcuni dei principali nodi. I lineamenti ispiratori , a lungo discussi anche sulla scorta dell’esperienza del pubblico impiego, non appaiono sorprendenti e sono già in buona misura acquisiti nei codici degli attori .
Su questa base la misurazione della rappresentatività avviene attraverso la doppia gamba degli iscritti e dei voti. La soglia d’accesso alla contrattazione viene confermata nella misura del 5%. Mentre quella per la validità dei contratti viene ancorata ad un principio chiaramente , ma non esageratamente, maggioritario : al 50% più 1. Sono criteri già adottati con successo – come accennato – nel settore pubblico. Ma sono anche presenti alcune novità che arricchiscono il quadro, accanto ai non trascurabili aspetti che garantiscono la buona implementazione dell’intesa: la rilevazione delle deleghe che si basa sul supporto dell’Inps, e la certificazione dei dati (che dà luogo allo score della rappresentatività), che viene invece demandata al Cnel (ma sarà questo prezioso, ma trascurato organo istituzionale, in grado di svolgere pienamente questo compito?). La più importante tra queste novità è sintetizzabile nell’approvazione degli accordi – sia per quanto riguarda la preparazione delle piattaforme che la validazione delle intese – da parte dei lavoratori mediante ‘voto certificato’, le cui procedure verranno definite dalle singole categorie contrattuali. Non era scontato il rafforzamento di clausole di democrazia partecipativa (che coinvolgono l’insieme dei lavoratori, anche non iscritti), perché le resistenze manifestate a questo riguardo sono state molte in passato. Ma la soluzione scelta sembra muoversi in direzione – non scontata – dell’istituzionalizzazione della verifica del consenso tra tutti gli interessati. Non necessariamente attraverso referendum, come lascia intendere la formula più ampia che viene adottata, ma in modo cogente – e vincolante per tutti – ai fini della sottoscrizione degli accordi.
Inoltre si configura uno scambio importante tra accettazione degli accordi a maggioranza (certificata) e superamento delle discriminazioni verso i sindacati dissidenti. In altri termini l’accettazione delle regole del gioco si traduce in rinuncia da parte dei sindacati firmatari (questa intesa) a ‘contrastare’ i contratti che vengano regolarmente sottoscritti, nel rispetto del criterio maggioritario, anche solo da una parte dei soggetti interessati. Nel contempo questo consente di estendere a tutti i sindacati rappresentativi il riconoscimento della cittadinanza nei luoghi di lavoro: che è collegata semplicemente all’accertamento della presenza dei requisiti di rappresentatività ( e dunque diversamente da quanto accaduto in Fiat nei riguardi della Fiom). Non è chiaro però se le parti firmatarie saranno in grado di evitare le eccezioni o le patologie rispetto a questo percorso, come quelle messe in campo dalla Fiat contro la Fiom. In questo caso la situazione resta ancora non del tutto sciolta o indeterminata, sia perché l’azienda torinese è uscita da Confindustria, e quindi non è tenuta ad applicare le intese sottoscritte da questa, sia perché rimane in piedi l’unica infelice norma di legge al riguardo : l’art.19 dello Statuto, che consente di aggirare la verifica della rappresentatività e quindi getta le basi per escludere dall’esercizio dei diritti sindacali le organizzazioni che non hanno firmato i contratti.
Importante è anche la validità generale per così dire de facto, che viene attribuita ai contratti firmati in base a queste regole. Le parti hanno preferito non sfidare le strettoie tradizionalmente sul tappeto, condensate dalla formulazione dell’art.39 cost. e dalle sue interpretazioni più letterali, spingendosi fino ad immaginare la validità erga omnes stabilita per legge ( esito che avrebbe comunque bisogno della presenza della terza parte pubblica e del sostegno legislativo). Ma hanno preso in compenso un importante impegno politico a rispettare i contratti validati con questa procedura, promettendo di garantirne in via di prassi l‘applicazione generalizzata .
In altri termini ci troviamo di fronte alla fuoriuscita definitiva dal sistema costruito in passato e fondato – come era di fatto nello statuto dei lavoratori – sul presupposto dell’unità sindacale e di processi negoziali condotti consensualmente.
Dopo una lunga fase di fibrillazioni, di tensioni, e di divisioni tra le confederazioni, culminata in diversi episodi nell’ultimo decennio, le decisioni prese attestano che è stata voltata la pagina. Ed è stata configurata una tavola di regole nuove , concretamente utilizzabili, non solo chiaramente stabilite, ma anche perfettamente in sincronia con uno scenario di relazioni industriali segnato dalla presenza plurale – e qualche volta apertamente ‘disunita’- delle organizzazioni sindacali.
I sindacati e con loro gli imprenditori ci dicono che hanno deciso che le loro (eventuali e non auspicabili) divisioni non debbono pesare sulla certezza contrattuale , con lo scopo evidente di non danneggiare l’efficacia e la credibilità dell’intero sistema.
Quindi le regole sono pensate per decidere in modo democratico (più che in passato), e per (eventualmente) dividersi senza traumi e senza ricadute negative sulle imprese e sul lavoro.
In questo senso il principio maggioritario subentra alla prassi unanimistica del passato. Al di là dei nostri desideri – la coesione dei sindacati sembra sempre l’opzione preferibile – si tratta di una scelta realistica. Attraverso la quale si fissa un criterio dirimente, che non obbliga all’unità coatta, ma che consente di misurare gli orientamenti collettivi.
L’impegno ad accettare senza contestarli gli accordi, che ( sempre non auspicabilmente) vengano raggiunti in modo separato, integra il principio maggioritario, assicurandone la tenuta di fronte all’insieme dei soggetti interessati, a partire in primo luogo dai lavoratori coinvolti.
Dunque una combinazione ben riuscita di democrazia ed efficienza , come ha ben rilevato Lorenzo Zoppoli. Ora bisognerà seguire con attenzione la sua messa in opera senza sottovalutare le difficoltà pratiche e garantendone l’esito positivo. Non bisogna dimenticare che la raccolta e la certificazione dei dati consiste in un processo tutt’altro che automatico, il quale richiede una cura costante anche nel settore pubblico dove pure esistono significativi vantaggi amministrativi.
Ma veniamo a questo punto all’interrogativo generale, provando a dare qualche chiave di lettura : perché ora?
Dobbiamo considerare questo testo come un compromesso di livello avanzato. Su questa materia per procedere sono inevitabilmente necessarie delle mediazioni (con buona pace delle rozze polemiche politiche che condanno qualunque tipo di mediazione). Ma le mediazioni possono essere mediocri o buone. In questo caso dobbiamo ritenere che la mediazione raggiunta sia stata di alto profilo, perché ha configurato una sintesi felice tra le due anime del nostro sindacalismo – quella generalista e quella associativa – tale da assumerle e valorizzarle pienamente entrambe. Infatti, diversamente da quanto accade generalmente nelle altre esperienze sindacali, troviamo qui contemporaneamente il ricorso al metro degli iscritti ( messo sullo stesso piano di quello elettorale), e l’ambizione di potersi rivolgere nei processi decisionali importanti all’insieme dei lavoratori chiamati in causa. In questo modo non è disincentivata l’adesione come strumento per contare, ma le organizzazioni sono spinte a immergersi nel mare aperto di tutti i lavoratori, inclusi i non iscritti.
Come è stato possibile un esito di questo genere, non di mera routine?
Credo che sulla scelta , sostanzialmente innovativa, degli attori abbia pesato l’incertezza politica e la gravità occupazionale della crisi inducendoli a privilegiare le ragioni di una cooperazione equilibrata, che aiutasse a mettere tra parentesi inutili contenziosi.
Ma anche una cooperazione improntata più nettamente che in passato alla legittimazione democratica delle scelte operate dalle organizzazioni sociali. Si tratta dunque di una risposta non timida e nella direzione corretta a quei fenomeni di contestazione della legittimità dei soggetti di rappresentanza (in sintesi il grillismo), che finora aveva investito la sfera politica, ma che avrebbe potuto non risparmiare alla lunga la sfera sociale e i gruppi intermedi. Questa minaccia ha dato una scossa alle parti, che troppo a lungo avevano dilazionato una intesa importante, inducendole a rafforzare le certezze del sistema di relazioni industriali ma anche a consolidarne la basi democratiche.
Possiamo ritenere che i meriti vadano equamente condivisi. Le imprese sono state capaci di superare resistenze e perplessità pur di non poco conto: e si tratta di un merito importante . E certo si può ipotizzare che abbia pesato accanto alla tradizionale enfatizzazione che viene dalla Cgil delle variabili di democrazia sindacale, anche una inedita disponibilità di Cisl e Uil. Bene ha fatto la Cgil a mantenere la barra di una visione allargata della democrazia sindacale . Ma va anche detto che, in particolare, dopo le sue recenti innovazioni nell’organizzazione interna la Cisl appare intenzionata a dare una interpretazione di movimento della sua tradizionale visione associativa, e a muoversi senza reticenze nella ricerca di consenso in tutti gli strati dell’ universo lavorativo (e dunque non finalizzati alla sola iscrizione). Se fosse così da questa rafforzata competizione democratica potrebbero trarre vantaggio tutte e tre le confederazioni.
Resta ancora aperto il nodo di una traslazione legislativa . Lasciamo sullo sfondo il tema di una revisione dell’art.39 cost. che qualcuno (Alleva) richiama ancora come un fantasma che si aggira : qui le parti hanno optato, a torto o ragione, per aggirarlo e per così dire sterilizzarlo.
Invece lo scoglio più significativo risiede, come ricordato, nella formulazione attuale dell’art.19, che è ancora lì e produce effetti perversi. In realtà appare utile convenire che tale vulnus possa essere risolto solo attraverso il suo completo superamento mediante una diversa previsione che colleghi nitidamente la rappresentatività alla verifica del peso dei sindacati. Dobbiamo dire che senza questo passaggio non sarà ancora possibile pervenire alla effettiva generalizzazione dei comportamenti virtuosi. E non vi sarà dunque garanzia della applicazione universale dei principi contenuti in questo accordo, ivi inclusa una clausola fondamentale: come il diritto democratico di ogni lavoratore di potersi scegliere dei rappresentanti sindacali.
Mimmo Carrieri