Nella manifestazione che ha avuto luogo il 13 novembre nella sede romana della Cgil per ricordare tutti assieme Aris Accornero, il grande studioso, il dirigente della confederazione Carlo Ghezzi ha ricordato il periodo in cui Accornero era stretto collaboratore del segretario generale confederale Agostino Novella. E ha ripercorso gli ultimi drammatici momenti della sua segreteria e in particolare il congresso del 1968, nel corso del quale il segretario fu messo in minoranza e costretto poi ad abbandonare in polemica la confederazione. Pubblichiamo con grande piacere il testo dell’intervento di Ghezzi che ci riporta a un momento difficile della Cgil, per tanti versi vicino ai giorni d’oggi.
Vorrei riproporre alcuni dei passaggi più delicati che hanno caratterizzato quella militanza di Aris Accornero nella Cgil che ha segnato così profondamente la sua vita da quando, entrato quindicenne in fabbrica come operaio, alla Riv di Torino, era stato poi licenziato per rappresaglia dalla direzione della Fiat nel 1957 a causa della sua militanza comunista mentre era componente della Commissione Internaeletto nelle liste della Fiom.
Dopo aver collaborato con il quotidiano L’Unità, e dopo aver cominciato a rendere evidenti le sue straordinarie capacità nell’analizzare i processi produttivi, le tecnologie, la condizione delle persone che vi lavoravano, il sistema delle relazioni industriali, Accornero prese a lavorare in Cgil dove divenne in breve tempo uno dei collaboratori più stretti di Agostino Novella, il segretario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Aris ha lavorato per quasi un decennio con Novella occupandosi formalmente della stampa della Confederazione, sia dell’ufficio stampa di Corso Italia sia collaborando con l’attività editoriale della Cgil dove, tra le tante iniziative che seppe promuovere, va annoverata quella straordinaria esperienza rappresentata dalla pubblicazione dei Quaderni di Rassegna Sindacale che contribuiranno alla formazione di tantissimi quadri giovani e meno giovani che furono protagonisti di quelle straordinarie stagioni di lotta come di quelle che le seguiranno a breve.
In buona sostanza Accornero ha lavorato in quello che si potrebbe oggi definire lo staff molto autorevole e molto ristretto che operava quotidianamente con Agostino Novella, uno dei più grandi dirigenti che la Cgil abbia avuto, un leader sindacale abbastanza misconosciuto dalle vulgate che sono andate poi per la maggiore. Un dirigente sindacale che dopo la sconfitta nel marzo del 1955 subita dalla Fiom alla Fiat nelle elezioni per il rinnovo della Commissione Interna, dopo la autocritica di Di Vittorio sugli errori insiti nelle politiche rivendicative praticate dalla Cgil e dopo la sua morte a Lecco nel 1957, ha saputo guidare il sindacato nella impegnativa stagione della riscossa operaia che precederà e che preparerà l’esplosione dell’autunno caldo.
I due collaboratori più stretti che Novella aveva in Cgil sono stati indubbiamente Aris Accornero e Renzo Rosso; quest’ultimo guidava l’ufficio di segreteria.
Il loro confrontarsi con Novella era continuo e minuzioso ed era incentrato sia sulla quotidianità come sui grandi scenari nei quali la Cgil si trovava a collocare la propria iniziativa. Il loro sodalizio politico è stato intenso, decisamente proficuo e ha attraversato stagioni di straordinaria complessità; le decisioni prese in quegli anni si sono dimostrate alla prova dei fatti di straordinario valore politico e sindacale.
In quella fase storica Aris Accornero è stato costantemente coinvolto nel processo di formazione delle decisioni che hanno riguardato le scelte di fondo dell’organizzazione a un livello molto più impegnativo e molto più stringente di quello che l’organigramma ufficiale di Corso d’Italia potesse formalmente indicare.
Il paese che usciva traumatizzata dagli avvenimenti del luglio ‘60 vedeva il nascere dei Governi del primo centro-sinistra, caratterizzati dal loro robusto respiro riformatore, mentre si evidenziavano pesanti frizioni che la nuova stagione politica alimentava nella dialettica interna della Cgil contrassegnata da pesanti tensioni tra le diverse sensibilità presenti nella Confederazione che si accentuarono dopo la scissione dello Psiup dal Psi nel 1964 e alla nascita del Partito Socialista Unitario del 1966.
Novella e il gruppo dirigente della Cgil seppero governare quel difficile passaggio, seppero difendere l’unità dell’organizzazione dai tentativi di dare vita ad un sindacato socialista scegliendo invece di dialogare con Cisl e Uil, convocando le prime riunioni congiunte delle tre segreterie confederali che, vent’anni dopo le scissioni di fine anni quaranta, ricominciarono a discutere insieme, a rapportarsi congiuntamente con il Governo, a costruire le prime piattaforme unitarie ea praticare forme di unità d’azione.
Novella e il gruppo dirigente che lavorava con lui si impegnarono intensamente per delineare una politica di programmazione e di riforme, persuasi che ai disegni del Governo si dovesse contrapporre le proprie autonome tesi. Mentre il Pci contrastava con asprezza il centro-sinistra, la Cgil seppe rendere visibile la propria autonomia. Quando venne discusso in Parlamento la relazione del ministro socialista Giovanni Pieraccini in tema di programmazione economica Novella e i sindacalisti della Cgil eletti alle Camere non si schierano né con la maggioranza di Governo né con l’opposizione e si astennero. Solo Vittorio Foa, deputato dello Psiup, votò contro.
Nel 1968 la Cgil dovette affrontare un difficile accordo sulle pensioni siglato con il Governo Moro e gestito in Parlamento da un confronto serrato che aveva teso a coinvolgere prioritariamente i sindacalisti eletti alle Camere.
Luciano Lama, parlamentare del Pci e capo delegazione della Cgil nella trattativa, stanchissimo per i pressanti impegni di lavoro ai quali aveva dovuto far fronte in quelle giornate, aveva abbandonato il confronto non ancora ultimato per andarsene a dormire e non aveva posto la sua firma in calce a quell’intesa che pur tuttavia aveva sostanzialmente condiviso, pur esprimendo diverse critiche e riserve sul provvedimento governativo che prefigurava un primo interessante aspetto di riforma del sistema previdenziale ma che conteneva anche scelte dolorose e impopolari. Raffreddava l’erogazione delle pensioni di anzianità, prevedeva l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 55 a 60 anni e aboliva il cumulo salari-pensione.
Appena le notizie sull’intesa raggiunta si diffuse una forte protesta esplose, soprattutto tra i lavoratori delle aziende del triangolo industriale.
L’accordo venne contestato dalla gran parte della base della Cgil, ma anche da settori della Cisl, in particolare dalla Fim milanese guidata da Pierre Carniti.
Novella e il gruppo dirigente della Confederazione, dopo una inusuale consultazione delle più importanti strutture sindacali, decisero di non sottoscrivere l’accordo e rilanciarono la vertenza con lo sciopero generale proclamato dalla sola Cgil per il 7 marzo 1968. Lo sciopero riuscì molto bene, oltre ogni aspettativa sia di chi lo sosteneva sia di chi lo avversava, e aprì un varco alla trattativa col Governo e ad accordi unitari sul riordino del sistema previdenziale. Fu la prima grande avvisaglia di quanto sarebbe accaduto nel 1968 e soprattutto nel 1969.
Alla immediata vigilia dell’autunno caldo, durante il VII Congresso della Cgil che si tenne a Livorno, Novella, sostenuto dai suoi più stretti collaboratori, adottò una posizione cauta nei confronti di grandi novità, come quella riguardante la proposta di procedere sulla via dell’unità sindacale organica, che tumultuosamente stavano avanzando. Non riteneva tale obbiettivo concretamente realizzabile ed aveva altresì grandi riserve sul ruolo e sulla funzione dei nascenti Consigli di fabbrica. Per non dire della sua netta contrarietà a considerare incompatibili tra loro gli incarichi sindacali, istituzionali e di partito.
Al congresso della Cgil di Livorno si sviluppò una battaglia politica aspra combattuta a viso aperto a sostegno delle diverse visioni che attraversavano la dialettica della Confederazione e delle sue maggiori strutture, ma il vento culturale e politico del 1968-69 era troppo vigoroso per fermare le novità che erano in campo.
La relazione di Novella, che al solito era stata scritta con il contributo di Accornero e di Rosso, manifestò perplessità e diffidenza verso l’idea di “tagliarsi i ponti alle spalle e di bruciare i vascelli” come era risuonato nel dibattito congressuale. Si potrebbe affermare un po’ rozzamente che Novella non condivideva alcune grandi spinte al cambiamento che pervadevano quella nuova stagione sindacale che lui stesso aveva contribuito in modo determinante a promuovere.
La componente socialista guidata da Piero Boni, quella psiuppina capeggiata da Vittorio Foa, dirigenti comunisti importanti, tra i quali spiccavano Luciano Lama e Bruno Trentin, contestarono le posizioni contenute nella relazione del segretario generale. Venne chiesto a Lama di essere il primo firmatario di un emendamento che si opponesse alle prudenze di Novella.
Nella serata del secondo giorno del congresso vi fu uno scontro assai duro tra Lama e lo stesso Novella cui poterono assistere, imbarazzatissimi, solo Renzo Rosso e Aris Accornero. Il segretario generale sostenne che sull’unità sindacale si facevano circolare troppe illusioni, che semmai ci sarebbe voluto molto più tempo per prepararla adeguatamente, che manteneva tutte le sue riserve sulla natura dei Consigli di Fabbrica e che le scelte di applicare quelle che, a suo giudizio, erano inaccettabili norme sulla incompatibilità erano rivolte soprattutto contro il suo ruolo e contro la sua persona.
Ma la decisione presa Lama fu risolutiva: si schierò con il suo riconosciuto peso politico a favore dell’emendamento propostogli e ne divenne il primo firmatario. Le cautele di Novella vennero così battute e le proposte contenute nell’emendamento prevalsero nettamente nell’assemblea congressuale. Il segretario della Cgil, allibito, andò su tutte le furie e minacciò di abbandonare il congresso. Solo una telefonata di Luigi Longo, il segretario del Pci, lo fece desistere. Novella lesse faticosamente alla fine dei lavori congressuali le conclusioni che erano state a più riprese scritte e riscritte per lui nella notte dai fidatissimi Accornero e Rosso che tentarono una laboriosissima e tutt’altro che facile sintesi tra le diverse tesi a confronto. Alla fine del suo intervento conclusivo, che in verità lesse male e stancamente, Novella venne lungamente applaudito dai delegati che ne intuirono il dramma e che, con il loro caloroso applauso, resero onore al vecchio leone che usciva sconfitto dal congresso.
All’indomani, attuando le decisioni che vi erano state assunte, Agostino Novella si dimise da parlamentare. Amareggiato ma riservato, come suo costume, lasciò la confederazione qualche mese scegliendo di continuare a rimanere nell’Ufficio Politico del Pci.
Alcuni tra i più stretti collaboratoti di Novella vennero rapidamente allontanati dal vertice confederale e inviati a ricoprire posizioni di secondo piano. Anche per Accornero cominciò un graduale allontanamento da quell’impegno così diretto che lo aveva visto fino ad allora operare sostanzialmente ai vertici della Cgil. Accentuerà il suo impegno verso lo studio e verso le attività di divulgazione, intensificherà il suo preziosissimo lavoro di analisi e si indirizzerà così verso l’insegnamento seguitando ad approfondire e ad arricchire le sue apprezzate elaborazioni che lo porteranno ad essere uno dei massimi sociologi che il nostro paese abbia espresso. Un autodidatta, uno studioso del lavoro e dei suoi cambiamenti molto apprezzato e stimato non solo dai suoi compagni, ma anche dagli avversari.
Nel corso degli anni il suo costante e proficuo impegno a fianco degli Istituti di ricerca della Cgil così come delle sue attività editoriali non è mai venuto meno. La Cgil è sempre stata per lui la sua casa e Aris è sempre stato per decenni uno dei nostri stimatissimi ed amati grandi vecchi.
Le relazioni interpersonali e di lavoro tra Aris Accornero dapprima con Luciano Lama e poi con Bruno Trentin, nelle loro funzioni di segretari generali della Cgil, sono state sempre caratterizzate da uno grande reciproco rispetto, ma non sarebbero mai divenute ne calorose ne particolarmente intense.
Aris è stato sempre consultato ed ascoltato con grandissima attenzione sia quando ha sostenuto opinioni in sintonia con quelle espresse dagli organismi dirigenti della Cgil sia quando le sue idee si sono manifestate in dissintonia; ma quando le sue proposte non sono state condivise o assunte non lo abbiamo mai visto esprimere rammarico o recriminazioni di sorta. Troppo forte è stato il suo attaccamento alla Cgil, troppo intensa è stata la sua concezione dell’impegno sindacale da vivere come una missione. Il suo senso di appartenenza alla organizzazione e il valore stesso che per lui aveva l’esistenza e l’operare di una grande realtà come la Cgil, un grande sindacato impegnato a difendere i lavoratori e i loro diritti, sono sempre stati caratterizzanti la sua appassionata militanza.
In questi lunghi e impegnativi anni di lavoro Aris non ha mai rinunciato a portare avanti le proprie opinioni sempre esposte e difese con grande pacatezza, ma anche con notevole tenacia. In particolare sulla impraticabilità di conseguire una compiuta e organica unità sindacale per la quale sia Lama che Trentin hanno speso le loro migliori energie umane e politiche Aris Accornero ha mai nascosto le proprie valutazioni che ha sempre serenamente ma fermamente esposto. Fino alle ultime occasioni nelle quali ho avuto l’opportunità di discuterne con lui ha seguitato a riconfermarmi le sue riserve in merito alle possibilità di condurre a compimento in quegli anni ormai lontani un credibile processo di unità sindacale; ha seguitato a sostenere che Novella aveva avuto ragione e che la storia ha riconosciuto che le perplessità da lui espresse si sono dimostrate più che mai fondate, a differenza degli sbocchi generosamente indicati da Lama e da Trentin che si sono invece rivelati irrealistici.
In occasione della sua scomparsa ha scritto di lui Paolo Franchi sul Corriere della Sera che: “Le analisi taglienti, e quasi sempre pacatamente controcorrente, di Accornero hanno influito molto meno di quanto sarebbe stato giusto sia sul Pci e sulle forze politiche che lo hanno seguito dopo il 1989, sia sulla Cgil, alla quale è rimasto sempre molto vicino. Capita, agli intellettuali che non hanno mai suonato il piffero per il gruppo dirigente di turno, pur rispettandolo ed essendone rispettati”. E Franchi ha così concluso il suo articolo: “Non credo che Aris se ne sia fatto un cruccio particolare”.
Carlo Ghezzi