Ci sono storie che non finiscono mai, una di queste è la storia delle famiglie Gardini- Ferruzzi: imprenditori originari della provincia di Ravenna, cresciuti nel dopoguerra, proiettati su scala mondiale negli anni Ottanta, decaduti dopo una serie di pazzesche vicende finanziarie e giudiziarie negli anni Novanta. Molto si è scritto e molto si è detto, in questi trent’anni. Perfino una serie tv (decisamente non riuscita) a narrare, ancora, la storia di Raul Gardini, personaggio centrale del tutto. Oggi arriva però un’altra voce narrante, ed è quella di Carlo Sama, cognato di Gardini e per un certo periodo suo braccio destro e successivamente, in qualche modo, trasformatosi nel deuteragonista della storia. Sama, oggi settantaseienne, all’epoca dei fatti giovane manager in ascesa, ha appena pubblicato per Rizzoli la “La caduta di un impero’’, ovvero la sua personale versione dei fatti.
Introdotta da una prefazione di Alessandra Ferruzzi, moglie di Sama e figlia di Serafino, il patron e creatore delle fortune di famiglia, la ‘’versione di Carlo’’ è una lettura appassionante. In duecento pagine scarse un racconto in presa diretta, lineare, assai ben scritto, di quei fatti lontani. Tutti: dagli entusiasmi iniziali all’eccesso di grandeur che causò i primi scricchiolii dell’impero, dalle scommesse fin troppo azzardate, come quella sulla chimica, alle speranze tradite, dalle trappole tese dalle banche a quelle della magistratura e della politica, fino ai tradimenti delle stesse banche, ma anche dei manager, degli amici, dei famigliari. Una vera e propria saga, quella dei Ferruzzi, una sorta di Succession all’italiana, piena di colpi di scena dove affetti e legami di sangue si mescolano ad affari, finanza, politica, e perfino, sullo sfondo, con l’ombra inquietante della mafia, a proposito di una società del gruppo che, scrive Sama, “probabilmente aveva accumulato anche tanti scheletri nell’armadio”.
Il libro ce la ri-racconta, questa storia, tutta quanta, minuto per minuto, dal un osservatorio privilegiato. Dal primo incontro con Raul Gardini, a un funerale, un colpo di fulmine reciproco: ‘’gli ero piaciuto a pelle’’, scrive Sama, all’epoca giovane geometra di professione arredatore d’interni. Gardini stava ristrutturando il palazzo di famiglia a Ravenna, decide di affidare i lavori alle cure del nuovo amico. Fa di più: lo introduce nei circoli più riservati ed esclusivi, gli insegna il gioco d’azzardo, se lo porta in barca, a caccia, in famiglia, ovunque. Gli affida incarichi sempre più importanti: arredare tutte le sedi estere del gruppo Ferruzzi, ridisegnarne il marchio, eccetera. Da li alla comunicazione del gruppo il passo è breve, mentre è decisamente meno breve, e abbastanza, tutto sommato, inspiegabile, come Sama a un certo punto diventi una delle menti finanziarie e strategiche del gruppo, che peraltro era già abbondantemente avviato sulla china che lo avrebbe portato poi all’esito nefasto che conosciamo. Ma Gardini era così. Si innamorava di una idea o di una persona e andava avanti come un treno. Spesso con colpi di vero genio, altrettanto spesso toppando clamorosamente. E i suoi gli andavano dietro, sempre entusiasti, colti da una sorta di incantamento che, per la verità, aveva contagiato in quegli anni un po’ tutti: “Se Raul ce lo avesse chiesto, in quella magica seconda metà degli anni Ottanta, saremmo probabilmente riusciti perfino a mandarlo su Marte con una astronave’’. Molto ma molto prima di Elon Musk, e pure meglio.
Tuttavia, non è questo che rende interessante il libro di Sama. Come detto, è ovviamente la ‘’sua’’ versione dei fatti, ma proprio per questo ne emergono curiosi dettagli di ‘’ritratto di famiglia in un interno”: per esempio, il ruolo dominante di Idina Ferruzzi nelle scelte del marito, pur essendo il loro, da un certo punto in poi, un ‘’matrimonio aperto’’, dove ciascuno dei coniugi viveva dove e come preferiva, Idina a Ravenna, Raul a Venezia, o in giro per il mondo. Dettagli, interessanti, ma dettagli. La parte centrale del libro, la più importante, è invece quella che si concentra sul declino, o meglio sulla catastrofe, che ha portato alla distruzione di uno dei più grandi imperi industriali, nonché patrimoni aziendali e personali, del Novecento italiano.
A differenza della moglie Alessandra, Carlo Sama non scarica tutte le colpe su Raul. O meglio: ne sottolinea le responsabilità, critica la smania di grandeur che da un certo momento in poi lo portò a fare scelte sbagliatissime, a partire dall’idea folle di accantonare l’agricoltura per la chimica, gettandosi a capofitto nell’avventura Montedison, e poi nell’ Enimont, ignorando tutti gli alert lanciati anche da Sama stesso, fino a rompere con la famiglia: “Con la scalata di Montedison avevamo sfiorato la Beresina, Enimont fu la nostra Waterloo”. E non manca l’accusa di aver distratto gran parte del patrimonio del fondatore Serafino, sparito in spese folli. Ma non è a Gardini che Sama attribuisce le vere colpe, anzi, ne parla con comprensione e affetto: ‘’era un pokerista nato, un personaggio dostoevskiano, uno di quei giocatori che invece di alzarsi dopo aver vinto rilanciano sempre, come in una ossessione, fino a perdere tutto. Così, si smarrì di nuovo dentro i corridoi di Foro Bonaparte’’.
Sama non getta tutte le colpe nemmeno sui giudici di Mani Pulite, che pure un ruolo fondamentale ebbero nella vicenda, arrestando lui e il management, processandoli, per poi assolvere tutti, nel 2001. Per Sama le vere responsabili, in questa storiaccia nera, sono state le banche, o meglio, una banca: la Mediobanca di Enrico Cuccia. Il racconto di come si arrivò al fallimento (ottenuto anche con il congelamento di tutti i conti correnti, personali e aziendali, dei patrimoni, di ogni singola proprietà di ogni membro, originario o acquisito, della famiglia Ferruzzi, in poche parole lasciandoli al verde) è dettagliatissimo di date, nomi, luoghi, verbali, riunioni disdette all’improvviso, lettere di intenti mai giunte a destinazione, proposte di accordo smentite un minuto dopo, fino all’inevitabile. Ovvero la scarnificazione di un impero industriale, il falò del suo valore di borsa, la sottrazione di ogni proprietà, il fallimento. Ed è davvero molto appassionante, costruito e scandito col ritmo di una sceneggiatura.
Ne emerge un clima di congiura contro il gruppo ravennate (che era indebitato, si, ma non più di quanto, in quel periodo, fossero Fiat, Fininvest, Olivetti), ne emerge la fredda determinazione di Enrico Cuccia, la slealtà di Maranghi e di altri banchieri, ne emerge una guerra tra due colossi, Mediobanca, appunto, contro Goldman Sachs, pronta a sostenere finanziariamente la ricostruzione del gruppo ravennate, che Mediobanca intendeva invece annientare. ‘’Noi – chiosa Sama- siamo stati la Lehman Brothers di Mani Pulite’’, e cioè l’unico gruppo fallito ufficialmente, per nascondere una moltitudine di aziende altrettanto fallimentari “salvate a colpi di debito pubblico, a spese dei contribuenti’’. Ma ne emerge, soprattutto, la sbalorditiva ingenuità di fin troppi protagonisti, ovvero di Sama, dei fratelli Ferruzzi, e perfino di Gardini, assai più vittima che carnefice: tutti decisamente “unfit” rispetto a un mondo dove chi non possiede zanne abbastanza feroci è destinato a un unico ruolo, quello di anello debole della catena alimentare. E i Gardini- Ferruzzi, coi loro miliardi, la loro voglia di emergere e l’ingenuità tutta provinciale, questo sono stati: un ricco e lauto pasto per qualcun altro.
Sama afferma di essere oggi pacificato, di vivere con riconoscenza la fortuna di avere una famiglia coesa, sua moglie, i figli, i nipotini; ma non può evidentemente smettere di pensare a ‘’cosa poteva essere e non è stato’’, se le banche quel 1 giugno del 1993 non avessero bloccato i conti e si fossero lasciate convincere ad appoggiare il piano di ristrutturazione con Goldman Sachs. Una volta cedute le partecipazioni non strategiche, spiega, e cioè chimica, assicurazioni, eccetera, “si sarebbe puntato di Eridania Beghin Say come cuore del nuovo gruppo, partecipando alla gara per acquisire dallo Stato italiano anche la Sme, diventando il maggior gruppo agroalimentare d’Europa, e in parallelo fondere la Serafino Ferruzzi srl con la Edison, partecipando alla privatizzazione dell’Enel’’.
“Certo, è un sogno – conclude – ma non sarebbe stato irrealizzabile’’. No, non sarebbe stato irrealizzabile, e certo avrebbe reso l’industria italiana diversa, forse migliore. Ma è il senno di poi, e quello non si quota in Borsa, purtroppo.
Nunzia Penelope
Editore Rizzoli
Anno 2024
ISBN 97888318168977
Pagine 200
18 euro