Prima Pierre Carniti, poi Giacinto Militello. Una persona della mia età (ho appena qualche anno in meno di loro) non deve stupirsi se, giorno dopo giorno, un amico, un collega, un compagno (ovviamente queste parole si declinano anche al femminile) termina la sua esistenza (per chi ha fede, terrena). Ma nel caso di Pierre e di Giacinto è giusto attenersi ad un verso di John Donne: ‘’la campana suona anche per te’’.
A parte i famigliari credo di essere rimasto uno dei pochi sopravvissuti che hanno avuto l’onore e il privilegio di conoscere Carniti e Militello, di lavorare con loro, di godere della loro considerazione e, perché no? anche della loro amicizia. Per una distrazione del Destino mi sono trovato – non ancora trentenne – a far parte della segreteria nazionale della Fiom durante l’autunno caldo e di essere tra i fondatori della Flm. Credo che siano stati gli anni migliori della mia vita, quelli più vissuti intensamente al fuoco di grandi ideali ed ancora maggiori speranze. Pierre Carniti era uno dei tre leader – insieme con Bruno Trentin e Giorgio Benvenuto, di quella magnifica stagione quando la classe operaia era convinta di poter scalare il Paradiso.
Se uno è convinto di quello che fa, il mestiere del sindacalista è uno dei più belli. Ma perché sia così è indispensabile un presupposto: sapere fino a che punto puoi condurre e risolvere una vertenza col consenso dei lavoratori: un consenso che si basa su di un rapporto di fiducia, acquisito e difeso anche attraverso un confronto dialettico, senza cadere mai alla tentazione di rovesciare sui lavoratori rappresentati quella delega che per il sindacalista è un compito ed un dovere istituzionale. Pierre era un profeta dell’unità sindacale, ma la sorte volle che l’ultimo suo atto ai vertici della Cisl fosse un’azione di rottura o quanto meno una giusta risposta a scelte sbagliate della maggioranza della Cgil. Nella vicenda della scala mobile (nel 1984 sul decreto di S.Valentino e nel 1985 sul referendum abrogativo) Pierre Carniti guidò la sua organizzazione in una difficile battaglia e vinse, rompendo l’incantesimo secondo il quale nulla poteva essere fatto in tema di lavoro senza il consenso del Pci.
Ma quel No giusto che seppe dire gli spezzò qualche cosa dentro che non si è mai più ricomposto, tanto che nella lettera dell’ottobre scorso (il suo testamento politico) Carniti rimproverava con durezza i dirigenti di oggi per aver accantonato il progetto di riunificazione sindacale, proprio nel momento in cui erano venuti meno quei limiti e quei condizionamenti che si erano frapposti all’impegno profuso dalla sua generazione. Persona di saldi principi, Carniti se ne andò più volte sbattendo la porta. Lo fece quando, nominato presidente della Rai da Bettino Craxi (il suo alleato nella battaglia sulla scala mobile) si rifiutò di accettare la lottizzazione del consiglio di amministrazione (in sostanza non somigliava a quel Giuseppe Conte a cui hanno messo in mano un programma ed una lista dei ministri e lo hanno mandato in giro per il mondo a rappresentare l’Italia).
Lasciò un incarico all’Iri quando si accorse che si trattava di una ‘’sine cura’’. Lo stesso comportamento tenne, molti anni dopo essere stato parlamentare europeo e fondatore di un piccolo partito, quando lo nominarono presidente di una commissione sullo studio della povertà dei cui risultati non si interessava nessuno. Ben diverso fu invece l’impegno con cui diresse per anni la Commissione per la lotta alla povertà (di cui faceva parte anche il sottoscritto) realizzando ante litteram la sperimentazione di un reddito di inclusione. Anche con Giacinto Militello ho avuto una lunga frequentazione, soprattutto quando era Presidente dell’Inps ed io ero il segretario confederale responsabile delle politiche sociali. In quel ruolo, alla guida del più importante ente previdenziale, Giacinto diede il meglio di sé stesso, acquisì il profilo e lo stile di un ‘’servitore dello Stato’’ e soprattutto seppe sventare le campagne orchestrate per mettere in cattiva luce l’Istituto della previdenza pubblica.
A Militello (erano membri, per la Cgil, nel suo consiglio di amministrazione due valorosi compagni anch’essi deceduti come Carlo Bellina e Cesare Calvelli) va riconosciuto il successo, nel 1989, della battaglia per la separazione dell’assistenza dalla previdenza, che mise su di un binario di correttezza contabile il bilancio dell’Inps. Poi, dopo una breve esperienza all’Unipol, Giacinto svolse il ruolo di Commissario nel neonato Antitrust, dove ebbe occasione di collaborare con una grande personalità come Giuliano Amato. Che cosa dire di più di Carniti e Militello? Potrei riempire pagine e pagine per raccontare di ciascuno di loro (come ho fatto nell’ e-book ‘’Storie di sindacalisti’’). Negli ultimi anni c’eravamo persi di vista.
Penso che loro non avessero perdonato talune scelte da me compiute in buona fede, delle quali non ha nulla da rimproverarmi. Ma come dice la canzone: ‘’Se il destino ci separa, il ricordo di quei giorni sempre uniti ci terrà’’. Ecco perché non vi dico addio, cari compagni. Solo chi vive nel nulla, muore nell’oblio. Ammetto che provo per voi un po’ di invidia. Mi auguro di raggiungervi presto, perché nei Campi Elisi dell’Aldilà ci sarà pure da qualche parte un club di ex sindacalisti (dove magari potrò accedere dopo qualche secolo di Purgatorio). Immagino che abbiate deciso di abbracciare il Grande Sonno per non vedere e vivere in questa Italia che non è più la nostra; quando gran parte della classe lavoratrice, a cui avete dedicato l’esistenza, è passata nel campo del nemico. Hegel diceva che tutto ciò che è reale è anche razionale. Sarà vero. Ma chi conosciuto la sollevazione popolare contro il governo Tambroni non può accettare che al Viminale sieda un sodale di Marine Le Pen.
Giuliano Cazzola