Il contesto lavorativo per i giovani è ancora poco accogliente e lo dimostra il fatto che nelle statistiche Istat, in questi giorni così declamate come la maggior occupazione degli ultimi 15 anni, i giovani uomini e donne, ad eccezione dei 25-34enni per i quali cala il numero di occupati anche tra i dipendenti, gli inattivi aumentano (+0,6%, pari a +73mila unità) tra gli uomini, le donne e i 25-49enni.
Lo scollamento tra istruzione, formazione professionale e mondo del lavoro si riflette negli alti livelli di disoccupazione giovanile e in carriere di lavoro ancora troppo precarie prolungate nel tempo. Farei un appello soprattutto a INAP, l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche attive, per restituirci la situazione attuale, che necessita sicuramente di coordinamento delle risorse in campo ancora molto mescolate e lacunose.
Il principale intervento previsto è il programma GOL, garanzia di accusabilità dei lavoratori, prevista dal Pnrr per riqualificare i servizi di politica attiva del lavoro, che dispone di 4,4 miliardi di euro e le previsioni sono di un coinvolgimento entro il 2025 di 3 milioni di beneficiari. GOL è attuato dalle regioni sulla base dei piani regionali e strettamente connessa alla integrazione tra centri per l’impiego pubblici e privati, che continuano ad affrontare le difficoltà del sistema pur modificato di incontro tra domanda e offerta, e che continuano a costare molto in termini di bonus fiscali e contributivi rivolti alle aziende, ma senza aver concretamente, a tutt’oggi, saputo incidere nella creazione di un sistema evoluto di garanzia nell’aiuto alla ricerca del lavoro.
Sulla piattaforma creata dal ministero del lavoro SIIL collegata a Inps (SFL) ci sono gli altri attori del mercato del lavoro: i centri per l’impiego, le agenzie per il lavoro e gli enti di formazione che possono inserire le proposte formative. Ma l’accesso non è previsto per le imprese, con il risultato che in un sistema concepito per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, l’offerta resta parziale. Di conseguenza anche la formazione rischia di restare, almeno in parte, nel campo dell’astrazione.
In quanto poi alle giovani madri, vi è un vincolo economico da tenere saldamente presente a proposito di natalità, donne e lavoro, e rimane, secondo Istat, appunto un ruolo determinante nell’accesso ai nidi. Il 32,4% delle famiglie in cui la madre lavora usufruiscono del nido, contro il 15,1% delle famiglie in cui solo il padre lavora, e si annulla il divario se si considera discriminante la condizione lavorativa del padre. Dunque la condizione lavorativa della giovane madre è una variabile essenziale nella fruizione dei servizi per l’infanzia. Con un ulteriore beneficio, perché proprio i bambini socialmente ed economicamente più svantaggiati, in quanto inseriti in giovani famiglie monoreddito che non utilizzano i servizi di nido, presentano un grado inferiore di preparazione alla scuola dell’obbligo a causa del background famigliare e della scarsa qualità del tempo speso in famiglia. Ed è pertanto su di loro che si concentrerebbero i benefici del potenziamento di questi servizi.
Quindi, le politiche del lavoro, quelle cioè orientate all’aumento della qualificazione e della qualità del lavoro e alla stabilizzazione della presenza femminile nel lavoro remunerato, possono giocare un ruolo fondamentale.
Alessandra Servidori