Tutti i dirigenti hanno protestato contro la manovra del governo. Quelli del commercio, quelli dell’industria. I pubblici e i privati. Vogliono profonde modifiche, vogliono soprattutto più equità. Sono pronti a fare la propria parte, anche a subire una patrimoniale, ma solo se saranno tutti a pagare. A cominciare da quelli che in passato, tra condoni e scudi fiscali, hanno pagato di meno. Questa è la prima uscita di un nuovo raggruppamento, che unisce appunto tutti i dirigenti. Guido Carella, il presidente di Manageritalia, il sindacato dei dirigenti del commercio, è deciso ad andare avanti in questa direzione.
Presidente, la manovra del governo sembra presentare precisi tratti di iniquità, soprattutto non sembra cogliere l’obiettivo della crescita. Qual è il vostro giudizio?
Non è positivo. Abbiamo rappresentato con forza all’esecutivo questo nostro sentimento. Una manovra che per il 75% accresce la tassazione e non riduce la spesa non è ragionevole. Sembra fatta per dare risposte a terzi. Rappresenta un impoverimento, perché è basata sui soliti cliché. Attinge dalle risorse disponibili immediatamente e si limita a gravare sul lavoro dipendente, sui pensionati, sui servizi ai cittadini. Non è così che si va incontro alle necessità del Paese. C’è bisogno di pensare anche a come rilanciare l’economia, a come andare verso uno sviluppo economico e sociale strutturale. Altrimenti non risolviamo nessuno dei nostri troppi problemi.
I dirigenti sono stati tra i più colpiti?
Sì. La manovra colpisce in particolare i dirigenti, che sono i lavoratori dipendenti con le retribuzioni più alte. Ma non solo: il provvedimento penalizzerà anche i tanti italiani che hanno redditi medi, quelli che dichiarano tutto e le tasse fino all’ultimo. E i pensionati. Tutti pagheremo poi anche l’aumento dell’Irpef regionale, dei ticket per la sanità… Mentre chi evade e non dichiara il suo reddito reale continuerà a gongolare e a non contribuire.
Un onere sopportabile?
No, perché si aggiunge a una tassazione già molto elevata. Un dirigente guadagna un terzo di quanto costa alla sua azienda. Un cuneo fiscale così elevato che tutti dicono di voler eliminare. E che invece adesso cresce. E’ inconcepibile.
Cosa avete chiesto al governo?
Di togliere il contributo di solidarietà, di investire di più per la crescita del paese. Di tagliare i costi della politica, ma sul serio.
Siete impensieriti per il mancato sostegno alla crescita?
Sì, perché altrimenti non usciremo mai dall’emergenza. Serve più coraggio, per esempio sulla lotta all’evasione, fondamentale se si vuole riequilibrare questo paese. Noi siamo per allargare la tracciabilità. E vorremmo che chi ha beneficato dello scudo fiscale desse un contributo elevato, pensiamo a una tassa sui patrimoni scudati.
Per cercare più equità?
Quei 150mila che hanno approfittato dello scudo fiscale hanno goduto di un’imposta molto più bassa di quella normale. Sarebbe giusto che adesso, nel momento in cui siamo tutti in difficoltà, loro pagassero qualcosa in più.
I dirigenti sono pronti a fare la loro parte?
Siamo i primi a sostenerlo, importante è che siamo solo noi a pagare. Per questo chiediamo una patrimoniale per chi ha goduto dello scudo fiscale, per questo chiediamo più rigore verso gli evasori. Perché siamo in una situazione difficile, e non solo economicamente. Se lo stato fosse un’azienda, diremmo che ha bisogno di una ricapitalizzazione, perché servono ingenti risorse per fare le riforme necessarie, quelle per il fisco, la giustizia, il welfare. Siamo disponibili anche a una patrimoniale che colpisca tutti, se i proventi di questa tassazione servissero effettivamente per fare queste riforme. Ma devono cambiare le regole del gioco, serve un modo nuovo di fare, a cominciare dalla politica. Non devono essere i politici di oggi a gestire le risorse che con tanti sacrifici si stanno chiedendo ai cittadini.
Le intese dell’ultima ora cambiano il vostro giudizio?
Assolutamente no. Non c’è stato nessuno scambio, ma solo proposte inique. Come eravamo contrari al contributo di solidarietà lo siamo per queste assurde proposte che feriscono ancora una volta il rapporto tra contribuente onesto e lo Stato. Incredibile pensare che chi ha contribuito con anni di versamenti volontari per riscattare anni di studio veda in una notte vanificato il suo sforzo. Siamo alle solite, è la conferma che in Italia si raccolgono soldi mettendo toppe, tasse, e tagli ai servizi invece di agire sui privilegi, fare riforme serie e tagliare le ingiustizie. E pensare che quando abbiamo proposto di mettere una tassa sui patrimoni già scudati la risposta è stata che lo Stato non può perdere la faccia con un ripensamento su una parola data.
Voi di Manageritalia, che rappresentate i dirigenti del commercio e del terziario, avete portato avanti queste proposte con Federmanager – ovvero con i dirigenti e dell’industria – e con le confederazioni Confedir e Cida, che raggruppano molte sigle della dirigenza pubblica. Vi state avvicinando?
Sì, ma non da adesso. L’avvicinamento è in atto da tempo, adesso si è solo accelerato. Il 24 agosto abbiamo dato vita a una Costituente Manageriale. Il 16 settembre getteremo le basi per creare un’alleanza che ci rappresenti tutti. Ma non è una mossa repentina, decisa per parare i guasti di una manovra sbagliata. Stiamo cogliendo adesso i frutti di un lungo lavoro. Vogliamo che sia una sola voce a portare avanti le nostre proposte al paese. Se questa crisi ci ha insegnato una cosa, questa è proprio la necessità di una partecipazione generale all’azione di risanamento. Bisogna agire anteponendo l’interesse generale del paese agli interessi particolari delle categorie che rappresentiamo.
Cosa volete?
La dirigenza unita si mette in gioco per elaborare una nuova politica economica e industriale, un nuovo modo di fare sindacato. E noi, forti del sostegno e della qualità e quantità di tutti i dirigenti, i quadri e le alte professionalità, vogliamo dare il nostro contributo in termini di idee, proposte e azioni allo sviluppo del Paese. Ecco perché abbiamo fatto un annuncio a mezzo stampa che puntava proprio sull’impegno de “I Manager per il Paese”. Non è solo uno slogan. E’ il nostro obiettivo principale.
Dove arriverà questo processo di avvicinamento delle rappresentanze dei dirigenti? Pensate di unificare le vostre realtà associative?
Questo è il sogno di noi tutti e non è detto che non sia questo il nostro punto di arrivo. Adesso facciamo questo primo passo, molto importante.
Pensate che sia importante anche per riuscire a dare voce al ceto medio?
C’è una carenza di rappresentazione, sia politica che sindacale, del ceto medio. Noi in qualche modo possiamo rappresentare una realtà. Finora abbiamo subito un patto ad excludendum da parte degli altri soggetti sindacali, che, forti del fatto che eravamo divisi, hanno potuto metterci nell’angolo. Adesso non sarà più così. Del resto, si tratta di rivedere in profondità tutto il sistema del confronto istituzionale, tra politica e parti sociali. Un sistema che adesso non funziona più anche perché rinvia tutto a tavoli informali, contro ogni logica democratica.
Insomma, rimpiangete la concertazione di una volta?
Sarà stata anche falsa, ma certo non lasciava nessuno fuori, tutti avevano una voce, tutti sapevano dove poter avanzare le proprie proposte. Non era cosa di poco conto.
Massimo Mascini