Il sindacato è diviso, le incomprensioni tra le confederazioni aumentano invece di diminuire. Luca Caretti, il segretario generale della Cisl del Piemonte, lo sa bene, ma non se ne danna più di tanto. Importante, afferma, è mettere a punto assieme le rivendicazioni da portare al governo, e questo lo abbiamo fatto. Poi è accaduto di dividerci sul giudizio degli esiti del negoziato, ma anche questo è scontato. Si sa che la Cisl è più attenta al merito dei problemi, la Cgil più politicizzata, più movimentista, noi attenti alla nostra autonomia dai partiti. Importante è non generare e alimentare questo clima, non farlo arrivare ai lavoratori. Perché mi sembra che siano già abbastanza lontani da questi temi di carattere generale. E questo, aggiunge, è un pericolo, perché una volta c’era dibattito, si discuteva su tutto. Dobbiamo lavorare per far tornare quelle abitudini.
Caretti, dissidi, incomprensioni, probabilmente differenze strategiche stanno minando in Italia le ragioni dell’unità sindacale. Accade anche in Piemonte?
Il confronto tra noi ha subito un rallentamento rispetto alla storia degli ultimi anni, risentiamo dello scenario nazionale. In Piemonte però siamo riusciti a stringere unitariamente degli accordi importanti con la Regione, entrando nel merito, che sono le cose che si fanno e premiano al di là dei principi, pure basilari.
Su cosa vi siete accordati?
Abbiamo stretto un’intesa su salute e sicurezza, per le liste di attesa, con l’obiettivo di permettere a tutti le visite necessarie, cosa che attualmente non accade. E un altro accordo sulla sanità pubblica, rafforzandola con l’assunzione di 2.000 operatori che dovrebbero essere assunti antro l’anno. Quindi, se pure il clima dei nostri rapporti è peggiorato, facciamo ugualmente accordi importanti.
Che è un po’ quello che accade al livello nazionale. Le confederazioni scrivono assieme le rivendicazioni da portare al governo, poi si dividono sul giudizio da dare al confronto svolto.
Sì, le richieste che avanziamo sono quelle che abbiamo deciso assieme. Poi nel confronto sono sorte delle divergenze di impostazione, con la Cgil più politicizzata rispetto alla Cisl, che da sempre è più attenta alla sua autonomia dal quadro partitico. Del resto, me lo hanno insegnato i miei padri, non è possibile scegliersi le controparti, gli accordi si fanno con chi si trova al tavolo del confronto, anche quando si incrociano controparti ostiche, che non condividono i nostri valori e i nostri principi.
Differenze di impostazione?
Non dico nulla di sensazionale affermando che la Cgil è più massimalista, movimentista rispetto alla Cisl. E credo che questa diversità, che sta rallentando le dinamiche dei rapporti unitari, negli ultimi tempi si sia ulteriormente evidenziata, basta guardare alla proposta referendaria che la Cgil ha fatto recentemente sul Job’s Act e sull’articolo 18, o sul salario minimo. La Cisl ha scelto un’impostazione differente, mettendo al centro la contrattazione e la partecipazione, una visione opposta a quella sostenuta nell’azione referendaria.
Sulla partecipazione la Cisl sta ottenendo risultati importanti, tutto lascia credere che si arriverà alla legge.
È importante che tutte le altre proposte su questo tema siano state fatte confluire sulla proposta della Cisl, e altrettanto importante e’ che al primo passaggio in Commissione anche il Pd abbia votato a favore, e 5Stelle e le sinistre si siano astenute. Un dato politico importante in un paese che si va sempre più dividendo.
Il problema del paese è proprio la polarizzazione.
Sì, ci si divide su tutto.
Per questo il ruolo del sindacato è importante. Come fanno le categorie che, mentre le confederazioni si allontanano, restano unite, anche perché al cospetto di una difficile stagione di rinnovi contrattuali.
Finora è stato così. Adesso tutta l’attenzione è sul contratto dei metalmeccanici, un altro momento importante di verifica dello stato delle relazioni industriali.
Non è una trattativa facile.
Assolutamente no. E anche per questo ritengo fondamentale arrivare a un grande patto sociale, al quale la Cisl punta da tanto. Lo credo perché non è vero, come ci dicono, che tutto vada bene. L’occupazione aumenta, è vero, ma la crescita vera, quella che fa salute salari e pensioni, non c’è, non è sufficiente. Noi continuiamo a essere in Europa i fanalini di coda. Un patto sociale che dica chiaramente che, crescita o sfortuna che sia, tutto va diviso equamente tra i soggetti che sono in campo, sapendo che in un momento di difficoltà, come quello che stiamo attraversando, è normale pensare che chi ha di più debba contribuire di più. Dobbiamo trovare il coraggio di fare quello che finora non è stato possibile fare.
Dipenderà molto anche dal nuovo presidente di Confindustria: l’associazione finora e’ apparsa latitante. Voi in Piemonte che rapporti avete con gli imprenditori?
Non esistono rapporti strutturali. Credo che dobbiamo lavorare per recuperare la capacità di lavorare in squadra, per ricostruire un modello nel quale tutti si sentano coinvolti e tutti contribuiscano. Solo così possiamo sperare di superare i gravi punti di crisi esistenti. Con gli accordi che ricordavo abbiamo fatto dei passi in avanti. Dobbiamo proseguire su questa strada.
Un’ultima cosa. La divisione più forte nel movimento sindacale, quella del 1984, con l’accordo di San Valentino, arrivò fino alle fabbriche, ai lavoratori. C’è il pericolo che accada oggi qualcosa del genere?
Dobbiamo essere tutti molto attenti a non generare e alimentare quel clima. Io non ho vissuto quegli anni, ma vedo che adesso le persone sono molto lontane da questi problemi. E questo è un limite, perché allora ci si divideva, ma c’era un coinvolgimento vero, si discuteva. Dobbiamo recuperare quell’impegno, perché è così che si cresce. Non è facile, ma dobbiamo provarci.
Massimo Mascini